Nonostante la guerra al movimento kurdo, la repressione della stampa indipendente, gli arresti degli oppositori, il presidente Erdogan non ha modificato le preferenze degli elettori. La situazione è la stessa di giugno
di Chiara Cruciati
Roma, 29 ottobre 2015, Nena News – Erdogan freme: a tre giorni dalle elezioni anticipate in cui ha trascinato un paese colpevole di non avergli riconosciuto la maggioranza assoluta, il presidente opera attraverso una strategia ormai nota per accapparare i voti in più che i sondaggi non gli accordano. Lotta al movimento kurdo e censura alla stampa indipendente.
Le scene che ieri sono apparse nei telegiornali europei non avevano certo il sapore della democrazia: la polizia turca è stata mandata dal governo a chiudere due stazioni televisive considerate critiche dell’operato dell’esecutivo. L’accusa? Aver ordito un colpo di Stato contro il presidente Erdogan. Alle 4 del mattino le sedi di Istanbul della KanalTurk e della Bugun Tv sono state prese d’assalto dalle forze speciali che hanno lanciato gas lacrimogeni per dispedere i manifestanti che volevano imperdire il raid.
Raggiunte le stanze di controllo, i poliziotti hanno interrotto il collegamento e per tutta la mattina tenuto in ostaggio i giornalisti che dalle finestre cercavano di comunicare con l’esterno. Immagini che da sole raccontano molto del clima che l’Akp ha creato in Turchia in anni di stretta ant-democratica: la libertà di espressione è una chimera, gli attacchi a giornalisti e media indipendenti sempre più numerosi, le chiusure dei social network altrettanto. Direttori di giornali considerati nemici vengono sospesi, editorialisti aggrediti sulla carta stampata vicina al presidente, reporter stranieri deportati.
La giustificazione è sempre la stessa: la guerra al terrorismo dell’Isis e del Pkk. Il governo, dopo i raid contro le due emittenti tv, si è difeso: non si tratta di atti contro la libertà di stampa, ma azioni parte della lotta al terrore portata avanti da tanti attori, lo Stato Islamico, il Partito Kurdo dei Lavoratori, i militanti di sinistra e anche dal predicatore turco Fethullah Gulen (che Ankara accusa di finanziare i suoi oppositori). Tutti gli spauracchi di Erdogan in un solo calderone, a cui si aggiunge la percezione di una debolezza economica interna: negli ultimi 5 anni, la crescita del Pil è calata dal 10% al 3%.
Immediata è arrivata la reazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti che hanno espresso preoccupazione per gli attacchi alla stampa turca. Chissà se imbamboleranno gli elettori che il 6 giugno avevano fatto suonare il campanello d’allarme per l’Akp di Erdogan. Anche stavolta i sondaggi non sono rosei. O almeno, ben poco diversi da quelli di 4 mesi fa: la strategia della paura non ha funzionato, montare una campagna anti-kurda e lanciare operazioni militari contro il Pkk nel nord dell’Iraq e nel sud della Turchia non ha pagato.
Ha provocato solo morte e la fine di un cessate il fuoco che il movimento kurdo per tre anni aveva rispettato. Ha costretto città kurdo-turche come Cizre a umilianti assedi, a piangere decine di morti. Ha portato dietro le sbarre centinaia di persone, sospettate di essere legate al Pkk o al partito di sinistra Hdp, trattato alla stregua di un’organizzazione terroristica. Ha provocato attentati terroristici terribili che hanno ucciso quasi 200 persone.
Ma non ha modificato la percezione del popolo turco. Che oggi voterebbe come ha votato a giugno: all’Akp andrebbe il 41,4% contro il 40,8% di giugno, non abbastanza per aggiudicarsi quei 18 seggi in più che gli garantirebbero la maggioranza assoluta in parlamento. Ai kemalisti del Chp i sondaggi assegnano il 26,8% contro il 25,13%; ai nazionalisti dell’Mhp il 15,5% contro il 16,4% e infine alla sinistra dell’Hdp il 12,7% contro il 13%.
È molto probabile che dopo il voto del primo novembre si ripresenterà la stessa situazione dell’estate scorsa: equilibri politici praticamente identici e impossibilità a formare una coalizione di governo. Dopo il voto di giugno, le opposizioni kemaliste e nazionaliste non trovarono un accordo con l’Akp per la creazione di una coalizione di maggioranza, né riuscirono a formarne una – insieme all’Hdp – in funzione anti-Erdogan. Il paese ha però bisogno di stabilità, e non del mero “uomo forte” che in questi anni l’ha trascinato in un clima di paura, e in conflitti concreti, l’ha costretto a modificare il suo storico approccio laico verso uno più islamista, figlio dello stretto legame tra l’Akp e la Fratellanza Musulmana. Nena News