I Paesi europei, Italia inclusa, non garantiscono una uguaglianza di trattamento dei propri cittadini di fronte alle restrizioni imposte da Israele a chi vive nei Territori occupati
di Nicola Perugini
Le rappresentanze consolari europee in Palestina continuano a organizzare ricevimenti separati in occasione delle rispettive feste nazionali, e l’Italia del 2 giugno non ha fatto eccezione. “In occasione della Festa Nazionale il Console Generale è lieto di invitarla al ricevimento che si terrà a Gerusalemme”, si legge nel primo invito. “In occasione della Festa Nazionale il Console Generale è lieto di invitarla al ricevimento che si terrà all’Hotel Movenpick di Ramallah”, si legge nel secondo. Perché nel giorno della Festa della Repubblica le nostri istituzioni decidono di invitare alcuni connazionali a festeggiare a Gerusalemme e altri in un lussuoso albergo di Ramallah? Quali sono le motivazioni e implicazioni di questi inviti differenziati?
Il primo invito è rivolto a italiani con passaporto italiano dalla nascita. Di italo-italiani, come di euro-europei, per così dire e per utilizzare una brutta espressione, ce ne sono tanti in Palestina/Israele, per varie ragioni. Il secondo invito è rivolto agli italo-palestinesi: palestinesi che in virtù del loro matrimonio con cittadini italiani (o europei) hanno acquisito cittadinanza e passaporto europei. Questi ultimi sono al tempo stesso in possesso della carta d’identità e del passaporto palestinese (in realtà non è un passaporto, ma un documento di viaggio, fino a che non esisterà uno stato palestinese), e sono residenti in Cisgiordania, dove vivono sotto l’amministrazione militare israeliana.
Da quando nel 2003 Israele ha costruito il muro di separazione, agli italo-palestinesi (come a tutti gli altri palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che non hanno passaporto europeo) è vietato completamente l’accesso a Gerusalemme e all’attuale Israele. Di fatto Israele tratta me, che sono italo-italiano, e mia moglie, che è italo-palestinese, dunque entrambi in possesso dello stesso passaporto europeo, in due modi diversi. Io mi posso teoricamente spostare liberamente (a meno che non mi succeda quello che descriverò tra due paragrafi) su tutti i territori controllati da Israele, dal Mare Mediterraneo al fiume Giordano, e posso volare in entrata e in uscita dall’aeroporto di Tel Aviv. Invece a mia moglie è permesso vivere e spostarsi solo nei territori occupati della Cisgiordania, negandole il libero accesso alla propria rappresentanza diplomatica italiana a Gerusalemme o a Tel Aviv.
Dunque Israele discrimina tra noi due, e discrimina mia moglie perché palestinese. Ma questo in fondo lo si sapeva. Ciò che invece preoccupa ulteriormente è che le nostre istituzioni, così come quelle di molti altri paesi, non abbiano ancora trovato una risposta chiara e decisa a queste violazioni di un diritto umano fondamentale come la libertà di movimento (e accesso alle proprie rappresentanze) e al regime di apartheid (separazione, per l’appunto) su cui queste violazioni si fondano.
Questo degli inviti è solo un esempio di un quadro più ampio. Ad esempio il nostro Consolato e la nostra Ambasciata, come molte delle rappresentanze diplomatiche internazionali in Palestina/Israele, accettano che Israele rilasci visti “solo Giudea e Samaria” (la Cisgiordania occupata) ad alcuni cittadini italo-italiani sposati con palestinesi o che lavorano in Palestina, confinando la loro libertà di movimento e formalmente impedendo anche ad alcuni italo-italiani/euro-europei (dunque non solo agli italo-palestinesi ed euro-palestinesi) di accedere alle proprie rappresentanze diplomatiche.
In uno scambio di email con il Consolato italiano a Gerusalemme Ovest in merito alla questione il Consolato mi ha scritto che riconosce “la piena giurisdizione israeliana per quanto attiene i permessi di ingresso e le tipologie di permessi di residenza nel proprio territorio”. Immaginiamoci per un attimo la situazione inversa: alcuni cittadini israeliani (e solo alcuni) atterrano a Fiumicino e ricevono un timbro/visto “solo Roma”, o “solo Lazio”. Si griderebbe, molto giustamente, a un trattamento discriminatorio.
In risposta alla mia stessa email, il Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme Ovest mi ha assicurato che sta facendo il possibile per risolvere il “problema relativo alla libera circolazione dei nostri cittadini” (degli italo-italiani, non degli italo-palestinesi, si presume, a meno che il Consolato non smentisca), di fatto riconoscendo il problema e ammettendo che esiste una violazione di un diritto fondamentale.
Ma non dovrebbero il Consolato e l’Ambasciata tutelare l’accesso libero e senza condizioni di tutti i propri cittadini (dunque non solo il mio, ma anche quello di mia moglie italo-palestinese) alle proprie rappresentanze diplomatiche, senza se e senza ma? Perché due concittadini con passaporti uguali godono di diritti diversi di fronte alle istituzioni di un altro paese? Un funzionario del nostro Consolato che ho sentito telefonicamente per chiedere ulteriori delucidazioni sullo status di mia moglie me lo ha spiegato così: “Lei deve capire che purtroppo (!) sua moglie resta una palestinese”. Ma allora il “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” della nostra costituzione repubblicana non ha alcun valore?