L’Autorità Nazionale Palestinese non è riuscita a garantire una forma di democrazia né di sovranità al popolo palestinese. È tempo che una nuova generazione di leader faccia nascere un governo responsabile e porti la libertà
di Marwa Fatafta, Alaar Tartit Foreign Policy
Roma, 18 settembre 2020, Nena News – La pandemia di COVID-19 e i piani del governo israeliano per una nuova annessione dei territori occupati hanno dimostrato alla leadership palestinese – ancora una volta – cosa vuol dire portare avanti un governo senza sovranità. L’accordo recentemente annunciato tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti è un’ulteriore prova dell’incapacità della leadership di influenzare gli eventi che danno forma al destino del popolo palestinese.
Questi recenti sviluppi evidenziano il fallimento del progetto di stato dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), e con esso la soluzione dei due stati. I piani di annessione da parte di Israele – che sono ancora in ballo, a quanto afferma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – lascerebbero le enclavi di una Cisgiordania frammentata sotto il controllo apparente dell’ANP, con il controllo vero e proprio nelle mani di Israele, come avviene da quando è iniziata l’occupazione nel 1967.
Similmente, Hamas governerebbe la Striscia di Gaza all’interno dei confini circoscritti dall’assedio di Israele imposto nel 2007 e supportato dall’Egitto. Questi esiti non sono né quelli che la leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) prevedeva quando inizialmente firmò gli accordi di Oslo con Israele nel 1993, né quello che la comunità internazionale intendeva promuovere quando accettò di supportare gli sforzi di pace nella regione.
L’ANP, istituita inizialmente come governo provvisorio, è stata fin dall’inizio incapace di difendere il territorio e il popolo palestinese dal progetto coloniale ed espansionista di Israele, o di gestire un’entità economicamente in salute che potesse assicurare un sostentamento dignitoso per i palestinesi, specialmente in tempo di crisi acuta.
L’economia palestinese dipende ancora dagli aiuti esteri tanto quanto dipende dall’economia israeliana e dalle dannose disposizioni introdotte con gli Accordi di Oslo. Tra questi è presente il Protocollo del 1994 sulle Relazioni Economiche, che ha formalizzato le relazioni economiche israelo-palestinesi all’interno di un’unione doganale faziosa che favorisce l’economia forte di Israele e che ha lasciato ai palestinesi uno spazio limitato per sviluppare una propria indipendenza economica.
Il tanto pubblicizzato approccio di buona governance dell’ANP adottato negli ultimi decenni è risultato essere, ironicamente, un aumento di tendenze autoritarie e di strutture di repressione piuttosto che un processo di democratizzazione e responsabilità. Con lo scisma politico tra Fatah e Hamas che risale al 2007, l’ANP guidata da Fatah ha focalizzato il proprio potere sulla Cisgiordania, mentre benefattori internazionali hanno investito in modo significativo nel rafforzamento dell’apparato di sicurezza dell’ANP. Al giorno d’oggi, le strutture di governance palestinesi sono deboli e non democratiche su tutti i livelli.
Le fazioni di resistenza palestinesi che presero il controllo dell’OLP alla fine degli anni ‘60 erano riuscite a unire le comunità palestinesi disperse nei campi profughi e nella diaspora grazie all’obiettivo comune di liberare la Palestina. L’OLP ospitava diverse fazioni politiche palestinesi, incluso Fatah (il suo membro più vasto), il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, e tanti altri. Comprendeva anche unioni di lavoratori, scrittori, studenti e donne, tra gli altri, ma escludeva i gruppi islamisti.
La creazione dell’ANP ha distrutto politicamente l’OLP, impossessandosi del potere di prendere decisioni. Nel frattempo, l’afflusso di aiuti stranieri ha assicurato all’ANP il ruolo di rappresentante di fatto della Palestina nelle relazioni con Israele e nei cosiddetti processi di pace.
Eppure, nonostante la sua debolezza, l’ANP è riuscita a dominare l’OLP e a ridurne il ruolo di unico rappresentante del popolo palestinese, riconosciuta tale dalle Nazioni Unite e dalla Lega Araba nel 1974, e ritenuta la punta di lancia del movimento nazionale di liberazione della Palestina. Ciò deve cambiare – e il primo passo da fare è riportare il centro di gravità all’OLP.
L’assenza di sovranità dell’ANP si è tradotta in una dipendenza totale, ai fini della sopravvivenza, dal volere politico ed economico della comunità internazionale, e di conseguenza nella perdita della facoltà di prendere decisioni politiche indipendentemente. La decisione della comunità internazionale di sospendere i finanziamenti all’ANP dopo la vittoria di Hamas alle elezioni legislative del 2006 è infatti un chiaro esempio di come l’ANP sia incapace di proteggere le scelte democratiche dei palestinesi – anche quando queste sono il risultato di elezioni libere ed eque. Ciò che impedisce all’ANP di sciogliersi è il supporto internazionale che essa riceve: se crollasse, cadrebbe anche il coordinamento della sicurezza con Israele, un risultato che la comunità internazionale preferisce evitare.
Ma dopo quasi tre decenni di vita, l’ANP non ha avvicinato in alcun modo il popolo palestinese alla realizzazione del suo diritto inalienabile all’autodeterminazione. È giunto il momento di dichiarare obsolete l’ANP e le sue strutture: sono semplicemente inadatte per le generazioni palestinesi presenti e future che puntano all’uguaglianza, alla giustizia e alla libertà prima di ogni altra cosa.
