I 19 giornalisti del quotidiano di opposizione arrestati cinque mesi fa hanno ricevuto le richieste del procuratore. Accuse eterogenee e contraddittorie: sostegno a Gulen ma anche al Pkk
della redazione
Roma, 5 aprile 2017, Nena News – Fino a 43 anni di prigione per 19 giornalisti e impiegati del quotidiano turco d’opposizione Cumhuriyet: è la richiesta del procuratore di Istanbul nel processo ai reporter, in carcere da cinque mesi e accusati di appartenenza a gruppo terrorista.
Con l’allora direttore Can Dundar e il caporedattore Gul condannati in primo grado a cinque anni per aver realizzato un reportage che svelava i legami tra servizi segreti turchi e gruppi islamisti in Siria, ora tocca al resto della redazione, in manette dopo il golpe del 15 luglio e il lancio di una vasta campagna di epurazione che ha avuto tra i principali target i media indipendenti. Ed infatti le accuse sono varie e ideologicamente contradditorie: Cumhuriyet è accusato sia di sostegno alla rete dell’imam Gulen che di appoggio al movimento indipendentista kurdo Pkk, due soggetti non certo vicini ma ai poli opposti.
Tra i giornalisti inquisiti ci sono nomi importanti: l’attuale direttore Murat Sabuncu (chiesti 15 anni), lo scrittore Ahmet Sik (15 anni) e il vignettista Musa Kart (29 anni). Agli arresti anche l’editore Akin Atalay, per cui sono stati chiesti 43 anni di carcere, mentre Dundar (richiesti 15 anni) è rifugiato in Europa.
“Dopo che Can Dundar ha assunto la direzione – si legge nell’incriminazione – il quotidiano ha preso un percorso diverso da quello per cui era nato. È diventato un difensore e protettore di Feto [dispregiativo per indicare il movimento di Gulen], del Partito Kurdo dei Lavoratori e del fuorilegge Dhkp-C. Cumhuriyet ha iniziato un’intensa operazione di percezione, prendendo di mira il governo e il presidente Erdogan usando tattiche di guerra asimmetrica”.
Accuse che potrebbero sembrare folli, oltre che in contraddizione tra di loro, ma che rendono bene il clima di caccia alle streghe e ultranazionalismo che avvolge la Turchia da anni e riacceso dal tentato golpe del 15 luglio. Ora, con il referendum sulla riforma costituzionale alle porte la macchina della propaganda si riattiva: gli ultimi giorni hanno visto protagonisti di nuovo i giornalisti (circa 150 quelli dietro le sbarre, un bilancio che fa di Ankara il terzo paese al mondo per numero di reporter dietro le sbarre), riarrestati o inquisiti in processi di diversa natura ma tutti con un cuore comune, quello della presunta difesa della nazione contro attacchi interni e esterni.
L’obiettivo del presidente Erdogan è stringere le fila intorno al piano di riforma che gli darà – se vincerà il sì – poteri enormi, annullando di fatto l’equilibrio istituzionale. Dopo le purghe selettive che hanno stravolto la magistratura, il potere esecutivo finirà in mano al presidente con la scomparsa della figura del premier. Un uomo solo al comando, capo delle forze armate, del governo, responsabile della selezione dei più alti vertici del potere giudiziario e dell’eventuale scioglimento del parlamento.
Tra 12 giorni la gara elettorale sarà terminata. Intanto a votare sono i turchi all’estero: ad oggi hanno messo la scheda nell’urna oltre 500mila cittadini turchi residenti fuori dal paese, di cui 320mila solo in Germania. La stampa riporta di lunghe file di fronte ai consolati turchi nelle città europee. Nena News