Negli scorsi giorni Mosca e Ankara si sono incontrati a Doha per tentare di costruire un quadro comune sul dossier siriano che esclude ancora una volta gli Stati Uniti. Non mancano però gli attriti tra i due Paesi: è il caso della provincia nord occidentale di Idlib, bubbone jihadista controllato dai turchi
di Marco Santopadre
Roma, 17 marzo 2021, Nena News – Pur essendo competitori diretti in Libia e nel Caucaso (dove hanno ridotto al minimo l’influenza di altre potenze internazionali fino a qualche anno fa egemoni), Russia e Turchia sembrano voler rafforzare la cooperazione in Siria a dieci anni dall’inizio del conflitto che ha ridotto buona parte del paese in un cumulo di macerie. Nei giorni scorsi i rappresentanti di Mosca – principale sponsor internazionale del governo di Damasco, la cui caduta è stata evitata proprio grazie all’intervento militare russo nel 2015 – e di Ankara – capofila della Fratellanza Musulmana e sponsor della “ribellione” fondamentalista al regime siriano – si sono incontrati per tentare di costruire un comune quadro di cogestione della crisi che tutto sembra tranne che risolta. L’incontro tra i rispettivi ministri degli Esteri è avvenuto a Doha, ospitato dal regime del Qatar rappresentato dal capo della diplomazia locale Mohammed bin Abdulrahman al Thani. I tre hanno annunciato che il prossimo incontro si terrà in Turchia.
Nel corso della conferenza stampa conclusiva, il ministro degli Esteri del Qatar – paese arabo sunnita stretto alleato di Ankara – ha sottolineato che l’emirato «non ha bisogno di una presenza militare in Siria» e che «sostiene una soluzione pacifica della crisi in corso». Paradossalmente il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, rappresentante di un paese che ha invaso e occupato un’ampia porzione di territorio nel Nord della Siria dopo aver tentato per anni di rovesciare il regime di Damasco finanziando e armando varie milizie jihadiste comprese quelle di Al Qaeda e dello Stato Islamico, ha assicurato che la Turchia «continuerà a difendere l’integrità territoriale della Siria, proteggere i civili, combattere i gruppi terroristici». «Piuttosto che cercare di prendere accordi con il regime di Bashar al Assad, la comunità internazionale dovrebbe cercare modi per cooperare con i siriani», ha dichiarato il responsabile della diplomazia turca chiarendo che l’intento di Ankara è quello di concentrarsi «su un processo politico, che è qualcosa che il regime non farà fino a che sarà ancora legittimato dalla comunità internazionale». «Oggi abbiamo avviato un nuovo processo di consultazione trilaterale» con l’obiettivo di «discutere di come possiamo contribuire agli sforzi per una soluzione politica duratura in Siria» ha spiegato Cavusoglu.
Da parte sua Sergej Lavrov ha ringraziato il Qatar “per il suo contributo alla pace in Siria” e ha chiarito che il formato tripartito inaugurato a Doha non sostituisce il formato di Astana – al quale prendono parte Russia, Turchia ed Iran – ma lo completa. Nel suo intervento anche Lavrov ha aggiunto che Russia, Turchia e Qatar sono determinati a contrastare i tentativi di spartizione della Siria ed ha negato che esistano piani per la realizzazione di pattugliamenti congiunti in territorio siriano tra le forze militari dei tre paesi a parte quelli già previsti dagli accordi bilaterali tra Mosca e Ankara nell’area di Idlib.
La celebrazione dell’incontro di Doha sembra indicare l’accettazione, da parte della Russia, di un maggiore ruolo nella gestione del quadro siriano per alcuni degli sponsor della ribellione fondamentalista contro il regime di Damasco, da affiancare al terzetto di Astana i cui rappresentanti si sono riuniti a Sochi alla fine di febbraio. Pur accrescendo il peso della Turchia, anche attraverso l’ingresso esplicito in scena del suo alleato qatarino, l’ulteriore patto di consultazione sulla Siria esclude ancora una volta gli Stati Uniti, che pure nelle ultime settimane hanno spostato nel sud della Siria parte delle proprie truppe dislocate precedentemente in territorio iracheno.
Inoltre Russia e Turchia hanno firmato fondamentali accordi nel campo energetico e petrolifero, e non è un segreto che Mosca miri ad allontanare sempre più Ankara dall’ombrello strategico statunitense. Opposte nella prima fase del conflitto siriano, Russia e Turchia hanno sfiorato lo scontro diretto quando il 24 novembre 2015 alcuni F-16 dell’aeronautica turca hanno abbattuto un caccia bombardiere Su-24 russo. La crisi tra i due Paesi, con lo schieramento di sistemi anti-aerei di ultima generazione sia da parte di Mosca nelle basi siriane di Khmeimim e Latakia, che della Turchia sul confine siriano, si è protratta fino al giugno del 2016. Da allora si è assistito ad un cambio di rotta, e i due paesi hanno avviato una collaborazione crescente che ha portato all’avvio dei colloqui di Astana nel gennaio del 2017 insieme all’Iran, rendendo i tre Paesi garanti del cessate il fuoco nelle zone di maggiore tensione tra le forze di Damasco e i miliziani jihadisti sostenuti dalla Turchia.
Questo non ha impedito alla Turchia di continuare a perseguire i propri progetti annessionistici in Siria, a partire da varie operazioni militari lanciate contro le Forze Democratiche Siriane a guida curda, in gran parte abbandonate al loro destino dagli Stati Uniti, e dall’occupazione di una parte dei territori precedentemente controllate dalle Ypg e poi della provincia di Idlib.
È proprio attorno a questa città della Siria nord occidentale, dove negli ultimi anni si sono asserragliati decine di migliaia di jihadisti siriani e stranieri, sostenuti dalle truppe di Ankara e dalle truppe mercenarie al loro seguito (inquadrate nel cosiddetto Esercito Nazionale Siriano), che si concentrano gli attriti tra Russia e Turchia.
Mentre le diverse fazioni jihadiste hanno accentuato la conflittualità interna alla zona di Idlib – combattimenti tra diversi gruppi sono segnalati da diverse settimane – e nonostante gli impegni solennemente assunti all’interno delle “camere di compensazione” con la Russia, le forze militari dispiegate dalla Turchia nella provincia di Aleppo hanno recentemente avviato una ridislocazione e un rafforzamento delle proprie postazioni nella base di Al Mastuma, che di fatto è diventata il centro del dispositivo militare turco in Siria. Inoltre Ankara ha fondato una nuova base nei pressi dell’autostrada M4 nelle vicinanze della cittadina di Ain Issa, nel nord della provincia di Raqqa.
Nei territori siriani sotto il suo controllo Ankara ha imposto l’uso della lira turca e i servizi sanitari, scolastici, postali, idrici ed elettrici sono tutti gestiti da compagnie turche, come d’altronde accade per la distribuzione dei carburanti e la gestione di Internet. Difficile quindi pensare che l’occupazione della siria nord-occidentale da parte di Ankara possa essere facilmente messa in discussione dalle richieste in tal senso da parte di Mosca o Teheran.
Ed infatti non mancano le scaramucce militari tra i soci dei tavoli di Astana e di Doha: il 6 marzo alcuni missili lanciati dalle navi da guerra russe hanno bersagliato alcune raffinerie situate nei pressi di Jarablus, in un’area sotto il controllo delle milizie di cui Ankara muove i fili, causando considerevoli danni e alcune vittime. Nena News