I palestinesi devono affrontare, ancora una volta, l’arduo compito di reimmaginare il loro futuro e di tracciare una traiettoria verso la giustizia e la libertà. Il ripensamento fondamentale dell’attuale struttura dominante significa mettere in dubbio l’utilità istituzionale dell’ANP e il suo ruolo nella lotta palestinese per l’autodeterminazione. I palestinesi farebbero meglio a ripristinare, riformare e dare nuova vita a un’istituzione potenzialmente più rappresentativa e inclusiva: l’OLP.
Nell’ultimo anno, una dozzina di analisti di Al-Shabaka che si occupano di politiche palestinesi hanno provato ad affrontare le domande spinose per le quali il popolo palestinese, specialmente i giovani, chiedono risposte. Queste domande comprendono: Come farebbe l’OLP a mantenere la responsabilità in quanto movimento di liberazione nazionale e organo di governo? Come si potrebbero integrare Hamas e il Movimento per il Jihad Islamico nelle strutture dell’OLP dopo decenni di esclusione? E quali modelli di leadership giovanile palestinese potranno essere ulteriormente sviluppati nel prossimo futuro? I messaggi chiave del report “Reclaiming the PLO, Engaging the Youth” sono che l’inclusività, la responsabilità e la leadership giovanile contano.
Ricostituire l’OLP significherebbe coinvolgere Hamas e il Movimento per il Jihad Islamico. Una OLP senza queste due importanti fazioni minerebbe la propria pretesa di essere rappresentativa di tutti i palestinesi e intaccherebbe la propria legittimità. La rappresentazione simbolica non è abbastanza: la loro inclusione deve essere parte integrante di un dialogo nazionale che ripensa il programma politico palestinese e, significativamente, rivisita i propri modelli di leadership e stili di governance.
Israele ha spesso sfruttato le azioni di Hamas e del Movimento per la Jihad Islamica per sottrarsi agli impegni presi tramite gli accordi di pace di Oslo e per giustificare la violenza usata contro il popolo palestinese. Tuttavia, la stessa Israele ha più volte raggiunto accordi con Hamas – che Hamas ha appoggiato – e che si è assicurato che altre fazioni a Gaza appoggiassero. Inoltre, l’occupazione militare israeliana e l’espansione di insediamenti illegali, nonostante il controllo da parte di Fatah sulla Cisgiordania, sfatano il mito che Hamas sia l’ostacolo maggiore alla pace.
Ricostituire l’OLP richiederà una significativa costruzione del consenso, che è cruciale per il movimento di liberazione nazionale. Dato che non è un governo, l’OLP necessita di ottenere responsabilità nei confronti delle persone che rappresenta consultandole e giungendo a un consenso piuttosto che usando le elezioni.
La responsabilità ha importanza anche come via d’uscita dal pantano attuale. Non solo gli attuali leader palestinesi nell’OLP e nell’Autorità Palestinese si sono trasformati in un’elite egocentrica ampiamente disconnessa da coloro che affermano di rappresentare, ma così fa anche Hamas, in larga misura, a Gaza dal 2007.
Il divario è netto: sono pochi i palestinesi – sia che vivano nei territori della Palestina occupata o nella diaspora – che hanno avuto voce in capitolo in qualsiasi decisione politica presa a loro nome. Mentre i sondaggi d’opinione mostrano, anno dopo anno, che la maggioranza dei palestinesi nei territori occupati è frustrata dalla leadership, dalle fazioni politiche e dall’ANP, i palestinesi non dispongono di un meccanismo politico per cambiare leader, figuriamoci per ricostruire il loro sistema politico.
Pertanto, non possono esserci serie discussioni riguardo la riforma della leadership palestinese senza che il popolo palestinese, ovunque si trovi, abbia voce in capitolo nel processo di decisione, nel correggere la rotta e nel chiedere conto ai propri leader politici. Una OLP riformata deve rispondere prima di tutto al popolo palestinese.
Coinvolgere le nuove generazioni di leader palestinesi è fondamentale. Tuttavia, il campo da gioco politico al momento è cosparso di ostacoli strutturali all’emergere di giovani leader palestinesi impegnati nella lotta per la giustizia e la libertà. Dall’ossessione dei benefattori internazionali di coltivare tecnocrati palestinesi, che sono distanti dalle realtà vissute dai palestinesi che si trovano sotto occupazione o nella diaspora, alla protezione delle elite governanti e la soppressione violenta delle voci che potrebbero cambiare lo status quo, i giovani leader palestinesi sono indeboliti ad ogni turno.
I palestinesi possono trarre esempi di leadership dalla loro stessa storia, inclusi gli inizi della OLP stessa, con la quale i palestinesi formarono una leadership collettiva basata sul consenso e riuscirono nella mobilitazione di massa e nella partecipazione dei palestinesi a livello popolare.
Mentre da un lato l’attuale leadership dell’ANP ha giustamente rifiutato il progetto di pace del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dall’altro resta ancorata a un programma politico che ha deluso il popolo palestinese, continuando a mettere le loro speranze nella mani di attori, come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che per decenni hanno dimostrato di non avere la volontà politica di occuparsi dei diritti dei palestinesi. In questo caos è impossibile costruire un nuovo organo rappresentativo palestinese con un programma politico effettivo.
Nonostante l’OLP sia attualmente in uno stato semidormiente, rimane l’organo più vicino alle comunità palestinesi in patria e nella diaspora. L’unico modo che i palestinesi hanno di uscire dall’attuale vicolo cieco politico è ripristinare e ricostruire dalle fondamenta le reti popolari in patria, nei campi profughi e nella diaspora.
Una nuova generazione di leader palestinesi deve recuperare l’OLP come il solo tetto sotto il quale il popolo palestinese può riunirsi, organizzarsi, eleggere i propri rappresentanti, ricreare una narrazione nazionale unificata, dibattere e decidere un programma politico che realizzerà al meglio i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e alla giustizia. Nena News