La decisione è giunta dopo che ieri migliaia di tunisini sono scesi in piazza in varie città per protestare contro il governo. Il Paese è travolto dall’aumento dei casi Covid e da una crisi economica che si fa sempre più grave
della redazione
Roma, 26 giugno 2021, Nena News – E’ caos in Tunisia dove ieri il presidente della repubblica Kais Saied ha sospeso il parlamento e ha licenziato il premier Hishem Meshishi. La decisione è giunta dopo che migliaia di persone erano scese in strada in diverse città tunisine ieri per protestare contro la gestione del governo della pandemia e per la difficile situazione economica in cui versa il Paese. Saied ha detto che assumerà ora il potere esecutivo insieme ad un nuovo primo ministro. Sul banco degli imputati ci sono soprattutto gli islamisti della principale forza parlamentare tunisina (Ennahdha) le cui sedi sono state attaccate in diverse città.
La decisione del presidente ha mandato su tutte le furie il presidente del parlamento tunisino, l’islamista Rached Ghannouchi, che accusato il capo dello stato di “lanciare un golpe contro la rivoluzione e la costituzione”. “Crediamo – ha poi aggiunto – che le istituzioni sostengano ancora Ennhdha e il popolo tunisino difenderà la rivoluzione”. Per gli islamisti, si legge in un comunicato pubblicato su Facebook, la mossa di Saied è “un golpe contro la rivoluzione”.
E mentre centinaia di tunisini si ritrovavano davanti la sede del parlamento per protestare contro quello che gli islamisti definiscono un golpe, la polizia stamattina ha perquisito la sede di al-Jazeera nella capitale ed espulso lo staff, chiudendo di fatto l’emittente qatariota. “Non abbiamo ricevuto alcuna notifica di sgombero dalle forze di sicurezza”, ha denunciato il direttore dell’ufficio tunisino Lotfi Hajji.
Quanto accaduto ieri non desta però molte sorprese. I rapporti tra Saied (eletto nel 2019) e il premier Meshishi (che ha succeduto lo scorso anno un esecutivo di breve durata) erano ai minimi termini da mesi. Saied, del resto, aveva più volte minacciato di sciogliere il parlamento e licenziare il primo ministro. E così ieri è stato.
La notizia della fine del governo Meshishi è stata accolta con favore da molti tunisini, soprattutto da quelli scesi in piazza ieri per chiedere riforme economiche e sociali (al momento pie illusioni). Il Paese è in piena crisi Covid: i casi, oltre 200 al giorno, aumentano senza soluzione di continuità. I morti per il Coronavirus sono oltre 18.000 su una popolazione di circa 12 milioni di persone. I numeri sono provvisori perché gli ospedali sono al collasso e il bilancio di morte è destinato a salire.
La decisione di Saied, però, appare vana e sembra più una mossa per dare un contentino ai manifestanti: il punto centrale della questione è che chi governa non ha leadership e non ha la capacità di risolvere i problemi (sanitari, economici e sociali) che affliggono la Tunisia.
Una situazione insostenibile per centinaia di migliaia di tunisini: nonostante sia descritto come unica “primavera araba” di successo, il Paese nordafricano vive una profonda crisi politica e sociale. La tensione politica è altissima: i governi sono deboli – la fragilità dell’esecutivo Meshishi non è infatti una eccezione – e le difficoltà economiche aggravate prima dal crollo del turismo (dopo gli attentati del “califfato” islamico nel 2015) e dalla pandemia non trovano adeguata risposta da parte dei governanti.
Di fronte all’incapacità del governo di rispondere alle istanze della popolazione, ieri migliaia di persone (per lo più giovani) hanno sfidato le restrizioni dettate dal Covid manifestando a Tunisi e in altre città contro Meshishi al coro “Vattene”, chiedendo la dissoluzione del parlamento e nuove elezioni. Le proteste sono state chiamate ieri da un gruppo chiamato “Movimento 25 luglio” e sono avvenute nel 64esimo anniversario dell’Indipendenza della Tunisia.
Forte è stata la presenza della polizia nella capitale, soprattutto nel centrale Avenue Bourghiba, fulcro delle proteste di 10 anni fa contro l’autoritario presidente Ben Ali. Gli agenti hanno usato gas al peperoncino contro i manifestanti che lanciavano pietre. Le sedi del partito islamista Ennahdha sono state assaltate (o i manifestanti hanno provato ad assaltare) a Monastir, Sfax, El Kef, Susse. A Tuzer, è stato appiccato il fuoco al quartier generale islamista. Nena News