Con la vittoria del Likud alle parlamentarie israeliane, la dirigenza palestinese dovrà organizzare al meglio le sue prossime mosse diplomatiche. Se, di fronte alla comunità internazionale, Ramallah può permettersi di denunciare Israele all’Aja, interrompere la sicurezza con Tel Aviv potrebbe rivelarsi un rischio troppo grande
di Giorgia Grifoni
Roma, 18 marzo 2015, Nena News - Se Benjamin Netanyahu, trionfatore a sorpresa delle elezioni parlamentari di ieri, se la ride, altri non se la passano così bene. Non si tratta solo della popolazione palestinese, che ieri si è vista sbandierare pubblicamente dal premier israeliano la verità che tutti, da Jenin a Gaza, ormai conoscono da decenni: uno stato palestinese non vedrà mai la luce finché al potere ci sarà il Likud. Dopo la vittoria della destra ormai apertamente estrema alla Knesset, è soprattutto la leadership palestinese a pagare un prezzo alto: le sue prossime mosse, infatti, saranno più determinanti che mai nel confronto con la potenza occupante. O perlomeno nei confronti della comunità internazionale.
La reazione al trionfo di Netanyahu, a Ramallah, è stata gelida. “Israele – ha dichiarato questa mattina all’AFP il capo negoziatore dell’Olp Saeb Erekat – ha scelto la strada del razzismo, dell’occupazione e della costruzione di insediamenti piuttosto che quella del negoziato e del partenariato tra di noi”. L’Anp ha poi illustrato la strategia palestinese, già minacciata in fase di collasso del negoziato lo scorso anno e parzialmente intrapresa negli ultimi mesi: “Diciamo chiaramente – ha continuato Erekat – che ci rivolgeremo alla Corte penale internazionale dell’Aja, che accelereremo la pratica nei suoi confronti, la porteremo avanti e la intensificheremo”.
Strategia che, secondo la versione ufficiale della leadership palestinese, andava mantenuta qualunque fosse stato il risultato del voto per la Knesset. Forse, come hanno lasciato intendere alcuni funzionari dell’Anp, all’azione penale – prevista per il prossimo primo aprile – sarebbe stata preferita la prudenza se il vincitore fosse stato il Campo Sionista della coppia Herzog-Livni. Dopotutto, era stato proprio il leader del blocco del centro-sinistra a parlare di “ripresa dei negoziati con i palestinesi”. Ma questo non è il caso. E Ramallah già pensa a intensificare i colpi.
Domani, infatti, sarà il giorno in cui il Consiglio centrale dell’Olp, presieduto da Abu Mazen, si riunirà per discutere dei passi concreti con i quali implementare la decisione presa all’inizio del mese di interrompere la cooperazione sulla sicurezza con Israele. La dichiarata sospensione, dettata dal “mancato rispetto da parte di Israele degli accordi siglati tra le due parti”, è figlia della mossa di Tel Aviv di trattenere milioni di dollari di proventi delle tasse da lei dovute all’Anp in ripicca alla decisione palestinese di intraprendere un’azione penale all’Aja contro Israele. Una complicata relazione causa-effetto che va avanti da anni e che, a quanto pare, lascia indifferente la comunità internazionale.
Secondo gli analisti della stampa israeliana la mossa dell’Olp difficilmente sarà “drammatica”, almeno non prima della formazione del nuovo governo: le indiscrezioni di funzionari palestinesi anonimi citate dal quotidiano Times of Israel, per esempio, suggeriscono che la decisione, come già avvenuto in passato, rimarrà lettera morta. E nonostante gli stessi analisti si affannino a dire, come crede anche Ramallah, che “la rielezione di Netanyahu renderà più facili gli sforzi palestinesi di screditarlo agli occhi del mondo, dal momento che è percepito come un falco”, mai, in tutti questi anni, la questione del diritto di Israele alla sicurezza è stato messo in dubbio.
Persino quando a Gaza centinaia di civili venivano dilaniati dai raid aerei israeliani la comunità internazionale insisteva sul “diritto di Israele a difendersi”. Con la cooperazione sulla sicurezza – che il quotidiano Times of Israel definisce “una pietra miliare degli sforzi congiunti di Israele e Anp per eradicare il terrorismo in Cisgiordania” - in pericolo, qualsiasi pretesto bellico potrà essere spacciato per diritto a difendersi. A quel punto, saranno comunque gli abitanti dei territori palestinesi a pagarne lo scotto.
Quindi a poco valgono gli appelli accorati della dirigenza palestinese. “Tutti abbiamo sentito le dichiarazioni di Netanyahu – ha detto oggi Saeb Erekat – che cioè non consentirà la costituzione di uno Stato palestinese indipendente e che proseguirà la colonizzazione. La comunità internazionale deve ora sostenere gli sforzi della Palestina, in quanto Paese sotto occupazione, di rivolgersi alla Corte penale internazionale e ad altre istituzioni internazionali”. Eppure, quando si tratta di sicurezza, Israele appare intoccabile. Nena News