A pochi giorni dalla riconversione dello storico sito da museo a moschea, il presidente turco visita Santa Sofia in vista della prima preghiera di venerdì. Un altro passo verso l’islamizzazione di un paese storicamente laico, compiuto in un periodo di grave crisi interna e con un occhio alla leadership del mondo arabo
di Chiara Cruciati
Roma, 20 luglio 2020, Nena News – Non è passato nemmeno un secolo dalla decisione di Mustafa Kemal, il fondatore del moderno Stato turco, di fare di Hagia Sophia, Santa Sofia, un museo, un luogo aperto a tutte e tutti a prescindere dalla loro fede e il simbolo della laicità della Turchia, della separazione tra religione e Stato. A smantellare pezzo per pezzo quell’eredità è il presidente Recep Tayyip Erdogan, leader di un partito – l’Akp – il cui riferimento è la Fratellanza Musulmana, che da anni lavora per islamizzare sempre di più la Turchia e per farne un riferimento politico e culturale nel resto del mondo arabo.
Prima con le scuole religiose del movimento Hizmet dell’ex amico Gulen e con la loro esportazione, poi con le campagne mediatiche e politiche contro i diritti delle donne, infine con i tentativi di imporre capi di vestiario ai dipendenti pubblici. L’ultimo passo è la conversione, o meglio la riconversione, di Hagia Sophia in moschea. Costruita nel VI secolo d.C. come basilica bizantina, divenne moschea dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, per poi essere tramutata in museo da Ataturk nel 1934 con l’obiettivo palese di farne il modello della Turchia moderna post-impero ottomano.
La mossa di Erdogan era attesa da tempo. Ha scelto il momento a lui parso più propizio: la crisi economica interna aggravata dall’epidemia di Covid-19, l’inflazione crescente, lo scontento della popolazione tradotto nell’ultimo anno in sconfitte elettorali pesanti hanno indebolito internamente il “sultano”. Senza contare il fronte esterno, con i rapporti bilaterali con gli alleati più stretti – Stati Uniti e Russia – ridotti ai minimi termini a causa delle avventure belliche turche in Siria e Libia.
Ieri il presidente ha visitato la “nuova” Santa Sofia, per un sopralluogo, dicono i suoi collaboratori. Venerdì si terrà la prima preghiera e c’è chi paventa la presenza del leader. La breve passeggiata è stata l’occasione giusta per una photo-opportunity da regalare alla sua base, mentre la Diyanet – l’autorità religiosa del paese – dava i dettagli su coperture e scoperture dei mosaici cristiani. La moschea resterà visitabile ai turisti, eccetto durante i tempi delle preghiere quotidiane, quando speciali tende copriranno i mosaici di Maria, Gesù, l’arcangelo Gabriele e i vari riferimenti alla tradizione cristiana. O meglio, a essere coperti saranno quelli posizionati in direzione della Mecca, gli altri resteranno visibili anche durante a preghiera musulmana.
L’Unesco, che ha Santa Sofia nella sua lista dei patrimoni dell’umanità, è intervenuta male e tardi con appelli che Ankara non ha voluto ascoltare ripetendo che la struttura resterà aperta a persone di ogni fede per una parte della giornata. Parole che non convincono, la decisione è prettamente politica e investe di petto la natura stessa dello Stato turco di oggi e i suoi tentativi di posizionamento in mondo arabo sempre meno laico. Non a caso la tutela della neo-moschea è affidata all’autorità religiosa e non al ministero del Turismo, come avvenuto per altri siti storici in questi anni di presidenza Erdogan che ha fatto di Diyanet uno strumento di islamizzazione politica e culturale del paese. Nena News