Ieri sono uscite dal sobborgo damasceno migliaia di persone. Venticinque camion di aiuti dentro. A Nord intanto intere famiglie scappano dalle bombe turche che piovono incessanti da giorni
di Chiara Cruciati
Roma, 16 marzo 2018, Nena News – La fuga da Ghouta est è iniziata: ad un mese dalla ripresa dell’offensiva governativa sul sobborgo di Damasco, ieri 12mila civili sono usciti dalle cittadine di Hammouriyeh e Jisreen. A bordo di aiuto e motorini, a piedi, con coperte e qualche valigia, hanno attraversato il corridoio individuato dal governo. La tv ne ha mostrato i volti: donne, bambini, anziani accompagnati fuori dopo una notte di azioni aeree sulla zona.
Civili in uscita, i primi dopo i 150 feriti evacuati nei giorni scorsi dalla Mezzaluna rossa, e aiuti in entrata: 25 camion di cibo e medicine Onu hanno raggiunto 26mila persone nell’enclave sotto assedio interno ed esterno, dove restano bloccati 400mila civili. Ma gli scontri non cessano: l’aviazione siriana ha proseguito nei raid e gli islamisti nel lancio di missili; 50 i morti ieri, secondo le opposizioni, un numero che farebbe salire il bilancio a 1.500 in un mese.
E con il governo che ha ripreso il 60% della Ghouta orientale, si fa avanti la Turchia, sponsor delle milizie di opposizione: ieri il portavoce del presidente Erdogan ha detto che i servizi segreti stanno lavorando all’evacuazione di al-Nusra dal sobborgo, stimando mille miliziani qaedisti.
Dall’altra parte del Paese, trentamila persone sono fuggite in 48 ore da Afrin. «I bombardamenti e i colpi di artiglieria non si sono fermati mai», denuncia il portavoce delle unità di difesa popolare Ypg, Birusk Hasaka: le bombe dell’aviazione turca piovono senza sosta da giorni sul centro della principale città del cantone curdo-siriano nel nord-ovest del paese, decine le vittime. Solo mercoledì, riporta l’agenzia cuda Anf, sono morte 13 persone di cui sette bambini, ieri tre bambini e due donne.
Secondo il portavoce della presidenza turca, Ibrahim Kalin, «il controllo di più del 70% di Afrin è stato assicurato, il cerchio si è completamente chiuso intorno ai terroristi e prevediamo che il centro della città sarà a breve ripulito».
Gli sfollati stanno raggiungendo le zone controllate dal governo di Damasco, a sud-est di Afrin, nella direttrice per Aleppo. Fuggono a bordo di furgoncini e pick-up verso la sola via di fuga possibile da una città ormai quasi priva di acqua e cibo: l’esercito turco ha tagliato l’acqua da giorni e i prodotti alimentari dal resto di Rojava non entrano. Ankara sta prendendo la popolazione per fame, una comunità che finora ha resistito a due mesi di operazioni aeree e di offensiva via terra di 20mila miliziani islamisti al soldo del presidente Erdogan.
Che non fa passare giorno senza lanciare dichiarazioni di guerra alla regione curdo-siriana, considerata una minaccia nonostante non abbiano mai rivolto le armi contro il territorio turco. A far paura è il progetto politico realizzato da Rojava, quel confederalismo democratico che ha permesso l’autogestione delle comunità curde, arabe, turkmene e che viene letta da Ankara come il primo passo di un contagio politico del suo sud-est, curdo.
Da qui la necessità di ribadire la minaccia: «Abbandonate le vostre speranze – ha detto ieri Erdogan – Non lasceremo Afrin fino a quando il nostro lavoro non sarà completato». Il mittente è il Parlamento europeo, sola istituzione dell’Unione a essersi espressa sul massacro in corso nel cantone: ieri con 372 voti a favore ha approvato una mozione che chiede alla Turchia di ritirarsi da Afrin.
«Ehi, Parlamento europeo, che stai facendo? – ha tuonato il presidente turco, che due giorni fa ha incassato tre miliardi dalla Commissione Ue per tenersi tre milioni di profughi siriani – Il Parlamento europeo non può dirci di fare niente. La tua dichiarazione entra da un orecchio ed esce dall’altro». E cita proprio quei tre milioni di profughi, facendosi scudo dietro i loro corpi: dopotutto è ad Afrin che Ankara intende trasferire centinaia di migliaia di siriani, stravolgendo la demografia della zona e trasformandola in un feudo turco protetto dagli uomini dell’Esercito Libero Siriano, opposizione ad Assad.
I rumor su un passaggio di Afrin al governo di Damasco che circolavano ieri, infatti, sono stati smentiti dall’ufficio della presidenza che conferma invece l’accordo raggiunto con gli Stati uniti sull’evacuazione dalla vicina Manbij delle Ypg/Ypj. Nena News