Stavolta però la guerra è solo fittizia: Mosca e Washington stanno già cooperando ma non lo dicono. Intanto il presidente Assad vola in Russia per incontrare Putin
della redazione
Roma, 21 ottobre 2015, Nena News – Una visita che ha sorpreso i media di tutto il mondo, la prima all’estero dal 2011: ieri il presidente siriano Assad è volato a Mosca per incontrare il presidente Putin, l’uomo che lo sta salvando dalle sabbie mobili della guerra civile siriana.
I due si sono incontrati al Cremlino e hanno discusso dell’andamento della campagna militare contro lo Stato Islamico. Pochi i dettagli trapelati dai rispettivi portavoce: Putin ha detto che la Russia intende dare il suo contributo “non solo nell’ambito dell’azione militare ma anche in quello del processo politico”. Da parte sua Assad ha ringraziato la controparte per il sostegno militare fornito da quasi un mese e che sta garantendo al governo di Damasco di lanciare le prime vere controffensive da mesi.
La visita è giunta a poche ore dalla firma del memorandum d’intesa tra Russia e Stati Uniti, un accordo sulle procedure da seguire nei cieli siriani per evitare scontri accidentali tra jet militari. Anche in questo caso i dettagli – su richiesta russa – non saranno diffusi; si sa però che sarà creata una linea di comunicazione diretta le due parti, nel caso quella aerea non funzioni. Una sorta di “linea rossa”, memoria degli anni ’60.
E se è vero che il pericolo è concreto (in almeno due occasioni, aerei americani e russi hanno volato a pochissima distanza l’uno dell’altro), il memorandum appena firmato è il paravento di una cooperazione indiretta. Le due aviazioni stanno combattendo – almeno ufficialmente – lo stesso nemico, lo Stato Islamico e i gruppi islamisti e li bombardano in zone diverse (Mosca a nord ovest e al centro, Washington a nord est). E, nonostante le accuse incrociate di intervento illegittimo, le critiche su reali o fittizi obiettivi, le parole della Nato che prospetta una nuova guerra fredda, le due super potenze non intendono mettersi i bastoni tra le ruote.
Entrambe sono consapevoli degli equilibri sul terreno e della necessità di una cooperazione militare e poi diplomatica per giungere alla tanto agognata transizione politica. La Casa Bianca insiste sull’assenza di Assad, ma di aperture in tal senso ne ha già compiute (come ieri l’ha compiuta la Turchia che per la prima volta ha accettato la presidenza ad interim per sei mesi di Assad una volta avviato il processo di pace).
Ancora ieri il Dipartimento alla Difesa Usa ripeteva che l’intervento russo peggiora le cose perché infiamma le violenze. Difficile infiammarle più di così: 250-300mila morti in 4 anni, 11 milioni di profughi tra rifugiati all’estero e sfollati interni, intere città rase al suolo, un’economia allo stremo, autorità diverse e rivali che governano il paese. La Siria è stata già fatta a pezzi e, sebbene sia chiaro che né Mosca né Washington intervengono per porre fine alle sofferenze dei civili, la collaborazione tra le due potenze potrebbe piegare le gambe all’Isis e ai tanti gruppi islamisti presenti sul terreno.
Gli ultimi giorni hanno visto una serie di passi in avanti compiuti da diversi attori del conflitto. Ad Aleppo prosegue la controffensiva del governo, sostenuto da combattenti di Hezbollah e truppe iraniane, oltre che dai raid russi. A nord est sono invece i combattenti kurdi, cristiani e siriaci che stanno mantenendo le posizioni e costringono lo Stato Islamico allo stallo. In un simile contesto, era ovvio che la Casa Bianca optasse per un cambio di strategia: ora le armi andranno ai kurdi delle Ypg, valenti combattenti, e non più per l’addestramento dei ribelli moderati in Turchia.
Una prospettiva che terrorizza il presidente turco Erdogan che vede così infrangersi i sogni di gloria coltivati negli ultimi 4 anni: Assad non cade, il movimento kurdo non viene piegato, la zona cuscinetto non si farà. Non resta che cercare di rientrare nella guerra civile dalla finestra, dopo essere stati cacciati dalla porta: Assad può restare, ha detto il governo turco ieri, per sei mesi, fase di transizione prima delle elezioni. Ad oggi dimenticano tutti di chiedere il parere del popolo siriano. Nena News
Per le elezioni presidenziali in Siria mi pare troppo presto.
Potrebbero essere anticipate quelle legislative, ma l’opposizione le rifiuterà, come le ha sempre rifiutate, perché sanno di perderle.