Dopo 25 anni di dominio il presidente non ha più il controllo della più importante città turca. Fatale il ritorno al voto. Il candidato repubblicano avanti di nove punti: il distacco di 13mila voti diventa di 700mila
della redazione
Roma, 24 giugno 2019, Nena News – Ekrem Imamoglu è il nuovo sindaco di Istanbul. Per la seconda volta. Ieri la città sul Bosforo, la più importante della Turchia con i suoi 16 milioni di abitanti e il 31% del pil nazionale, la capitale culturale del paese è tornata alle urne a tre mesi dalle prime elezioni.
L’Akp, attraverso il Consiglio Elettorale Supremo (Ysk), le aveva fatte annullare: la distanza tra Imamoglu, candidato del partito kemalista repubblicano Chp, e l’ex premier Yildirim, uomo di Erdogan, era stato di appena 13mila voti, lo o,1%, e l’esecutivo aveva parlato di irregolarità. Il tentativo estremo di tenersi Istanbul dopo 25 anni di dominio incontrastato.
Grandi erano state le polemiche per il colpo di mano governativo. E ieri alle urne la città ha votato di nuovo e di più per Imamoglu: 54% contro 45%, 700mila voti di differenza e il Chp ha strappato Istanbul all’Akp grazie al sostegno non indifferente di molti partiti di opposizione che non si sono ripresentati invitando i propri elettori a scegliere Imamoglu. E anche grazie a molti elettori dell’Akp che non hanno visto di buon occhio l’annullamento del voto del 31 marzo scorso.
“Non un singolo candidato, né un partito, ma tutta la Turchia ha vinto le elezioni. Abbiamo insegnato una lezione a chi vorrebbe la Turchia simile ai paesi vicini”, ha detto ieri Imamoglu di fronte a una folle enorme radunatasi per festeggiarlo, tra le bandiere della Turchia e quelle kemliste.
Risponde Yildirim, riconoscendo la sconfitta: “Mi congratulo con il mio avversario, è davanti. Non possiamo nascondere la realtà”, ha detto a poche ore dalla chiusura del voto. E ammette la sconfitta lo stesso Erdogan: “Mi congratulo con Ekrem Imamoglu, che ha vinto le elezioni secondo i risultati non ufficiali. La volontà nazionale si è espressa ancora una volta. Spero che il risultato sia positivo per Istanbul”.
Il presidente fa buon viso a cattivo gioco, consapevole dell’errore commesso e che forse aveva già subodorato: nelle ultime settimane di campagna elettorale non ha accompagnato Yildirim, né si è mostrato in prima linea, provando a salvarsi in extremis da quella che immaginava già come una sconfitta.
Non ha solo perso Istanbul, con il suo tesoro, un pil da 167 miliardi di dollari annui e un bugdet da 7.5 miliardi l’anno, traducibili in appalti e posti di lavoro, dunque bacino elettorale e affari che in questi anni sono stati ingurgitati da aziende vicinissime alla famiglia Erdogan. Ha perso molto di più: la prima sconfitta elettorale vera per Erdogan lo indebolisce a livello nazionale, perché arrivata dopo un voto travagliato e il tentativo estremo di evitarlo. Dopotutto lui stesso aveva più volte affermato che “chi perde Istanbul, perde la Turchia”.
Poteva perdere per un soffio, ha perso per 700mila voti, un’enormità per la narrazione politica che dalla Turchia il sultano ha plasmato in questi decenni al potere. E ha perso una parte consistente dei suoi sostenitori, molti conservatori, la classe media, che ha deciso di voltare pagina e in che in parte lo ha deciso dopo il colpo di mano dell’annullamento del voto.
Importante per la vittoria è stato anche il voto curdo, il 15-20% della popolazione totale della città. Arrivato dopo una notizia che in molti hanno trovato sorprendente. La scorsa settimana dall’isola-prigione di Imrali, il leader del Pkk Abdullah Ocalan ha consegnato ai suoi legali un messaggio destabilizzante e un po’ criptico per i sostenitori dell’Hdp, il partito della sinistra filo-curda che dopo l’annullamento del voto si era detto pronto ad appoggiare i kemalisti: Ocalan ha invitato il partito a non entrare nello scontro a due Akp-Chp, ma a restare «la terza via» verso un regime realmente democratico. Alcuni lo hanno letto come l’invito a boicottare il voto di Istanbul, altri a non indicare preferenze.
L’Hdp è poi intervenuto con un comunicato con cui ha «interpretato» il pensiero di Ocalan: la strategia politica resta la stessa, ovvero l’appoggio a Imamoglu, ma garantendo l’«indipendenza» del partito.
Ma i veri problemi oggi li deve affrontare l’Akp. Se qualcuno, come il membro del Harun Armagan, cerca di smorzare la sconfitta (“Non significa più di qualsiasi altra città. Ovviamente Istanbul è importante ma l’Akp ha vinto più comuni di qualsiasi altro partito in queste elezioni”), si parla già di resa dei conti interna, per punire quelli che finiranno per essere considerati i responsabili della perdita. Una sconfitta per mano di un uomo, Imamoglu, che fino a pochi mesi fa era uno sconosciuto ma che ha saputo raccogliere intorno a sé la frustrazione di una nazione verso una politica ormai dichiaratamente autoritaria e un’economia a pezzi. Nena News