L’ANP lancia una gara d’appalto per scavi in una zona lungo la Linea Verde, in piena Area C, dove Israele già estrae greggio. Il controllo delle risorse naturali resta elemento centrale del sistema di occupazione.
di Chiara Cruciati
Gerusalemme, 20 marzo 2014, Nena News – La sfida palestinese all’occupazione israeliana passa oggi per le risorse naturali, il cui controllo rappresenta da decenni una delle colonne portanti del colonialismo israeliano nei Territori Occupati. Dall’acqua alla terra, dai fanghi del Mar Morto alle cave di pietra, dal 1967 ad oggi le autorità israeliane sfruttano le ricche risorse naturali palestinesi, privando la popolazione occupata degli strumenti fondamentali allo sviluppo di un’economia sostenibile e indipendente.
Così, nel pieno dei debolissimi negoziati di pace in corso, martedì il premier palestinese Hamdallah ha annunciato l’intenzione di avviare una campagna di esplorazione petrolifera attraverso l’apertura di una gara d’appalto internazionale. Il governo di Ramallah ha approvato infatti la decisione di aprire bandi per l’esplorazione e lo scavo, alla caccia di greggio in un’area di circa 400 chilometri quadrati in Cisgiordania, gran parte della quale cade nella cosiddetta Area C, sotto il pieno controllo militare e civile israeliano.
Dati certi non esistono, ma a Ramallah c’è chi si aspetta di trovare risorse che garantirebbero tra i 30 e i 186 milioni di barili di greggio, una riserva relativamente piccola ma che permetterebbe all’ANP un guadagno minimo di un miliardo di dollari. Mohammed Mustafa, vice ministro agli Affari Economici dell’ANP, ha fatto sapere che il progetto rientrerà nell’ambito di una joint venture, a cui prenderà parte per il 25% il Palestine Investment Fund. Israele per ora non commenta, mentre dalle stanze dei bottoni palestinesi nessuno parla di coordinamento con le autorità israeliane per l’avvio dei lavori.
L’area individuata dall’Autorità Palestinese si trova vicino al villaggio di Rantis, a Nord Ovest di Ramallah, lungo il confine ufficiale della Linea Verde e all’interno di un’area dichiarata da Israele “zona militare”. Nella stessa zona, tra la città israeliana di Rosh Ha’ayin e il villaggio palestinese di Rantis, opera la compagnia petrolifera israeliana Givot Olam, che negli ultimi anni ha detto di aver ricavato nel sito Meged 5 40 milioni di dollari in vendite di greggio in una zona le cui riserve conterrebbero 3.5 miliardi di barili di petrolio (un settimo delle riserve del Qatar).
Il ricercatore israeliano Dror Etkes, pochi mesi fa, aveva rilasciato un’intervista ad Al Jazeera nella quale affermava di aver compiuto diversi studi nella zona – a cui Israele vieta l’accesso – e di aver scoperto che gli scavi petroliferi della Givot Olam entrano per decine di metri dentro il territorio palestinese. Sembra chiaro – ha spiegato Etkes – che la gran parte delle risorse energetiche si trova in Cisgiordania, seppure le mappe disponibili non mostrino gli scavi in corso all’interno della Linea Verde.
Un bottino che non può che far gola ad Israele che negli anni ha modificato il tracciato del Muro di Separazione per garantirsi migliore accesso al sito, ha detto il sindaco di Rantis, Muayad Odeh: “Tutti conoscono questo grande segreto, la presenza del petrolio. Ma nessuno sembra prendere in considerazione il fatto che appartenga ai palestinesi”. Ribatte il Ministero delle Infrastrutture, dell’Energia e delle Risorse Idriche israeliano che ad Al Jazeera ha detto: “L’area di Rosh Haayin cade dentro lo Stato di Israele”. Gli fa eco il manager esecutivo della Givot Olam, Giora Eiland: “La compagnia non prende assolutamente greggio dal lato palestinese. Compiamo solo scavi orizzontali e sono tutti situati in territorio israeliano”.
A monte stanno gli Accordi di Oslo e il successivo Protocollo di Parigi, firmati da OLP e Stato di Israele negli anni Novanta e che stabiliscono la gestione delle risorse naturali nei Territori Occupati: “Gli israeliani tentano di impedire ai palestinesi di utilizzare le proprie risorse naturali – spiega Abdullah Herzallah, esperto palestinese – nonostante gli Accordi di Oslo prevedano la creazione di un comitato congiunto che discuta dello sfruttamento delle risorse. Hanno già iniziato scavi orizzontali nei pozzi dell’area, ma non si fanno problemi: vogliono allargarsi sempre di più dentro la Cisgiordania ed è per questo che da tempo chiedono lo scambio di territori proprio in questa zona”.
Il controllo delle risorse resta così uno degli elementi centrali del conflitto, soprattutto per un’Autorità Palestinese in costante crisi economica e finanziaria, alle prese con un tasso di disoccupazione in continua crescita e totalmente dipendente dall’economia israeliana e dagli aiuti internazionali. Una realtà frutto di decenni di sfruttamento delle risorse naturali dei Territori Occupati che hanno provocato un crollo della produzione agricola e annichilito il settore industriale palestinese.
“Non si tratta solo di una questione economica, ma di un problema politico – ha commentato il portavoce del governo di Ramallah, Ehab Bseiso – Il petrolio ci aiuterebbe non solo a dar vita ad uno sviluppo sostenibile, ma anche a dipendere meno dagli aiuti internazionali”. Nena News