Sarebbero 70mila i civili che in queste ore scappano dalla città, prossima alla controffensiva del governo. Senza negoziato, a parlare è la guerra: scambio di accuse tra Nato e Russia, mentre Riyadh offre il suo esercito
della redazione
Roma, 6 febbraio 2016, Nena News – Un’altra ondata di profughi, l’ennesima, in un paese martoriato da cinque anni di guerra civile e che ha assistito alla fuga di metà della propria popolazione: sette milioni gli sfollati interni in Siria, cinque i rifugiati all’estero.
E ora altri 70mila, o forse 100mila. I numeri che ieri venivano forniti dall’Onu e dal governo turco erano altissimi: quella che viene considerata la battaglia finale per Aleppo ha costretto alla fuga decine di migliaia di civili. Le immagini che arrivavano ieri dal valico di frontiera Bab al-Salama, tra Siria e Turchia, spiegavano molto di più delle parole: intere famiglie a piedi, in auto, con pochi beni personali, sedute a terra in attesa che quel valico si aprisse. È rimasto chiuso, la Turchia non intende aprirlo. Non vuole altri rifugiati, che si aggiungano ai 2 milioni e mezzo già presenti nel proprio territorio. Profughi che gli hanno garantito tre miliardi dall’Unione Europea e una più generale impunità sul fronte interno, dove ha lanciato da mesi una brutale campagna militare contro il popolo kurdo.
Ieri a Bab al-Salama, dice l’agenzia Onu Ocha, c’erano almeno 20mila persone. Altre 10mila hanno trovato rifugio nella vicina comunità di Azez, altrettante in quella di Afrin, entrambe città kurde rivendicate dalle Ypg di Rojava.
Stanno scappando da Aleppo, primo centro economico siriano e fondamentale centro culturale, dal 2012 diviso in due: opposizioni a est e governo ad ovest. Una divisione che negli anni ha visto l’ingresso di altri attori del conflitto, non più le sole opposizioni moderate, ma i qaedisti di al-Nusra, gli islamisti di Ahrar al-Sham, ma soprattutto i miliziani dello Stato Islamico, che premono da oriente.
Forte del sostegno aereo russo, centinaia di raid in pochi giorni, il governo di Damasco ha deciso per la controffensiva finale. In pochi giorni ha ripreso una serie di villaggi a nord e la strada di collegamento tra Aleppo e il confine turco, unica via di transito di armi e miliziani alle opposizioni. Ieri altri villaggi sono stati rioccupati e l’esercito ha annunciato la completa ripresa della zona settentrionale della città. La morsa si stringe, la gente fugge anche a seguito di volantini che l’aviazione governativa avrebbe fatto piovere mercoledì sulla città: l’esercito lascia la “scelta”, tra il bagno di sangue e il ritiro spontaneo dei miliziani, a cui – dice – garantiremo un’uscita sicura da Aleppo.
Non è un caso che l’operazione sia stata lanciata mentre a Ginevra si apriva il fantomatico negoziato con le opposizioni. L’Hnc ha da subito posto una serie di precondizioni, spinto dagli alleati del Golfo, e Damasco ha risposto con l’esercito. Se Aleppo tornerà in mano governativa, per le opposizioni sarà un colpo durissimo che potrebbe obbligarle a piegarsi al dialogo su posizioni più deboli.
Lo sa bene il fronte anti-Assad che tra ieri e oggi ha condannato le operazioni militari in corso: il segretario di Stato Usa Kerry ha chiesto alla Russia di interrompere subito i bombardamenti. Ma a prendere la posizione più dura è la Nato, per bocca del segretario generale Jens Stoltenberg che ha accusato Mosca di “minare gli sforzi per raggiungere una soluzione politica”. Parole, sì, ma che chiariscono le posizioni in campo, il ruolo della Turchia alleato Nato, e lo scontro in atto tra i due fronti e che prospettano tensioni maggiori nel prossimo futuro.
La Russia risponde per le rime: “Non possiamo fermare [i raid] unilateralmente: che dite dei terroristi e dei gruppi di opposizione? Anche loro si fermeranno? E la coalizione guidata dagli Stati Uniti si fermerà?”. Ha detto l’ambasciatore russo all’Onu Churkin. Insomma, nessun cessate il fuoco unilaterale, da una parte sola.
Ribolle così una situazione già calda, dove il dialogo non è mai partito ma a parlare è sempre stata la guerra. Giovedì sera a scendere in campo è stata l’Arabia Saudita, a cui segue a ruota il Bahrein. I sauditi hanno proposto le proprie truppe per un’eventuale operazione via terra accanto alla coalizione anti-Isis. L’obiettivo è chiaro e non è – almeno direttamente – lo Stato Islamico: Riyadh ha bisogno di riequilibrare la bilancia a favore del fronte anti-Damasco, vincente sul piano militare e diplomatico. I Saud hanno investito denaro e credibilità nel tentativo di rovesciare Assad, sostenendo gruppi islamisti e estremisti oggi radicati sul territorio. Nena News
La gente fugge percé non annp nessuna intenzione di essere presi come ostaggi dai terroristi quando verranno chiusi in una morsa d’assedio ad Aleppo.