L’erede al trono saudita Mohammed bin Salman martedì, al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo che ha sancito la riconciliazione con il Qatar, ha rilanciato gli attacchi a Tehran. Ma la distensione nel Golfo lo rende più forte anche agli occhi della nuova Amministrazione americana
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 7 gennaio 2020, Nena News – L’erede al trono Mohammed bin Salman (MbS) martedì ha accolto con un abbraccio lo sceicco del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani ad Al Ula la città nord-occidentale saudita dove si è svolto il 41esimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo. Per tre anni aveva accusato di tutto il leader qatariota, ora quasi si proclama suo fratello.
Una messinscena. Però l’ennesima, quasi certamente l’ultima, mediazione in Medio oriente dell’Amministrazione Trump ha prodotto almeno in apparenza l’unità delle sei monarchie del Golfo che il potente principe saudita cercava per le sue strategie contro l’Iran e nel rapporto con la Casa Bianca dove si appresta a entrare Joe Biden.
Tutti i regni del Golfo sono alleati di ferro degli Stati Uniti e ospitano basi navali e truppe Usa. Biden però segnala che, a differenza di Trump, vigilerà di più sulle violazioni dei diritti umani nel Golfo e sulle conseguenze per i civili yemeniti della guerra ai ribelli sciiti Houthi condotta dai Saud. Riyadh ritiene di poter parare i possibili colpi della nuova Amministrazione Usa presentandosi alla guida di un fronte compatto delle petromonarchie.
Per la riconciliazione le parti coinvolte si impegnano a rafforzare la fiducia reciproca: l’Arabia Saudita, gli Emirati e il Bahrein toglieranno il blocco ai trasporti qatarioti, Doha da parte sua annullerà le azioni legali contro i paesi vicini. Cesserà inoltre gli scambi di accuse. MbS non ha fatto mistero del significato che lui assegna all’«accordo per la solidarietà e la stabilità» annunciato lunedì dal Kuwait e firmato il giorno dopo.
Le sei monarchie, ha spiegato, «hanno il bisogno urgente di unire i loro sforzi per fare fronte alle sfide che ci circondano, in particolare le minacce poste dal programma nucleare e dai missili balistici del regime iraniano». Proprio l’asserita vicinanza all’Iran di Doha – peraltro alleata della Turchia avversaria dei sauditi – aveva spinto Riyadh ad annunciare nel giugno del 2017 una pioggia di sanzioni contro il piccolo ma ricco Qatar. La riconciliazione, raggiunta grazie alla mediazione svolta da Jared Kushner, inviato speciale e genero di Donald Trump, permette all’Arabia saudita di ribadire con più forza alla futura Amministrazione Usa che dovrà confermare le pressioni economiche e politiche su Tehran e congelare l’idea del rientro degli Stati uniti nell’accordo internazionale del 2015 sul nucleare iraniano.
Le relazioni con l’Amministrazione Biden e la questione iraniana non sono le uniche questioni sul tavolo. L’accordo nel Ccg influenzerà solo in parte le dinamiche geopolitiche al di là del Golfo. A partire dal rapporto con i Fratelli musulmani, considerati nemici pericolosi dall’Arabia saudita, Egitto ed Emirati e invece interlocutori autorevoli dal Qatar (e dalla Turchia di Erdogan). Non bisogna farsi ingannare dal viaggio in Egitto, per la prima volta in tre anni, di un ministro qatariota, Ali Sharif Al Emadi.
Il Qatar, che da anni svolge una intesa politica estera, continuerà ad appoggiare la Fratellanza in Egitto dove è stata messa al bando dopo il golpe militare del 2013 che ha portato al potere El Sisi. E altrettanto farà in Libia dove l’Egitto al contrario sostiene assieme agli Emirati il generale Khalifa Haftar avversario degli islamisti al potere a Tripoli.
E lo sceicco Al Thani non rinuncerà neanche a sponsorizzare a Gaza il movimento islamico Hamas da sempre nel mirino dei sauditi. Allo stesso tempo non muterà la linea saudita in Yemen. Nello scenario siriano Doha e Riyadh, ancora più di prima, proseguiranno l’aiuto ai rispettivi gruppi jihadisti e islamisti che sponsorizzano da quasi dieci anni con l’obiettivo di far cadere Bashar Assad.
Tra gli spettatori interessati ai riflessi della distensione nel Ccg c’è anche Israele forte dell’Accordo di Abramo, la normalizzazione avviata di recente, grazie a Donald Trump, con quattro paesi arabi (Emirati, Bahrain, Sudan e Marocco). I media israeliani prevedono che la fine dello scontro tra qatarioti e sauditi favorirà l’avvio di relazioni tra lo Stato ebraico e altri Stati arabi. Proprio il Qatar, aggiungono, potrebbe essere il prossimo ad allacciare rapporti ufficiali con Tel Aviv.