Dopo mesi di screzi il presidente silura il primo ministro, contrario alla riforma costituzionale e al pugno di ferro contro i media nazionali
di Chiara Cruciati
Roma, 5 maggio 2016, Nena News – Il lungo matrimonio politico tra Recep Tayyip Erdogan e Ahmet Davutoglu è giunto al capolinea. Aria di crisi tirava da tempo e ieri, nel quartiere generale del partito Akp, si è fatta concreta: il primo ministro ha annunciato le sue dimissioni.
Le divisioni sono esplose mercoledì in un incontro faccia a faccia tra i due: un’ora e 40 minuti e Erdogan ha sfiduciato il suo premier. Il sentore che la luna di miele fosse agli sgoccioli si era fatto strada la scorsa settimana quando il comitato esecutivo dell’Akp aveva tolto al premier il potere di nominare i presidenti provinciali del partito. Una prima stoccata per restringere l’autorità del primo ministro. La seconda e mortale è giunta mercoledì: mentre Davutoglu cercava di porre fine ai dissaporti con il presidente, fonti dell’Akp facevano girare già la voce di un congresso speciale per la fine di maggio.
Così ieri Davutoglu si è presentato di fronte al partito e alla nazione e ha annunciato un congresso straordinario per il 22 maggio. E visto che lo statuto dell’Akp prevede che il ruolo di segretario coincida con la poltrona di primo ministro, in quell’occasione Davutoglu si dimetterà anche da capo del partito: «Ho deciso che, per l’unità del partito, un cambio alla segreteria sia più appropriato».
Nonostante ciò Davutoglu, che per il premier Erdogan aveva rivestito la carica di ministro degli Esteri, ieri ha voluto salvare le apparenze per evitare che le crepe interne al partito si allarghino: la decisione, ha detto, è personale. Così non è: Davutoglu più che dimissionario è licenziato. Tra la stampa e i partiti di opposizione si parla già di «golpe di palazzo». È chiaro a tutti che Erdogan al suo fianco vuole un premier più accondiscendente, obbediente, incline a fare delle strategie del capo politiche concrete. Qualche nome c’è già: il ministro dei Trasporti Yildirim o quello dell’Energia Albayrak (genero del presidente) o, ancora, il vice premier Akdogan garantirebbero ad Erdogan il controllo pressochè totale del paese.
Esercito, servizi segreti, presidenza e consiglio dei ministri: farebbe l’en plein. «Quanto accaduto mostra quanto potere è stato ammassato nelle mani di una sola persona – è il commento di Soner Cagaptay, direttore del Turkish Research Programme al Washington Institute – Erdogan gode di un’autorità di cui nessuno ha mai goduto nella storia moderna della Turchia. Renderà il paese così politicamente fragile che quando se ne andrà non ci saranno più istituzioni in grado di tenere la nazione insieme». «La politica turca è entrata in un periodo in cui il sistema presidenziale è de facto cominciato», aggiunge il direttore del think tank Istanbul Policy Center, Fuat Keyman.
A far pendere la bilancia per la sua sostituzione sono le chiare differenze di visione tra i due uomini forti di Ankara. In primo luogo quella riforma costituzionale in senso presidenziale che Erdogan rincorre da un decennio e che era stata frenata dalle elezioni di giugno: non avendo ottenuto la maggioranza necessaria, il presidente-sultano ha impedito la formazione di un governo di coalizione e imbastito una campagna di terrore e paura con cui ha costretto il paese al voto anticipato. Davutoglu non ha mai nascosto la contrarietà al sistema presidenziale.
Screzi sono nati anche sull’accordo sui rifugiati siglato da Ankara con l’Unione Europea: 6 miliardi di euro in cambio della deportazione in Turchia dei profughi sbarcati in Grecia. Il negoziato con Bruxelles è stato gestito direttamente da Davutoglu, con una collaborazione minima da parte di Erdogan. A monte sta l’atteggiamento più “occidentale” del premier, interessato a imbastire relazioni economiche e politiche con Europa e Usa e in opposizione con la svolta autoritaria da impero ottomano del presidente. Davutoglu guarda a Bruxelles, Erdogan al Medio Oriente di cui intende da anni farsi leader: non a caso il presidente ha sempre sminuito la vittoria del suo premier, la storica abolizione del visto di lavoro per i cittadini turchi diretti in territorio europeo.
Allo stesso modo il premier dimissionario non ha mostrato entusiasmo per l’attacco ai media portato avanti personalmente dal presidente e si è opposto alla detenzione preventiva dei giornalisti indagati, come nel caso del direttore e il caporedattore di Cumhuriyet, Dundar e Gul. Allo stesso modo, riportano fonti interne al governo, Davutoglu non ha lesinato critiche per il pugno di ferro contro il sud-est kurdo: pur appoggiando la campagna militare in corso, aveva paventato la possibilità di riaprire il dialogo con il Pkk, possibilità più volte negata con estrema durezza da Erdogan in ogni occasione utile. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati