Da ieri 450 detenuti amministrativi hanno lanciato la loro protesta contro la misura cautelare vietata dal diritto internazionale. Previste manifestazione di solidarietà nei Territori Occupati. A monte il doppio sistema legale applicato a palestinesi e israeliani
della redazione
Roma, 16 febbraio 2018, Nena News – Sono centinaia i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliani che da due giorni boicottano le corti militari di Tel Aviv. Un boicottaggio a tempo indeterminato lanciato dai 450 prigionieri in detenzione amministrativa, ovvero incarcerati senza accuse né processo ma solo sulla base di “file” segreti, misura cautelare rinnovabile di sei mesi in sei mesi a tempo indeterminato. È ammessa dal diritto internazionale solo in casi eccezionali e per tempi brevi ma che Israele utilizza da decenni come politica strutturale in violazione degli art. 78 e 147 della Quarta Convenzione di Ginevra.
A spiegare la protesta è Sahar Francis, la direttrice dell’associazione Addameer, impegnata nella tutela legale dei prigionieri politici: “Il primo passo è il boicottaggio delle udienze di conferma, che avallano la detenzione sulla base di una minaccia alla sicurezza nazionale non specificata. Poi boicotteranno le corti di appello, corti mlitari dove gli avvocati possono fare appello contro la decisione. E infine il terzo passo, il boicottaggio dell’appello alla corte costituzionale”.
Il rischio è alto: le autorità israeliane potrebbero sospendere le visite familiari, già molto limitate, e – come accaduto in passato con gli scioperi della fame e con un boicottaggio simile nel 2014 – porre i detenuti in isolamento o trasferirli in altre carceri per spezzare la resistenza collettiva.
Ieri con un comunicato congiunto i 450 detenuti – di cui sette parlamentari su un totale attuale di 6.119, dati Addameer – hanno lanciato la protesta contro la pratica della detenzione ammnistrativa: “Il cuore della resistenza alla detenzione amministrativa viene dal boicottaggio del sistema legale israeliano – scrivono – Siamo fiduciosi che il nostro popolo, il loro potere e le loro istituzioni e la società civile non ci lasceranno soli in questa battaglia”.
E se gli avvocati hanno già risposto, appoggiando la decisione dei prigionieri politici di boicottare le corti militari tramite Amjad al-Najaar, legale del Palestinian Prisoners Club, anche la base reagisce: sono previsti per oggi e per i prossimi giorni marce e sit-in a Ramallah, Hebron e Nablus e in altre comunità della Cisgiordania.
I prigionieri si sono poi rivolti all’Autorità Nazionale Palestinese: “Il nostro è un atto patriottico che non dovrebbe essere violato né da individui né da istituzioni, per questo chiediamo all’Anp di presentare ricorso alla Corte Penale Internazionale sulla questione della detenzione amministrativa il prima possibile”. Alla luce soprattutto del costante aumento dell’utilizzo della pratica, con l’ultimo periodo di proteste palestinesi contro il riconoscimento unilaterale dell’amministrazione Usa Trump di Gerusalemme come capitale di Israele: centinaia gli arrestati tra Gaza e Cisgiordania, moltissimi in detenzione amministrativa.
Nel prima settimana di febbraio sono state spiccati 47 ordini di detenzione amministrativa, di cui 41 nuovi e sei rinnovi di precedenti detenzioni. Tra i prigionieri in tale stato detentivo c’è anche la leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Khalida Jarrar, arrestata di nuovo lo scorso 2 luglio e da allora prigionera in detenzione amministrativa.
Da decenni i palestinesi denunciano il doppio sistema di giustizia applicato da Israele: nei confronti della popolazione palestinese si applica la legge militare, nei confronti degli israeliani (compresi i coloni che vivono nello stesso territorio) la giustizia civile. E se le corti militari condannano, secondo l’associazione israeliana Yesh Din, il 99,74% dei palestinesi imputati, quelle civili condannano solo il 2% degli israeliani, valore che va stornato perché solo il 15% dei reati commessi da israeliani contro palestinesi va a processo.
Le conseguenze giudiziarie sono visibili: secondo la legge militare il lancio di pietre viene considerato crimine grave e punito con un minimo di 5 anni di prigione fino a 20, l’omicidio colposo con l’ergastolo, pene che non vengono applicate agli israeliani sottoposti alla giustizia civile. Inoltre il processo militare può durare fino a 18 mesi, contro i 9 del civile; i palestinesi sono considerati minorenni fino ai 16 anni di età, gli israeliani fino a 18; l’accusato palestinese resta in detenzione senza presentarsi di fronte ad un giudice fino 18 giorni contro le 24 ore del sistema civile, e fino a 90 giorni senza vedere un avvocato, contro 48 ore. Nena News