Il sindacato dei lavoratori pubblici decide di donare l’1% degli stipendi per ricostruire le case demolite. Nelle prigioni israeliane tre detenuti rifiutano il cibo: il giornalista al-Qeeq è entrato in coma
AGGIORNAMENTO ore 16 – TRE PALESTINESI UCCISI IN POCHE ORE
L’esercito israeliano ha ucciso nelle ultime ore tre palestinesi. Il 21enne Srour Ahmad Abu Srour, residente nel campo profughi di Aida a Betlemme, è stato ucciso a Beit Jala durante scontri con le forze armate israeliane. E’ stato colpito al petto da un proiettile, fa sapere il Ministero della Salute palestinese. Subito dopo sono esplosi gli scontri in tutto il distretto di Betlemme: colpi d’arma da fuoco sono stati sparati al Checkpoint Container tra Betlemme e Ramallah, mentre i soldati israeliani ponevano una serie di checkpoint volanti nei villaggi di Beit Jala e Beit Sahour. Numerosi i negozi e le case perquisiti.
Nelle stesse ore due palestinesi venivano uccisi a nord est d Hebron. Il primo, Muhammad Ahmad Khalil Kawazba, di 23 anni, dice l’esercito, avrebbe tentato di accoltellare dei soldati. Alcuni testimoni hanno riportato all’agenzia Ma’an News che i soldati hanno impedito all’ambulanza di soccorrere il giovane. Un secondo giovane, il 17enne Adnan Hamid al-Mashni, è stato ucciso nello stesso luogo, colpito al petto dai soldati, ma non è chiaro ancora il motivo né la dinamica.
Sono almeno 156 i palestinesi uccisi dal primo ottobre.
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di Chiara Cruciati
Roma, 12 gennaio 2016, Nena News – Sono tante le forme di protesta contro l’occupazione israeliana, tanti i modi per prendere parte all’attuale sollevazione, già ribattezzata Intifada, ma dalle caratteristiche molto diverse dalle rivolte palestinesi del passato.
Se nelle strade scendono i giovani, il resto della società che partecipa lo fa con modalità diverse. È il caso del sindacato dei lavoratori pubblici che ieri ha annunciato che i propri membri doneranno l’1% dello stipendio a favore delle famiglie che subiscono la demolizione della casa. Una punizione sempre più frequente da parte dell’esercito israeliano e applicata – in violazione del diritto internazionale – contro le abitazioni dei palestinesi responsabili o sospettati di attacchi.
Bassam Zakarneh, presidente del sindacato, si è detto ottimista: si potrebbe arrivare a raccogliere 16 milioni di shekel (quasi 4 milioni di euro). E – aggiunge – se gli altri sindacati faranno altrettanto, si toccheranno i 90 milioni di dollari (sui 20 milioni). Un ammontare consistente che permetterebbe di ricostruire le case demolite entro sei mesi, dice il sindacato che ha aggiunto che girerà il denaro ad un comitato governativo.
Verrà coinvolta così anche l’Autorità Nazionale Palestinese, da più parti accusata di non fare nulla per impedire la campagna di demolizioni portata avanti da Israele. Difficile per il governo di Ramallah intervenire contro il potere occupante, ma a infastidire la popolazione palestinese è il più generale atteggiamento dell’Anp nei confronti dell’attuale sollevazione, percepita come serio pericolo per l’esistenza stessa dell’Autorità.
Alla protesta fuori fa da contraltare quella dentro le carceri. Sono tre al momento i prigionieri politici palestinesi che rifiutano il cibo da mesi in un carcere israeliano. Kefah Khatab, di Tulkarem, incarcerato dal 2003, ha iniziato lo sciopero il 25 novembre scorso; Muhammed al-Qeeq dal 24 novembre e Abdallah Abu Jaber dall’8 novembre. La situazione peggiore è quella di al-Qeeq, 33 anni, giornalista per la tv saudita Al-Majd, entrato in coma lunedì e portato nell’ospedale di Afula. Secondo la moglie e l’avvocato, l’amministrazione carceraria starebbe per procedere con l’alimentazione forzata, dopo l’approvazione della legge in merito da parte della Knesset che tante polemiche ha generato in Israele, in particolare nella comunità medica.
Da giorni al-Qeeq, poco prima di entrare in coma, ha smesso di parlare e camminare e cominciato a vomitare sangue. Per tutto il tempo le braccia e le gambe sono rimaste legate al letto. Cominciò lo sciopero della fame subito dopo l’arresto e l’ordine di detenzione amministrativa spiccato contro di lui e che non prevede alcun processo. Secondo i servizi segreti israeliani, il giornalista è stato arrestato perché sospettato di avere legami con Hamas.
Ma l’attuale campagna repressiva israeliana colpisce tutti sia nei Territori Occupati che dentro Israele. Tra le istituzioni più colpite ci sono le università, ultima in ordine di tempo la Bir Zeit University, vicino Ramallah: lunedì notte l’esercito israeliano ha compiuto un raid all’interno del campus con 15 veicoli militari, danneggiando e confiscando equipaggiamento e computer nella facoltà di Scienze e negli spazi del consiglio studentesco. Immediata la denuncia da parte dell’università che condanna “la violazione della sacralità degli spazi universitari e del diritto all’educazione”.
Violazioni che vanno avanti da ottobre: sono 80 gli studenti della Bir Zeit University arrestati dalle autorità israeliane, di cui 25 ancora in carcere. Nena News