Dopo silenzi e titubanze, Ankara autorizza l’azione militare contro lo Stato Islamico che ormai appare prossimo a conquistare Kobani. Ma il Pkk avverte: “se cade la città, crolla il processo di pace con i turchi”.
Aggiornamento ore 16:15
Duri scontri sono scoppiati stamattina tra le milizie curde e i jihadisti dello Stato islamico (Is). Questi ultimi sono penetrati per alcuni chilometri ad est e a sud est della città di Kobane (anche conosciuta come Air al-arab). A poco sarebbero serviti i raid aerei statunitensi contro le postazione degli estremisti islamici.
I curdi accusano Ankara perché non starebbe permettendo ai combattenti curdi del PKK di attraversare il confine per combattere a fianco dei loro “fratelli” in Siria. La Turchia è, inoltre, duramente criticata per la sua linea morbida nei confronti dell’organizzazione jihadista.
Accuse respinte dalle autorità turche. Intervistato ieri dall’al-Haber ATV, il primo ministro Davotoglu ha dichiarato di non voler vedere la caduta della città aggiungendo: “abbiamo aperto le nostre braccia ai fratelli di Kobane”.
Secondo i dati dell’Osservatorio siriano dei diritti umani il 90% degli abitanti (circa 160.000 persone) della cittadina e dei paesi limitrofi sono fuggiti preoccupati dall’avanzata dell’Isis.
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di Roberto Prinzi
Roma, 3 0tt0bre 2014, Nena News – Dopo aver a lungo tergiversato, il parlamento turco ha ieri autorizzato l’azione militare contro i militanti dello Stato Islamico (Is). Il mandato votato dai parlamentari consentirà anche a truppe straniere stanziate in Turchia di lanciare operazioni belliche nei confinanti Iraq e Siria. Tuttavia, il Ministro della Difesa turco Ismet Yilmaz ha detto che le operazioni non dovrebbero iniziare subito.
Dichiarazioni, queste ultime, che dimostrano nuovamente come Ankara abbia poca voglia di avere un ruolo di primo piano nella coalizione internazionale contro i “nemici” fondamentalisti. Fino a pochi giorni fa la Turchia aveva escluso una azione militare contro l’Isil. Poi, però, retromarcia. Parlando in parlamento mercoledì, il Presidente Erdogan ha detto che i raid aerei da soli non possono sconfiggere lo Stato islamico. Il leader turco ha poi chiarito che il suo Paese interverrà con truppe di terra solo se sarà garantita una no fly-zone e verrà assicurata una protezione internazionale. “I raid – ha spiegato Erdogan – ritarderanno solo la minaccia e il pericolo. Questo è quanto sta accadendo finora in Iraq”. Pertanto “è inevitabile che queste soluzioni temporanee obbligheranno Baghdad ad affrontare questo problema ogni 10 anni. Nello stesso modo, però, anche se si ignora quanto accade in Siria, si ritarderà una soluzione definitiva”. Il “sultano” ha ribadito anche la necessità di far cadere il Presidente siriano Bashar al-Asad. Possibilità che, almeno al momento, non è in cima alle priorità degli Stati Uniti.
Attacchi al regime di Damasco sono venuti anche da un membro del suo “Partito per la Giustizia e Sviluppo” (AKP). “L’azione militare è necessaria perché la Siria è diventata un rifugio per terroristi dove elementi affiliati al regime siriano stanno minacciando la regione” ha dichiarato Emrullah Isler. Il principale colpevole per la minaccia rappresentata dall’Isil è, secondo Isler, il regime di Damasco. Una dichiarazione quanto meno discutibile considerata la politica di “porte aperte” che Ankara ha avuto negli ultime tre anni con gruppi armati, estremisti arabi e stranieri che, passando per il territorio turco, sono confluiti in migliaia in Siria per combattere il jihad.
Ankara, inoltre, ha approvato la creazione di una “zona di sicurezza” in Siria la quale, secondo le autorità turche, costituirà un rifugio sicuro per un milione e mezzo di rifugiati presenti attualmente sul suo territorio. Decisione già bocciata dai gruppi di diritti umani. Secondo infatti il ricercatore di Amnesty International Andrew Gardner: “l’area creerà solo l’illusione di un un luogo sicuro per i rifugiati. Le regioni a confine sono le zone più duramente colpite nella guerra in corso in Siria”.
Nelle ore in cui Ankara si appresta svogliatamente ad unirsi alla coalizione internazionale contro l’Is, i miliziani jihadisti sono ormai prossimi ad entrare nella città curda di Kobani. Secondo la BBC le bandiere nere delle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi sono ormai visibili dal confine turco. Una situazione drammatica per la popolazione curda che, temendo possibili stragi, ha preferito abbandonare in massa la cittadina trovando rifugio in territorio turco (ma molti sono ancora sospesi in un limbo tra Siria e Turchia).
“Confrontante a quelle dell’Is, le nostre armi sono semplici. Loro hanno cannoni, missili a lunga gittata e carri armati” ha dichiarato all’Agence France-Press Idris Nahsen, un ufficiale curdo della cittadina. Né stanno aiutando i combattenti curdi i raid della coalizione internazionale (il Pentagono ne ha dichiarati almeno sette negli ultimi giorni).
Secondo gli attivisti siriani dei diritti umani se la città non sarà immediatamente protetta cadrà in poche ore nelle mani degli estremisti: “da est e a sud, lo Stato Islamico è ormai a un miglio da Kobani. La maggior parte dei civili ha lasciato la città e in qualunque momento l’Is può entrarvi” ha affermato Rami ‘Abd al-Rahman, direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. ‘Abd al-Rahman si è poi chiesto perché la coalizione internazionale non stia intervenendo ora che i fondamentalisti islamici non sono ben equipaggiati. “Hanno 20 carri armati e humvee” – ha aggiunto ‘Abd Rahman – senza i loro veicoli pesanti i curdi riuscirebbero a sconfiggerli”.
La presa di Kobani da parte dell’Is potrebbe avere conseguenze molto gravi anche nel “processo di pace” in corso dal 2012 tra i curdi e i turchi. A confermarlo è stato due giorni fa il leader curdo del Partito del Lavoratori del Kurdistan (PKK), Abdullah Ocalan.“Esorto coloro che in Turchia non vogliono che il processo di pace collassi ad assumersi la responsabilità di quanto accade a Kobani” si legge in una nota rilasciata dalla delegazione curda che lo ha visitato due giorni fa in carcere. A settembre molti militanti del Pkk sono andati nella cittadina siriana a combattere a fianco delle milizie curde siriane dell’ Unità di difesa del popolo” (YPG) nel tentativo di arrestare l’invasione degli estremisti islamici.
Intanto il nuovo Alto Commissario dell’Onu, Zeis Ra’ad al-Hussein, ha accusato lo Stato Islamico di aver compiuto “atrocità” in Iraq e in Siria tra cui attacchi sui civili, esecuzioni di soldati catturati, rapimenti, stupri e profanazioni di luoghi sacri e culturali. “Questa serie di violazioni e abusi perpetrati dall’Is e da gruppi armati ad essa affiliati è sconvolgente. Molti dei loro atti sono crimini di guerra e contro l’umanità”. Ma il rapporto delle Nazioni Unite sottolinea anche le violenze e gli abusi compiuti dalle forze di sicurezza irachene e dalle milizie vicine al governo di Baghdad condannandone anche i raid indiscriminati e sproporzionati. Zeid ha quindi invitato l’Iraq ad aderire alla Corte Penale Internazionale in modo che questa possa investigare “la situazione orrenda” che regna nel Paese. Nena News