Tra le piante prese di mira negli anni da Israele c’è anche lo zaatar, una delle erbe che segnano l’identità del popolo palestinese
di Patrizia Cecconi
Roma, 7 maggio 2020, Nena News – Poco tempo fa Israele, nella sua instancabile azione devastatrice delle condizioni di vita dei palestinesi, ben sapendo che l’identità culturale di un popolo si fonda anche sulle tradizioni alimentari, ha emanato una disposizione che limita la raccolta di una pianta selvatica che cresce sulle colline della Cisgiordania e che è considerata talmente pregiata nella tradizione culinaria palestinese che quando la si raccoglie, in primavera, se ne fanno scorte sufficienti per averne a disposizione fino alla primavera successiva.
Stiamo parlando dell’akub, nome locale della Gundelia tournefortii di cui abbiamo già scritto in questa rubrica (v. Territorio e identità del 15/09/2014) dedicando al piccolo raccoglitore di akub Yusef Abu Aker, assassinato da un cecchino, il mito greco relativo a questo genere di piante.
Ora, nel suo accanirsi, inventando ogni giorno qualcosa di nuovo oltre agli arresti, alle uccisioni, alle demolizioni di case, di scuole e, in questo periodo, anche di ospedali da campo eretti per far fronte al Covid-19, Israele ha deciso di tornare a infierire ulteriormente sulla raccolta di erbe spontanee che la terra di Palestina offre ai suoi abitanti e che questi apprezzano ed usano per curarsi e per alimentarsi.
Tra le piante prese di mira da Israele non c’è solo l’akub, ma anche la salvia, l’issopo, il timo, tutte erbe che hanno un ruolo importante nella tradizione palestinese e di cui Israele già in passato ha tentato di impedire la raccolta. Per dirla con le parole di una signora che la scorsa primavera vendeva salvia, menta, portulaca, malva e akub nel suq di Gerusalemme, “se potessimo mangiare i sassi Israele ci impedirebbe di raccogliere anche quelli”.
Tornando all’akub, lo conobbi andando sulle colline di Betlemme per cercare di raggiungere un villaggio distrutto nel ‘48. Non arrivammo al villaggio perché i soldati occupanti bloccavano la strada, ma in compenso, camminando tra povere rovine rimaste sui prati dove 72 anni fa sorgevano altri villaggi, trovammo qualche akub, tanta “giada”, un’erba che si usa contro la gastrite, e tanto zaatar. Là una macina di molino, più giù l’entrata di una moschea ormai fantasma, poi qualche grande pietra rimasta incredibilmente al suo posto, ma sola. E ogni tanto le buche di antiche cisterne. E verde, tanto verde. Quello che esplode in primavera ricoprendo pietosamente le macerie di crimini mai puniti.
Quel giorno, sotto il sole di un caldissimo giugno, ho finalmente risolto la querelle sulla vera natura dello zaatar, che qualcuno dice sia timo e qualcun altro origano! Entrambe le specie in fondo appartengono alla stessa famiglia, quella delle labiate e presentano caratteristiche alimentari e terapeutiche simili, tanto da poter essere intercambiabili. Entrambe, nel corso dei secoli, hanno prodotto numerosissime varietà ibride che rendono più numerosa la famiglia botanica che le riguarda e più difficile l’attribuzione del termine zaatar esclusivamente all’una o all’altra.
Quello che stavamo raccogliendo era una varietà montana di Origanun vulgaris a foglia molto stretta e somigliante al Thymus vulgaris (e anche al Thymus capitatus) col quale condivide praticamente tutti i principi attivi, a parte il profumo che essiccandosi aumenta. I fiori di entrambe le piante variano dal bianco al rosa violaceo e sbocciano all’apice degli steli. Il termine arabo zaatar si riferisce ad entrambe. Entrambe sono originarie della zona che va dal Mediterraneo al nord Africa ed entrambe sono utilizzate dalla notte dei tempi, sia per usi alimentari che medicinali e igienizzanti. L’olio essenziale di timo, in particolare, veniva già usato dagli egiziani per le imbalsamazioni data la sua capacità di impedire la putrefazione essendo fortemente antibatterico.
I nomi scientifici delle due piante che gli arabi chiamano zaatar provengono dal greco: Origanum, significa splendore della montagna, forse per la bellezza dei suoi cespuglietti durante la fioritura, mentre Thymus ha un significato più complesso, che possiamo sintetizzare in “principio di vitalità, coraggio, vigore, respiro” e si riteneva desse beneficio al cuore e ai polmoni.
Si trattava di credenze popolari, certo, ma l’esame dei principi attivi, avvenuto tanti secoli dopo, dà senso a quelle credenze offrendo loro una veste scientifica ormai consolidata. Infatti, le numerose vitamine contenute nello zaatar, tra cui la vitamina K, un anticoagulante il cui fabbisogno giornaliero è soddisfatto con soli 4 g di quest’erba; le proprietà antiossidanti dovute al contenuto di Omega3 e Omega6; i numerosi sali minerali tra cui il calcio, il fosforo, il magnesio e il potassio che hanno effetto positivo sia sul sistema circolatorio che sull’apparato osseo e sul sistema nervoso; i due più importanti fenoli (il timolo e il carvacrolo) che ne fanno un ottimo antidoto contro le infezioni dell’apparato respiratorio, rendono lo zaatar un prezioso regalo della terra ai palestinesi i quali, grati di ciò, hanno fatto di queste aromatiche un alimento presente ad ogni pasto, con aggiunta di sesamo e a volte di sumaq e inseparabile da ogni tavola che riconosca nella tradizione alimentare anche la propria identità culturale.
Tentando un’ipotetica correlazione tra le proprietà antinfiammatorie, protettrici delle vie respiratorie, fluidificanti e altamente immunizzanti di questo alimento consumato quotidianamente in grande abbondanza in Palestina, e il basso numero di palestinesi aggrediti dall’epidemia di Covid-19, senza attribuire allo zaatar proprietà miracolose, alcuni palestinesi ipotizzano che il suo potere di stimolare il sistema immunitario possa essere uno dei motivi per cui i palestinesi, nonostante le condizioni in cui sono costretti a vivere, siano meno colpiti dal nuovo virus di quanto non lo siano gli israeliani i quali, pur vivendo sulla stessa terra palestinese, provengono in gran parte da paesi occidentali ed hanno diverso patrimonio genetico e diverse culture alimentari.
Israele sa che lo zaatar ha realmente la capacità di tonificare il corpo e la mente, come afferma ogni palestinese e, con la scusa strumentale di proteggere l’ambiente (lo stesso che occupa illegalmente) tenta da decenni di impedirne ai palestinesi la raccolta. Poi, basta fare un giro per le erboristerie di Gerusalemme ovest per scoprire che lo zaatar palestinese viene venduto in forma di olio essenziale o di tintura madre o di droga secca per tisane col nome di “israeli thyme”!
Comunque lo si chiami, l’uso alimentare che ne fanno i palestinesi rende lo zaatar una delle erbe che segnano l’identità di questo popolo letta attraverso il cibo, quel trasmettitore di cultura antropologica che si lega alla terra e che si può riscontrare ovunque, dalla poesia alla tavola, ricca o povera che sia, in qualunque angolo della Palestina e, come scriveva Salman Natur in “Memoria”, è l’erba che dà vita a ricordi che gli occupanti vorrebbero cancellare. I palestinesi sanno bene che è proprio da questa terra che viene la loro forza e, sempre citando Salman Natur, sanno che se perderanno la memoria le iene li sbraneranno. Nena News
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