L’udienza è stata aggiornata a mercoledì in seguito alle proteste dei familiari che hanno chiesto ieri di guardare in faccia i (presunti) assassini dei loro figli. Sul banco degli imputati 45 persone, tra cui i vertici della compagnia Soma Coal Mining.
della redazione
Roma, 14 aprile 2015, Nena News – Doveva essere il primo giorno del maxi processo per la morte dei 301 lavoratori turchi deceduti lo scorso maggio nella miniera di Soma. Ma quando gli otto principali accusati sono apparsi ieri in collegamento video dalla prigione in cui sono detenuti e non di persona in tribunale, sono scoppiate in sala le proteste furiose dei genitori delle vittime che hanno chiesto la testimonianza dal vivo dei sospettati così da rendere “il processo giusto”.
La rabbia dei familiari era tangibile ed esplosa subito: “se [i sospettati] fossero qui, li sputeremmo in faccia. I nostri figli ci chiedono ogni giorno: ‘Dove è papà?’ Noi non abbiamo risposte da dare loro”. Nel tentativo di calmare gli animi esasperati, Aytaç Ballı, il capo dell’Alta Corte penale di Akhisar a cui è stato affidato il caso, ha deciso alla fine di rinviare l’udienza a domani accogliendo le richieste dei familiari che potranno così guardare in faccia i (presunti) responsabili della morte dei loro cari.
Tensione alta ieri ad Akhishar non solo dentro il tribunale, ma anche fuori. Un massiccio scheramento di poliziotti (circa un migliaio) controllava il palazzo di Giustizia della città per motivi di sicurezza. Centinaia i manifestanti radunati fuori per seguire la seduta. Controlli scrupolosi per i pochi che hanno avuto il permesso di accedere nell’edificio.
Il processo, che si sta celebrando a 40 chilometri da Soma, vede tra gli accusati 45 persone. Tra questi spiccano i nomi di otto ex manager della società che gestiva la miniera e che attualmente sono detenuti ad Izmir. L’accusa contro di loro è molto grave: avrebbero causato “il probabile omicidio colposo” dei 301 minatori causando “danni fisici” ai 162 feriti. Rischiano fino a 25 anni di prigione per ogni vittima e 6 anni aggiuntivi per ogni ferito. Sul banco degli imputati, l’Amministratore delegato di Soma Coal Mining Inc. Can Gurkan, il General Manger Ramazan Doğru e il Direttore operativo Akin Çelik. Gli altri 37 a processo sono incriminati per negligenza e potrebbero ricevere fino a 15 anni di carcere.
Il 13 maggio 2014 l’intera Turchia rimase sotto shock per quanto accade nella miniera di carbone di Soma, una città nella provincia occidentale di Manisa. In seguito ad una esplosione, uno dei tunnel della miniera fu travolto dalle fiamme e dai gas di monossido di carbonio e diventò una trappola infernale per circa 800 lavoratori. Il bilancio finale parlò di 301 vittime e di 162 feriti.
Appena apprese la notizia, l’allora premier Erdogan dichiarò: “sono cose ordinarie [perché] incidenti del genere sono successi anche in Gran Bretagna nel diciannovesimo secolo”. La tracotanza del governo, impreparato (e stupito) a gestire la contestazione popolare, fu resa ancora più evidente dal calcio che l’assistente di Erdogan diede ad un manifestante steso a terra e il pugno/schiaffo (le immagini sono poco chiare) che inferse il premier stesso ad un altro cittadino all’interno di un supermercato.
Le ispezioni eseguite successivamente rilevarono che il carbone bruciava già da giorni prima che avesse luogo la strage e che la sua combustione aveva rilasciato gas tossici. Dunque al di là dell’esplosione avvenuta quel giorno, le condizioni di sicurezza per i lavoratori erano di per sé già scadenti. Un altro documento rilasciato dopo il disastro sottolineò come fossero già da tempo noti una serie di problemi: tra questi la mancanza di rilevatori di monossido di carbonio, maschere anti-gas in pessime condizioni e una cattiva ventilazione dei tunnel.
Secondo l’accusa, pertanto, i proprietari della miniera di Soma avrebbero sfruttato i lavoratori per ottenere un maggiore profitto creando “condizioni di lavoro simili a schiavitù”. La pensano ugualmente anche le centinaia di persone riunite fuori il palazzo di Giustizia e che considerano quanto accaduto a Soma “non un incidente ma un omicidio” come recitava uno dei loro striscioni.
Di “responsabilità politica” parla, invece, l’opposizione che accusa il governo di quanto accaduto. Diversi deputati del Partito del popolo repubblicano (Chp), il principale partito di opposizione, e il segretario del partito di sinistra pro-curdo Hdp, Selahattin Demirtaş erano presenti ieri in aula in segno di solidarietà alle famiglie delle vittime. In una nota rilasciata alla stampa, i deputati dell’opposizione hanno detto che dovrebbero essere processati – “perché politicamente responsabili” – anche il Presidente Erdoğan (all’epoca dei fatti primo ministro), il ministro dell’Energia e delle risorse naturali Taner Yildiz e il ministro del lavoro e della sicurezza sociale Faruk Çelik.
La Turchia dal 2011 è il Paese in cui si registra il maggior numero di vittime in miniera. Nena News