Il governo di Damasco apre alla proposta Onu. Silenzio dalle opposizioni moderate. Gli Usa non confermano il ferimento di al-Baghdadi: che ne sarebbe dell’Isis senza il califfo?
dalla redazione
Roma, 11 novembre 2014, Nena News – Se gli Stati Uniti non parlano con Assad, Assad parla con le Nazioni Unite. Ieri il presidente siriano ha incontrato a Damasco l’inviato dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, con il quale ha discusso della proposta mossa un mese fa dal Palazzo di Vetro. Un congelamento dei combattimenti tra governo e opposizioni in alcune aree calde del paese per frenare l’avanzata dell’Isis e permettere la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione civile.
Il piano delle Nazioni Unite prevede cessate il fuoco locali, a partire dalla città di Aleppo, ad oggi ancora divisa tra governo e Esercito Libero Siriano. Da parte di Assad è giunta un’apertura al dialogo: Damasco è pronta a discutere la proposta, ha fatto sapere il portavoce governativo. Nelle intenzioni di de Mistura, al di là del corridoio umanitario, l’obiettivo è portare al tavolo del negoziato politico opposizioni e governo Assad. Se il secondo apre, le prime tacciono: già il 30 ottobre, quando l’Onu presentò per la prima volta il piano, dai gruppi moderati era giunto un secco no. Nessun dialogo con il dittatore, questa la risposta, nonostante il palese indebolimento dal punto di vista militare e politico che le opposizione moderate stanno vivendo a causa dell’avanzata islamista.
Dai più stretti alleati della quasi scomparsa Coalizione Nazionale Siriana, gli Stati Uniti, non arrivano commenti. Troppo presi dall’offensiva dell’Isis che dopo oltre tre mesi di bombardamenti non arretra. I giorni appena trascorsi sono stati spesi a cercare conferme del ferimento del leader islamista, l’autoproclamato califfo al-Baghdadi. Ancora ieri il Pentagono ha detto di non poterne confermare il ferimento, dato per certo dal governo di Baghdad: «Abu Bakr al-Baghdadi è stato trasferito in Siria dopo essere stato ferito in un raid che ha ucciso 40 islamisti – aveva scritto ieri in un comunicato il Ministero degli Interni – Il bombardamento ha avuto come target un meeting dei leader Isis vicino alla scuola di al-Kanadi a al-Sa’ada».
Gli analisti si chiedono intanto cosa ne sarebbe dell’Isis se il suo leader indiscusso dovesse morire: lo Stato Islamico sopravvivrebbe o sarebbe costretto ad un arretramento? La figura di al-Bahdadi è sicuramente centrale nella macchina della propaganda islamista. È il suo personaggio che attira tanti nuovi miliziani in Iraq e Siria, è lui che – con il sostegno diretto dei petroldollari del Golfo e quello indiretto ma fondamentale dello Stato turco – ha saputo dare vita ad una forza militare transnazionale dalle elevate capacità strategiche e ora – pare – anche amministrative: nei territori occupati, l’Isis ha creato una propria amministrazione locale, stampato carte d’identità, modificato i programmi scolastici, fondato un sistema giudiziario nuovo, seppure estremamente brutale.
C’è chi ritiene che la sua potenziale morte possa far crollare le basi del califfato, che sulla figura del califfo si regge. Secondo altri analisti, al contrario, la struttura interna dello Stato Islamico è abbastanza radicata da permettere una successione interna. In ogni caso, è il timore comune, i miliziani – se il proprio leader morisse – cercheranno vendetta e il prezzo lo pagheranno i civili. È anche possibile che si apra una faida interna ai vari gruppi islamisti e che la vecchia al-Qaeda di al-Zawahiri si affacci di nuovo approfittando del vuoto politico del califfato.
Sono tanti i gruppi locali che negli ultimi mesi hanno giurato fedeltà all’Isis, ultimo in ordine di tempo il braccio egiziano di Ansar Beit al-Maqdis (che si è unito al califfato ufficialmente ieri, con un comunicato video. Insomma, ogni gruppo potrebbe volere la sua parte all’interno della creatura di al-Baghdadi e le conseguenze sarebbero imprevedibili. Nena News