Secondo un tribunale di Istanbul avrebbero avuto legami con il gruppo del religioso Gulen, considerato dal presidente turco Erdogan la mente del fallito golpe del luglio 2016. Le forze armate di Ankara, intanto, avanzano nella regione curdo-siriana di Afrin
della redazione
Roma, 10 marzo 2018, Nena News – Un tribunale di Istanbul ha condannato ieri a vari anni di carcere 25 giornalisti turchi per legami con il gruppo del religioso Fetullah Gulen, considerato dalle autorità locali la mente del fallito golpe del luglio 2016. La maggior parte dei condannati lavorava al quotidiano Zaman (il principale organo di stampa vicino a Gulen), ma puniti con il carcere sono stati anche i dipendenti del magazine Aksiyon e del sito web Rotahaber.
Le pene variano: 10 giornalisti hanno ricevuto una pena di 7 anni e mezzo di carcere, 13, invece, sei anni e tre mesi. Tra questi vi è Hanim Busra Erdal, una delle editorialisti di punta di Zaman. “Solo” tre anni e un mese per il musicista e giornalista Atilla Tas accusato di aver aiutato il gruppo di Gulen (FETO). Se l’è “cavata” con 25 mesi di detenzione invece il collega Murat Aksoy. In realtà Tas e Aksoy potrebbero anche essere liberati a breve: il tribunale, infatti, ha aperto alla possibilità di un loro rilascio a condizione che non lascino la Turchia.
“I miei scritti sono stati critici, ma non merito di essere punito. Così come non merito di essere punito per essere giornalista” ha scritto su Twitter dopo la sentenza Aksoy, negando qualunque legame con l’organizzazione FETO.
Quanto deciso ieri dai giudici è ormai una prassi consolidata nella Turchia del presidente turco Erdogan: sono decine gli operatori dell’informazione in carcere per presunta o vera vicinanza con Gulen o con i curdi del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), organizzazione ritenuta terroristica da Ankara. Ma in prigione è finito anche chi più semplicemente ha osato criticare Erdogan o, recentemente, ha mostrato contrarietà all’operazione militare nella curda Afrin (nord della Siria). Alle critiche (deboli) che giungono dall’Occidente per la repressione messa in atto dal “Sultano”, la Turchia si difende: queste azioni sono necessarie per sradicare l’influenza gulenista dalla società turca. Soltanto lo scorso mese un altro tribunale turco aveva condannato 6 giornalisti all’ergastolo “per aver aiutato FETO” durante il golpe fallito. Gulen e i suoi sostenitori negano qualunque legame con il colpo di stato di due anni fa e parlano di vera e propria “caccia alle streghe” contro di loro.
Le condanne dei giornalisti giungevano più o meno nelle stesse ore in cui le forze armate turche annunciavano di aver preso il controllo di Jandaris, una città a 20 chilometri da Afrin. La conquista di Jandaris – uno dei rari successi militari che Ankara può vantare da quando è iniziata la sua offensiva anti curda lo scorso gennaio – era stata di fatto spianata mercoledì quando i “ribelli” siriani delle Fsa, alleati della Turchia, erano riusciti a catturare una collina che dà sulla città. “L’intera Jandaris è stata liberata dalle gang secessioniste [le unità curde Ypg, ndr]. I combattimenti continueranno finché l’intera Afrin non sarà ripulita” ha detto laconicamente il comandante delle Fsa, Abu Saleh. Ringalluzzito dalle notizie, il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu ha detto che le operazioni militari nel cantone di Afrin dovrebbero terminare per maggio.
Al di là dei comunicati trionfanti, però, al-Jazera fa sapere che i combattimenti sono ancora in corso a Jandaris perché i curdi stanno opponendo una strenua resistenza. Una resistenza a cui si uniranno a breve altri 1.700 combattenti Ypg e Ypj provenienti dalla parte nord-orientale della Siria dove erano impegnati a sconfiggere le ultime tracce dell’autoproclamato califfato islamico (Is).
Ankara vuole chiudere quanto prima la partita nel Rojava: conquistare Afrin vorrebbe dire impedire l’unità dei suoi tre cantoni curdi. Ma anche creare le basi per quella tanto agognata zona cuscinetto al confine turco-siriano in cui poter sistemare molti dei rifugiati siriani presenti sul suo territorio (sono stimati in quasi 3 milioni).
In Siria, però, non c’è solo la mattanza nell’area di Afrin (ieri Erdogan parlava di 3.089 “terroristi” neutralizzati), ma anche quella della Ghouta orientale. La Ghouta, area periferica di Damasco, è sempre più “un inferno in terra” come l’ha definita il segretario Onu Guterres: i bombardamenti continuano e i 400.000 civili sono sempre più vittime del doppio assedio dei governativi e delle opposizioni islamiste. Ieri un secondo convoglio di aiuti umanitari, che sarebbe dovuto giungere nell’area dopo i 46 camion arrivati lunedì, non è riuscito a entrare. A riferirlo è stata la Croce Rossa che insieme all’Onu avrebbe dovuto gestire la distribuzione di cibo e medicinali ai civili. Nena News
Certo, ciò che succede in Turchia è riprovevole. Ma non pensiamo che anche da noi non esiste il “carcere per giornalisti”… specie se si pensa che i criteri che distinguono diffamazione da diritto di cronaca sono spesso suscettibili di interpretazione soggettiva. Come mostrano anche siti specializzati (tipo https://www.diffamazioni.it/) se il criterio della verità del fatto raccontato è (abbastanza) oggettivo, la sua rilevanza sociale e la continenza nel linguaggio (gli altri due requisiti del diritto di cronaca) hanno contorni molto più sfumati.