Il disgelo nei rapporti tra i due Paesi sarebbe avvenuto qualche giorno fa a Roma. Il Cairo, intanto, nomina l’ambasciatore in Israele ricoprendo un vuoto diplomatico che durava dall’offensiva israeliana del 2012 su Gaza. Secondo i cablogrammi pubblicati qualche giorno fa da Wikileaks, intanto, decine di sauditi hanno visitato l’ambasciata israeliana a Washington nel 2008
della redazione
Roma, 23 giugno 2015, Nena News - La Turchia e Israele si starebbero riavvicinando. E’ questo il significato di un incontro che sarebbe avvenuto di recente tra le due parti a Roma. “Dopo più di un anno di profondo gelo nelle relazioni turco-israeliane, le trattative per un accordo di riconciliazione tra le due nazioni sono state riprese in un vertice a sorpresa tra il direttore generale del ministero degli esteri israeliano Dore Gold e la sua controparte turca, il sottosegretario Feridun Sinirlioglu” ha scritto ieri sera il quotidiano israeliano Ha’Aretz.
Al momento la notizia non è confermata da nessuna delle due parti. Ufficiali di Ankara, raggiunti stamattina dal quotidiano turco Hurriyet, hanno preferito non commentare la rivelazione del giornale israeliano. Le relazioni diplomatiche tra turchi e israeliani si erano fatte bruscamente interrotte il 31 maggio 2010 quando 9 cittadini turchi e uno americano erano stati uccisi durante l’assalto di alcuni commando israeliani alla nave “Mavi Marmara” che cercava di rompere l’assedio su Gaza. L’episodio sanguinoso aveva portato Ankara e Tel Aviv a richiamare i rispettivi ambasciatori e a ridurre la rappresentanza diplomatica nelle ambasciate dei due Paesi. L’ostilità tra turchi e israeliani aveva dato vita, in più di un’occasione, ad una guerra di parole in cui le due parti si accusavano reciprocamente per le loro politiche.
Un tentativo di porre fine alle divergenze tra i due stati fu promosso dal presidente Usa Barack Obama nel marzo del 2013. L’allora primo ministro Benjamin Netanyahu chiese ufficialmente scusa per le vittime della Mavi Marmara. Ma chi si illuse che quello poteva segnare un nuovo inizio nelle relazioni tra i due Paesi si sbagliava di grosso. Per mesi, infatti, i rimasero in stallo. E un passo in avanti fu registrato solo nel dicembre 2013 quando la Turchia abbassò le sue richieste di compensazione per le vittime della Mavi Marmara. Nel febbraio 2014, secondo alcuni media, Tel Aviv offrì 20 milioni alle famiglie di coloro che erano stati assassinati dai soldati israeliani. Qualche mese dopo, ad aprile, l’allora premier turco Recep Tayyep Erdogan dichiarò in una intervista televisiva che l’intesa sarebbe stata imminente. Ancora oggi, però, (ufficialmente) non vi è ancora un accordo che ufficialmente normalizzi le relazioni tra i due Paesi.
Ma se il (presunto) congelamento dei rapporti tra Ankara e Tel Aviv è ancora alle prime fasi, procede a gonfie vele quello tra israeliani ed egiziani. L’Egitto ha nominato due giorni fa il nuovo ambasciatore nello stato ebraico andando a riempire un vacuum diplomatico che durava da tre anni da quando, cioè, il deposto presidente islamista Mohammed Morsi richiamò in Egitto il suo rappresentante in Israele, Atem Salem, per protestare contro l’offensiva israeliana “Colonna di nuvola” a Gaza. Hazem Khairat, assistente del ministro degli esteri per gli affari consolari e diplomatici, sarà il nuovo uomo del Cairo in Israele. La nomina di Khairat è stata commentata favorevolmente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu qualche giorno fa: “è una bella notizia. Penso che sia buono cementare la pace che esiste tra Egitto è Israele – ha dichiarato il primo ministro – noi lo apprezziamo”.
Sebbene i due Paesi abbiano firmato uno storico trattato di pace nel 1979, il Cairo e Tel Aviv hanno mantenuto pubblicamente un profilo basso nelle loro relazioni. La normalizzazione dei rapporti con Israele – che ha occupato la penisola del Sinai durante la guerra dei sei giorni del 1967 e ne ha mantenuto il controllo fino alla Guerra del Kippur del 1973 – è considerata negativamente dalla maggior parte degli egiziani che sentono molto vicina la questione palestinese.
I rapporti sottobanco tra Tel Aviv e il Cairo sono diventati sempre più alla luce del sole da quando è salito al potere con un golpe militare il generale as-Sisi (ora presidente). Basta vedere la cooperazione tra israeliani ed egiziani riguardo alla questione palestinese: sono entrambi a strozzare la Striscia di Gaza chiudendo i suoi valichi, attaccando i pescatori gazawi, distruggendo i tunnel che portano sì armi, ma anche il materiale indispensabile per poter far vivere una popolazione sotto assedio. Comune ad entrambe è l’obiettivo di indebolire il movimento islamico Hamas.
E, seppur non ufficializzata, anche la normalizzazione delle relazione tra i sauditi e gli israeliani è, nei fatti, in vigore da tempo. L’odio comune verso il “nemico” sciita (Iran), il risentimento di entrambe verso l’amministrazione statunitense per l’intenzione di quest’ultima di firmare un accordo di intesa sul nucleare iraniano, sono stati i temi principali alla base dell’incontro del Council of Foreign Relation di inizio mese a Washington . Nel corso del meeting è emerso apertamente che negli ultimi 17 mesi, rappresentanti dei due Paesi, formalmente ancora “nemici”, hanno avuto cinque incontri segreti per discutere su come contrastare l’Iran. A rappresentare Riyad e Tel Aviv a Washington sono stati un generale saudita, Anwar Majed Eshki e Dore Gold. Al meeting ha preso parte anche l’ex generale israeliano Shimon Shapira che ha affermato compiaciuto che i due Paesi “hanno scoperto di avere gli stessi problemi, le stesse sfide e alcune risposte in comune”, dallo Yemen alla Siria, fino all’Iraq.
E come se non bastassero questi elementi per dare consistenza alla tesi della vicinanza tra Riyad e Tel Aviv, ci sono poi i cablogrammi pubblicati due giorni da WikiLeaks. In uno di questi, datato 14 agosto 2008, il ministro degli esteri saudita scriveva all’ambasciata di Riyad a Washington per avvisare che decine di studenti dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo avevano visitato l’ambasciata israeliana nella capitale Usa all’interno di un programma di leadership internazionale.
Il collaborazionismo arabo con Israele era evidente da lungo tempo. Quello che sorprende sempre di più è che i principali paesi arabi e islamici ammettano ormai sempre più apertamente la normalizzazione dei loro rapporti con lo stato ebraico. Ormai dialogare con Tel Aviv per i dirigenti arabi non è più un fatto disonorevole da nascondere nelle sale riservate di qualche hotel e negli uffici dei rispettivi servizi segreti. E mentre si fanno affari e si contrasta il nemico di tutti (l’Iran) sul tavolo resta, ma messa sempre più da parte, la questione palestinese. Nena News
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