Esplosioni nel sobborgo di Damasco durante le cinque ore di tregua russa: due morti. Scambio di accuse tra governo e opposizioni che ora promettono di cacciare al Nusra. Anche la Turchia prosegue nei raid: 192 civili uccisi ad Afrin dal 20 gennaio
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 28 febbraio 2018, Nena News – Le notizie che arrivavano ieri da Ghouta est, filtrate dalle rispettive propagande, davano indietro un quadro torbido: nelle cinque ore giornaliere di pausa umanitaria – indetta dal presidente russo Putin ed entrata in vigore ieri – gli scontri non sono cessati. Seppur sporadiche, esplosioni sono risuonate nel sobborgo di Damasco, casa-prigione a 400mila persone.
E i corridoi umanitari individuati dalla Russia, la cui localizzazione è stata comunicata ai civili con volantini e sms, sono rimasti vuoti: delle centinaia di persone intrappolate dal 2013 nessuna ha tentato la fuga. E le agenzie umanitarie non sono riuscite a far passare gli aiuti per il fuoco dei missili: non si esce e non si entra.
Civili ostaggi delle opposizioni islamiste presenti nella Ghouta orientale, dice Damasco, che riporta di colpi di mortaio caduti non solo sulle zone residenziali della capitale, come avviene da anni, ma anche sul campo di al-Rafidain e sulle vie di fuga, il checkpoint di al-Wafideen, dove autobus governativi attendevano eventuali sfollati.
I civili sono usati come scudi umani, denuncia Damasco, dall’ex al-Nusra e i suoi affiliati, assedianti interni del sobborgo. Che rispondono: la gente non scappa perché teme una trappola governativa. Secondo i miliziani, ieri l’aviazione siriana ha compiuto una decina di raid durante la finestra di tregua, tra le 9 e le 14. Due i morti e 16 i feriti per missili, di diversa attribuzione a seconda della fonte.
Una situazione identica all’inferno vissuto da Aleppo nell’inverno 2016: a fronteggiarsi forze e narrative diverse. Osservatori esterni si chiedono perché Assad dovrebbe proseguire nel bombardamento indiscriminato di Ghouta, sapendo di attirarsi lo sdegno internazionale, soprattutto dopo l’annuncio in pompa magna di Putin. C’è chi risponde che l’obiettivo è annientare le opposizioni islamiste il prima possibile, chi mette in dubbio la potenza di fuoco vomitata sul sobborgo.
Reagisce anche la Russia che accusa le opposizioni di bugie e abusi contro i civili, di fatto prigionieri: a mezzogiorno di ieri, dice il centro di comando russo in Siria, i miliziani hanno lanciato una nuova controffensiva, «azioni accompagnate da intenso fuoco di artiglieria». Il ministro degli Esteri Lavrov ha comunque annunciato il mantenimento dei corridoi umanitari.
Ma a farsi avanti sono le stesse opposizioni: in una lettera all’Onu tre dei cinque gruppi presenti nella comunità – Jaysh al-Islam, Ahrar al-Sham e Faylaq al-Rahman – hanno manifestato l’intenzione di «deportate del tutto» i miliziani dell’ex al-Nusra e le loro famiglie entro 15 giorni dall’entrata in vigore della tregua prevista dalla risoluzione Onu di sabato. Così verrebbe meno la contraddizione contenuta in quella risoluzione, che esclude dal cessate il fuoco qaedisti (ex al-Nusra, dunque) e Isis.
Resta a monte: sia Jaysh al-Islam che Ahrar al-Sham, salafiti ma considerate opposizioni legittime tanto da guidare la delegazione anti-Assad a Ginevra, hanno apertamente collaborato con al-Nusra e condiviso la sua visione, finendo per diventarne una stampella. Ora si impegnano a espellere i qaedisti e a facilitare la consegna degli aiuti, passo necessario alla sopravvivenza politica.
Il fuoco non cessa nemmeno a nord, dove la Turchia – rassicurata da due anni e mezzo di impunità, da quando entrò illegalmente con i carri armati in Siria – continua a bombardare Afrin. L’agenzia di Stato Sana denuncia due morti ieri e cinque lunedì e il Consiglio per la salute del cantone curdo dà un bilancio di 192 uccisi dal 20 gennaio, inizio di «Ramo d’Ulivo», di cui 28 bambini.
Numeri a cui si aggiungono quelli di Airwars, organizzazione che da anni monitora l’operazione militare Usa tra Siria e Iraq: tra agosto 2014 e metà febbraio 2018, i 29.095 raid statunitensi hanno ucciso tra le 6.317 e le 9.444 persone, almeno sette volte tanto il bilancio del Comando Usa, che parla di 841 vittime civili «non intenzionali». Morti senza responsabili su cui l’Onu per ora non ha emesso risoluzioni.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati