In pochi mesi lo Stato Islamico ha raddoppiato i territori sotto la propria influenza: un terzo del paese sotto al-Baghdadi, che ne ha strappato il controllo non a Damasco ma alle opposizioni rivali.
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 17 gennaio 2015, Nena News – «Voci infondate». Così il ministro degli Esteri Gentiloni ha bollato ieri le notizie che giovedì sera giravano tra i media arabi, prontamente riprese da quelli italiani: il pagamento di un riscatto da 12 milioni di dollari ai qaedisti di al-Nusra per riavere indietro Greta e Vanessa. Il governo italiano ci tiene a sottolineare che Roma «rispetta le regole internazionali», ovvero il divieto a versare tali somme nelle casse di gruppi terroristici in cambio della vita di propri cittadini.
Una pratica comune a molti governi occidentali, ma malvista da altri che la ritengono il migliore degli incoraggiamenti ad altri rapimenti e, soprattutto, un concreto aiuto alla causa jihadista: secondo un’indagine del New York Times dello scorso anno, dal 2008 al 2014 gruppi-satellite di al Qaeda avrebbe incassato 125 milioni di dollari in riscatti.
Difficile quantificare con esattezza quelli finiti nelle casse dello Stato Islamico, organizzazione che gode di una ricchezza senza precedenti, con entrate giornaliere che sfiorano i 3 milioni di dollari grazie alla vendita sottobanco di greggio siriano e iracheno. Secondo calcoli dei servizi segreti Usa di novembre, l’Isis si sarebbe garantito con i riscatti 45 milioni di dollari in pochi mesi.
L’incalcolabile ricchezza finanziaria di cui fa vanto il califfo al-Baghdadi spiega in parte – insieme al potente messaggio di propaganda – le conquiste finora registrate sul terreno: dopo aver occupato in pochi mesi un terzo dell’Iraq, l’Isis sta per archiviare l’identico obiettivo anche in Siria. Nonostante i 790 raid aerei della coalizione internazionale, lo Stato Islamico continua ad espandersi, mangiando territorio non al governo Assad ma alle opposizioni moderate e islamiste rivali.
Oggi le zone siriane sotto l’influenza dell’Isis sono il doppio di quanto non fossero prima dell’inizio dell’operazione militare occidentale. Ormai a soli 30 km da Aleppo, il gruppo controlla quasi per intero le regioni nord-orientali della Siria, da cui ha allontanato con la forza i ribelli che da quattro anni combattono Damasco. La strategia è semplice e efficace: dopo aver assunto il controllo delle zone rurali delle province a est, come una macchia d’olio l’Isis si è allargato a nord, verso il Kurdistan siriano, e a ovest verso le grandi città, Raqqa in primis. Oggi gli islamisti di al-Baghdadi controllano ampie porzioni del deserto di Homs, a sud di Aleppo, sempre più vicina.
Il sogno del califfato che si avvera? A guardare la mappa, parrebbe di sì: il corridoio di terre immaginato da al-Baghdadi, dalla provincia orientale irachena di Diyala alla città siriana di Aleppo, è quasi interamente in mano allo Stato Islamico. Che punta ora al “lontano ovest”: con sacche di miliziani lungo il confine con il Libano e un migliaio di infiltrati nel paese dei Cedri, nella regione di Qalamoun, al-Baghdadi sembra pronto al grande balzo, che potrebbe concretizzarsi se Aleppo dovesse cadere.
A frenarne – in parte – l’avanzata verso il nord e il confine con la Siria sono le comunità kurde: alcune sono finite sotto lo stivale jihadista, ma molte altre si contendono con l’Isis il controllo del territorio combattendo in prima linea, strada per strada.
Non fanno invece il loro dovere gli altri nemici giurati dell’Isis: la coalizione non gode di buoni contatti sul terreno, a differenza dell’Iraq, dove l’esercito di Baghdad e i peshmerga forniscono serie informazioni di intelligence. Il principale alleato Usa, l’Esercito Libero Siriano, ha perso in pochi mesi quasi la metà dei territori che controllava a metà 2014, a favore dell’Isis. Assenti sul campo di battaglia, quasi del tutto insignificanti sul piano diplomatico, le opposizioni moderate non possono assolvere al compito di stivale sul terreno di Washington.
Le conseguenze sono visibili a tutti: l’inarrestabile avanzata islamista è foraggiata indirettamente dai suoi stessi avversari.
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