L’ex presidente ha mandato 221 milioni di dollari in aiuti all’Anp prima di lasciare la Casa Bianca. Altra ondata di cemento appena è arrivato il tycoon. Onu all’angolo
della redazione
Roma, 25 gennaio 2017, Nena News – L’atto finale, l’ultimo, di Barack Obama prima di lasciare la Casa Bianca è stato firmato lo scorso venerdì. Poche ore prima dell’inaugurazione della nuova amministrazione, il presidente uscente ha inviato 221 milioni di dollari in aiuti all’Autorità Palestinese.
Niente a che vedere con i 38 miliardi in aiuti militari decisi a settembre a favore di Israele. E, come molti avevano già fatto notare a fine dicembre, quando gli Stati Uniti – con una decisione storica – non hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che condanna le colonie, è un atto che arriva davvero troppo tardi.
I 221 milioni saranno usati per progetti umanitari a Gaza e in Cisgiordania. Forse a riprova delle cattive relazioni tra Obama e il premier israeliano Netanyahu, una frattura non così seria però da mettere in discussione gli storici rapporti di alleanza tra i due paesi.
Ora, però, la musica cambia in peggio. Dopo il via libera a 566 case per coloni in tre insediamenti illegali a Gerusalemme Est, approvata dal Comune subito dopo l’entrata in carica di Trump, ieri le autorità israeliane hanno dato il là ad una nuova ondata di cemento, molto più consistente: 2.500 nuove unità abitative nelle colonie della Cisgiordania.
A dare l’annuncio del più grande piano colonizzatore dal 2013 è stato lo stesso premier Netanyahu insieme al ministro della Difesa, il falco ultranazionalista Lieberman. Andranno ad ampliare ulteriormente due dei blocchi coloniali più vasti, Ariel a nord e Maale Adumim tra Gerusalemme e il mar Morto in una mossa chiaramente volta all’annessione ufficiosa dei territori e alla divisione fisica – in due – della Cisgiordania. Tante altre unità saranno invece destinate alle colonie di Alfei Menashe, Beitar Illit, Efrat ed Elkana, Givat Zeev (ben 552), Ets Efraim, Kokhav Yaakov, Har Gillo, Zufim, Oranit, Shaarei Tikva, Beit El. Insediamenti che sorgono per lo più lungo la Linea Verde, andando ad ampliare a dismisura i blocchi di colonie al confine con lo Stato di Israele.
“Costruiamo e continueremo a costruire – ha detto un gongolante Netanyahu – Ritorniamo alla vita normale in Giudea e Samaria [Cisgiordania, ndr]”. L’iniezione di fiducia garantita da Trump ha subito fatto volare i progetti coloniali israeliani, mai interrotti dal 1967, ma che ora potrebbero vivere una nuova fase. Con buona pace dell’Anp che ieri protestava senza forza.
Ma qui ad essere delegittimato non è solo il governo di Ramallah – che legittimato da Israele come partner non lo è stato mai – ma anche le Nazioni Unite. A un mese dalla risouzione 2334 Tel Aviv manda un messaggio chiaro: la comunità internazionale non ha alcun potere sulle decisioni dello Stato di Israele. Cadono così nel vuoto le critiche mosse ieri dal nuovo segretario generale Onu Antonio Guterres che, tramite il suo portavoce, ha parlato di “azioni unilaterali” che minano la pace e la soluzione a due Stati.
Ma senza alcun intervento reale, che siano sanzioni o boicottaggi istituzionali, Israele di fronte a sé non ha alcun ostacolo. Nena News