Ankara avanza nella città curda, forte della sua superiorità militare e del silenzio internazionale. Le autorità turche parlano con insistenza di “safe-zone” al confine in cui sistemare parte dei rifugiati siriani presenti in Turchia. L’Europa tace e gira ad Erdogan il secondo assegno da 3 miliardi di euro pur di non vederli sul suo territorio
di Roberto Prinzi
Roma, 15 marzo 2018, Nena News – Alla fine la caduta di Afrin annunciata ieri da Erdogan (ma subito smentita dal suo staff) non c’è stata. Eppure Ankara può vantarsi dei risultati militari finora acquisiti. Oggi il portavoce presidenziale Ibrahim Kalin ha detto baldanzoso che “più del 70% di Afrin è stato assicurato”. “Il cerchio – ha detto al canale TRT Haber – si è chiuso completamente attorno ai terroristi. Prevediamo che il centro della città sarà a breve del tutto ripulito dai terroristi”. Kalin, sfregandosi le mani per un successo che sente ormai alla portata, ha poi aggiunto: “[I curdi del Rojava] volevano fare di Afrin una nuova Qandil [aera nel nord dell’Iraq dove si trova la dirigenza del Pkk, ndr]. Questo desiderio è stato rimosso attraverso l’operazione Ramoscello d’Ulivo”. I curdi, ha spiegato, saranno “molto presto” cacciati dalle forze turche e dagli alleati dell’Esercito siriano libero (Fsa), ma il territorio non verrà consegnato al governo siriano.
Kalin ha poi confermato l’esistenza di un accordo tra la Turchia e gli Stati Uniti sulla vicina Manbij: qui, ha chiarito, verrà formata una “zona cuscinetto” se Washington manterrà le sue promesse. L’arrivo di Pompeo al Dipartimento di Stato – ha poi tranquillizzato – “non cambierà l’intesa anche se questo dovesse comportare un ritardo di una o due settimane”.
Il capo di stato maggiore turco Hulusi Hakar, invece, ha aggiornato stamane il conto dei “terroristi” finora “neutralizzati”: sono 3.500 i curdi uccisi, catturati o che si sono arresi. Ovviamente, ha aggiunto Hakar, le operazioni sono avvenute con “la massima cura” per evitare danni ai civili. Proprio a quest’ultimi ieri Erdogan ha promesso di mettere a disposizione dei veicoli per la loro evacuazione attraverso corridoi umanitari individuati dalle truppe turche.
Il capo di stato maggiore ha ripetuto oggi il solito copione: l’operazione militare ha come obiettivo quello di “dare sicurezza e stabilità lungo il confine turco-siriano e proteggere i siriani dall’oppressione e dalla crudeltà dei terroristi”. L’obiettivo turco, confermato anche implicitamente da Kalin, è chiaro: creare una safe zone in cui poter trasferire buona parte dei siriani rifugiati in Turchia (circa 3,5 milioni). Oltre a disfarsi così del “fardello” dei profughi, che non poche volte ha creato problemi e agitazioni sociali in Turchia, Ankara vuole di fatto a cambiare la demografia dell’area sostituendo i curdi (nella provincia di Afrin la maggioranza della popolazione) con i siriani arabi. Ovviamente i carcerieri di questa “safe zone” saranno i fidi alleati dell’Esercito siriano libero, una nebulosa galassia di brigate più o meno islamiste che tutto sono purché “moderate” come sostengono le cancellerie occidentali.
Di fronte ai piani turchi, la comunità internazionale, a partire da quella europea, continua a tacere schierandosi nei fatti con Erdogan. Il presidente-sultano non piace a Bruxelles (i continui litigi per le trattative d’ingresso della Turchia in Europa sono emblematici), tuttavia è una alleato indispensabile per impedire l’ingresso dei rifugiati siriani nella Fortezza Europa. E proprio per questo motivo, rispettando l’intesa di due anni fa già costata 3 miliardi di euro, nelle stesse ore i cui la popolazione di Afrin viveva l’ennesima giornata incubo per via delle violenze turche, la Commissione europea girava nelle casse di Ankara la seconda tranche da 3 miliardi di euro per scongiurare qualunque presenza in territorio europeo di “ospiti” non graditi.
Nonostante l’accerchiamento totale, l’isolamento internazionale e il tradimento americano, la comunità curda di Afrin continua a resistere e a restare compatta. Ieri si sono registrate file alle cliniche cittadine per donare il sangue mentre alcuni forni hanno distribuito il pane gratis. Una umanità che stona con i raid turchi che da settimane colpiscono in modo imperterrito l’area in cui avevano trovato riparo migliaia di persone in fuga dagli orrori della mattanza siriana.
Non è chiaro quante vittime civili abbia provocato l’offensiva Ramoscello d’Ulivo da quando è iniziata lo scorso 20 gennaio. Secondo il Consiglio per la salute di Afrin fino a lunedì erano 232 i civili uccisi, 668 i feriti. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir