Le sanzioni non hanno distrutto il Sud Africa e l’Iran e non distruggeranno Israele. Piuttosto libereranno Israele dalla trappola dalla quale non è in grado di uscire da solo
di Shlomo Sand* – Haaretz
(traduzione di Carlo Tagliacozzo)
Roma, 20 febbraio 2016, Nena News – I media la definiscono l’Intifada dei singoli. Ma tutti noi sappiamo che è innanzitutto un’Intifada dei giovani. La classe politica israeliana è convinta che [i giovani] vengano sobillati, ma chiunque voglia essere onesto con sé stesso sa che le ragioni reali della recente ondata di attacchi sono la persistente occupazione, le umiliazioni quotidiane, il vuoto esistenziale e la percezione di non avere nessuna via di uscita.
Poco distante dalle nostra vita quotidiana a Tel Aviv e a Haifa, un popolo privo dei diritti umani e privo dei più fondamentali diritti civili ha vissuto per circa mezzo secolo. Noi, gli israeliani, lavoriamo, studiamo e viviamo agiatamente e liberamente, mentre non lontano da noi un popolo è alla mercé dei soldati e della smisurata avidità per la terra dei coloni appoggiati dal governo.
Ogni volta che sento le notizie di un ragazzo o una ragazza palestinese che hanno buttato la loro vita per ammazzare degli israeliani, sono costernato per il gesto, ma allo stesso tempo non posso esimermi dal ricordare le dure parole di Alexander Penn [poeta israeliano di origine russa membro del partito comunista, ma anche sionista, ndt]: “Ed egli è stato incendiato, sta fiammeggiando e sacrifica se stesso per incenerire l’amara offesa della schiavitù”.
Naturalmente la resistenza armata non è di per sé qualcosa di nobile e di virtuoso. E’ difficile e spesso orrendo. Donne innocenti e bambini sono colpiti e persino uccisi. Ma quelli che lo stanno perpetrando non sono nati assassini. In altre circostanze storiche, quei bambini e quei giovani che prendono un coltello da cucina, un’accetta o una vecchia auto e li trasformano in armi letali, avrebbero potuto finire i loro studi, diventare degli onesti professionisti, essere delle madri e dei padri, crescere dei bambini e invecchiare pacificamente. Ma nella loro storia è stato danneggiato qualcosa che sta provocando disastri e che nella nostra storia israeliana sta diventando mostruoso.
Quando incontro all’estero dei colleghi spesso mi chiedono come possa succedere che i discendenti degli ebrei perseguitati possano trasformarsi in così brutali persecutori. Io rispondo che la persecuzione non ha mai prodotto un automatico vaccino contro l’arbitrarietà e la cecità verso il destino dell’altro.
Tuttavia se l’insediamento dei profughi [ebrei] cacciati dall’Europa può essere considerata come una giustizia storicamente discutibile (dopotutto, i nativi non avrebbero dovuto pagare per quello che la civiltà cristiana ha fatto ai nostri genitori e ai nostri nonni) il continuo insediamento dei figli dei profughi che hanno già acquisito una sovranità è un male privo di qualsiasi giustizia.
La maggior parte della società israeliana sostiene i mali dell’occupazione o è indifferente riguardo ad essi. Alcuni pensano che è il prezzo da pagare per la lenta liberazione dell’immaginaria patria che la bibbia ha promesso loro. Altri traggono un beneficio da generosi finanziamenti e da beni reali; per la maggior parte di essi è semplicemente più comodo ignorare tutto quello che li circonda.
Le ferie incombenti, la carriera che è così difficile da preservare e sviluppare, le difficoltà economiche e gli ostacoli e altri simili cose ci impediscono di vedere e comprendere perché dei ragazzini diventano degli assassini. Perché tredicenni, quattordicenni, quindicenni hanno apparentemente perso interesse verso la loro vita e sono di conseguenza disposti a prendersi la vita di altri in un’esplosione di odio.
Non scrivo per convincere i coloni e i loro fanatici sostenitori. Non provo a cambiare il pensiero dei politici populisti che nuotano in un oceano di manipolazione del potere. Cerco di rivolgermi a coloro che sono apatici o forse pigri, o semplicemente perché gli conviene non saperne niente. L’ondata di terrore degli ultimi mesi non ci ha ancora impedito dal condurre una vita normale. È ancora possibile vivere un’esistenza illusoria, nella convinzione che alla fine tutto in qualche modo si aggiusterà.
Se noi israeliani siamo riusciti fino ad ora a cavarcela da tutte le guerre e dalle intifade, sicuramente riusciremo a superare tutti i guai futuri. Io, in dissenso con costoro, penso che la vita oggi in un Medio Oriente instabile e in un Paese ebraico in continua espansione è simile a una corsa senza speranza e condannata [in partenza]. Non solo stanno crollando i valori fondamentali, ma con loro è stata erosa anche la logica politica dei nostri stessi presunti interessi.
Penso che i miei contributi ingenui possano servire? Non proprio. Sono sempre più persuaso che la possibilità di un’opposizione politica capace di modificare la tendenza generatasi in Israele – che annunci che Israele non è interessato a nessuna sovranità oltre i confini del 1967 e che intenda rimandare indietro nelle loro precedenti patrie tutti i coloni; che i luoghi santi non devono essere sotto il controllo esclusivo di Israele e che Gerusalemme può essere la capitale dei due Stati – la probabilità che ciò avvenga sia prossima allo zero.
È possibile che, se il terrorismo aumenta e se, dio non voglia, gli assalitori suicidi più anziani si uniscono ai giovani di oggi, se non ora in futuro, più e più israeliani si stancheranno concretamente dell’occupazione. Ma se questo triste scenario si concretizzasse, ciò avverrebbe dopo dopo che ancora più sangue venga versato da entrambe le parti.
Proprio perché mi oppongo all’occupazione e alla negazione dei diritti degli altri, detesto anche il terrorismo e lo ripudio. Per questa ragione, sono sfortunatamente arrivato a una conclusione che precedentemente avevo rifiutato di fare o di esprimere pubblicamente. Non posso più continuare a criticare le pressioni sul governo israeliano.
Per anni mi sono opposto al boicottaggio e alle sanzioni, ma sono sempre più convinto che, come le sanzioni hanno funzionato quando sono state applicate contro il Sud Africa e contro l’Iran, possono essere efficaci se applicate contro Israele.
Le sanzioni non hanno distrutto il Sud Africa o l’Iran. Né distruggeranno Israele. Io, ovviamente, mi oppongo per principio a sanzioni il cui obiettivo sia quello di cambiare il regime e lo stile di vita in Israele. Nessuno se non gli israeliani ha il diritto di farlo. Ma le sanzioni che sono intese a impedire il continuo controllo di Israele sulla vita degli altri, il che ha impedito a costoro di possedere la propria terra e gestire il proprio destino negli ultimi 50 anni, non contraddicono il principio democratico di autodeterminazione. È vero il contrario. Lo ampliano.
Questa è un’opportunità, e non piccola, che tali sanzioni salvino sia i ragazzi che commettono attacchi suicidi che le loro vittime. E oltretutto, potrebbero togliere Israele dalla trappola da cui, come dimostra ogni giorno che passa, non è in grado di uscire da solo. A mio modesto parere chiunque ami il Paese e si opponga al terrorismo non può più permettersi di continuare a protestare contro le pressioni e le sanzioni che divengono via via sempre più legittime.
*Il prof. Sand insegna nel dipartimento di storia dell’università di Tel Aviv. E’ noto per i suoi libri “L’invenzione del popolo ebraico” (Rizzoli) e “Come ho smesso di essere ebreo” (Rizzoli). Il suo ultimo libro “History in the Shadows” è stato pubblicato nel 2015.
Questo articolo, apparso lo scorso 14 febbraio sul quotidiano Haaretz, è stato pubblicato e tradotto in italiano dal sito Zeitun.info