Dopo ripetute chiusure, il Pentagono annuncia l’avvio di un dialogo con Mosca. Una scelta obbligata dai nuovi equilibri militari e politici sul terreno.
di Chiara Cruciati
Roma, 10 ottobre 2015, Nena News – Le due super potenze hanno rispettato il copione previsto: Russia e Stati Uniti riavvieranno il dialogo sulla questione siriana. Lo ha fatto sapere il Pentagono, dopo le chiusure dei giorni scorsi. Mosca aveva chiesto alla Casa Bianca di coordinare le attività militari anti-Isis “altrimenti il problema non si risolverà”.
Il Pentagono ha fatto sapere che l’incontro tra russi e statunitensi potrebbe tenersi addirittura questo fine settimana, dopo l’ok da parte del Cremlino alla proposta mossa dagli Usa. Il vice ministro della Difesa ruso, Anatoly Antonov, ha detto che i punti previsti dagli Stati Uniti sono stati accettati in via di principio.
L’annuncio della ripresa del dialogo non è semplicemente legato al timore che aerei da guerra delle due parti possano scontrarsi o intralciarsi nei cieli siriani, visto anche che tendono ad operare in zone diverse. Dietro, stanno considerazioni di realpolitik: la Russia sta gestendo in solitaria la lotta al terrorismo, sta rafforzando il presidente Assad permettendogli di lanciare controffensive via terra e si sta allargando anche all’Iraq.
Da parte loro gli Stati Uniti sono costretti ad inseguire e a ripiegare sulla cancellazione del programma di addestramento da 500 milioni di dollari, destinato a formare 15mila miliziani anti-Assad ma che ne ha sfornati meno di un centinaio. Da qui la decisione, presa definitivamente nei giorni scorsi, di chiudere il fallimentare programma e avviarne uno nuovo di zecca: stavolta ad essere armati saranno 25mila combattenti già presenti sul campo di battaglia, di cui probabilmente 20mila kurdi siriani, tra i più efficienti nella reagire all’offensiva dello Stato Islamico.
Una possibilità che fa tremare la Turchia che del soffocamento del movimento per l’autodeterminazione del popolo kurdo ha fatto la sua bandiera: prima aiutando indirettamente gli islamisti che tentavano di prendere Kobane e la Rojava nel nord della Siria; poi lanciando una vera e propria operazione militare contro il Pkk in Iraq e nel sud della Turchia. Ankara ha perso la sua guerra: l’intervento russo distrugge il sogno di creare una zona cuscinetto al confine con la Siria, che Erdogan era riuscito a strappare agli Usa dopo due anni di pressioni, e gli Usa aprono ai nemici kurdi. La reazione è isterica: da giorni il president turco minaccia Mosca di interrompere l’acquisto di gas naturale (la Turchia ne compra il 60% del suo fabbisogno dalla Russia) e la costruzione del primo impianto nucleare del paese, affidato alla compagnia russia Rosatom.
Tant’è, le necessità delle due super potenze vengono molto prima di quelle degli alleati minori, spesso sfruttati a proprio piacere. Come ha fatto la Nato nei giorni scorsi, quando in risposta ai raid russi e all’ingresso di aerei di Mosca nello spazio aereo turco, minacciava Mosca di dispiegare le proprie truppe a sud, in Turchia. Ma la guerra, in questo momento, non serve a nessuno e gli Usa necessitano di rientrare in campo, vista anche l’ultima mossa di Baghdad: l’Iraq ha paventato la possibilità di chiedere alla Russia un intervento anti-Isis nel paese, che sostituisca quello poco efficace della coalizione guidata dagli statunitensi.
A tale situazione si aggiunge la presenza ancora radicata in Siria, nonostante i bombardamenti Usa e quelli russi, dello Stato Islamico che ieri – secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, gruppo basato a Londra e legato alle opposizioni anti-Assad – avrebbe occupato alcuni villaggi nel nord di Aleppo, strappandoli ai rivali del Fronte al-Nusra e alle poche sacche ancora presenti di Esercito Libero Siriano. Nena News