Ankara parla di terroristi dell’Isis tra i morti, narrativa falsa ma utile a tenersi accanto gli Stati Uniti. Nel Kurdistan turco arrestate decine di giornalisti
della redazione
Roma, 24 gennaio 2018, Nena News – “Ramo d’ulivo” prosegue senza sosta: ieri sera il capo di stato maggiore turco ha dato il bilancio delle operazioni iniziate il 20 gennaio contro il cantone curdo di Afrin: almeno 260 “terroristi sono stati neutralizzati”. La versione curda è ben diversa: di quei morti la metà sono civili, uccisi nei bombardamenti dei caccia di Ankara. Tra le vittime si registrano anche tre soldati turchi.
Ma a stupire, almeno in parte, c’è la particolare narrativa turca: secondo il governo di Ankara tra i combattenti uccisi ci sarebbero anche miliziani dello Stato Islamico. Dichiarazioni che servono a mantenere a galla le relazioni con gli Stati Uniti che, seppur silenti di fronte al massacro in corso, invitano l’alleato Nato a concentrarsi sulla lotta all’Isis.
Ankara non ha mai condotto un guerra contro lo Stato Islamico. Ha, al contrario, sostenuto il progetto del califfato in modo più o meno diretto, chiudendo un occhio sul passaggio costante di uomini da una parte all’altra del confine e permettendo l’apertura di centri, soprattutto nel sud est turco, di reclutamento di islamisti da inviare in Siria.
E ora parla di presenza islamista nel cantone di Afrin, da anni sotto il pieno controllo del confederalismo democratico curdo e rifugio per decine di migliaia di sfollati da Aleppo, Raqqa, Idlib. Impossibile che nella comunità nel profondo ovest siriano ci siano miliziani dell’Isis. Ma tant’è, e la battaglia prosegue durissima. I locali parlano di un’estrema violenza vomitata dall’esercito turco tutt’intorno Afrin. Una violenza che ha ucciso un centinaio di civili, già provocato almeno 5mila sfollati e che si sta spostando verso est, con i nuovi obiettivi individuati nelle città liberate di Azaz e Manbij.
Tutto nel silenzio internazionale: il Consiglio di Sicurezza si è limitato a chiedere “moderazione”, senza però condannare l’operazione militare. Oggi il presidente Erdogan chiamerà il presidente Usa Trump, ieri ha sentito il russo Putin, per aggiornarli sull’andamento di un’offensiva che – indirettamente – le due potenze avallano. La Casa Bianca ha chiesto all’alleato una descalation, ma sul terreno non si muove.
I curdi, isolati e abbandonati, inascoltati dal mondo, hanno fatto appello ieri alla mobilitazione di massa per la difesa di Afrin: le unità di difesa popolare Ypg e Ypj hanno chiesto alla popolazione civile di prendere le armi per difendere il cantone e il progetto democratico di Rojava. “Chiamiamo la nostra nobile gente a difendere Afrin e il suo orgoglio e a contribuire a tutte le attività”, si legge in un comunicato dell’amministrazione locale. Nelle stesse ore ad Hasaka e Jazira, città curde a est, in migliaia scendevano in piazza per gridare solidarietà. Tra loro molti combattenti che, però, difficilmente riusciranno a muoversi per raggiungere il cantone occidentale e sostenerne la difesa, a causa della presenza delle truppe turche e dei miliziani dell’Esercito Libero Siriano, posizionati lungo l’Eufrate.
E la Turchia avanza: dal 20 gennaio le truppe di Ankara hanno preso il controllo di undici postazioni curde e creato de facto zone cuscinetto, che è poi uno degli obiettivi dichiarati dal presidente Erdogan. I miliziani dell’Els e i soldati turchi hanno occupato i villaggi di Shankal, Qorne, Bali, Adah Manli, Kita, Kordo, Bibno e quattro colline intorno Afrin.
Ma la repressione è anche interna al territorio turco, lanciando una campagna di rastrellamento di giornalisti critici nei confronti dell’operazione in corso a Rojava. Il controterrorismo ha arrestato due corrispondenti del giornale tedesco Tageszeitung, Hayri Demir e Sibel Hurtas, catturati nel Kurdistan turco. La loro colpa, dicono fonti governative, è non aver rispettato le linee guida dettate domenica dal premier Yildirim. Sarebbero già decine i giornalisti fermati e detenuti tra lunedì e ieri. Nena News