Abusate, schiavizzate, vendute, o addestrate al combattimento. Questa la sorte di tante ragazze catturare dalle milizie dell’imam-guerriero Abubakar Shekau. La denuncia di Amnesty International nell’anniversario del rapimento di 267 studentesse
di Sonia Grieco
Roma, 15 aprile 2015, Nena News – Il 2014 è stato un anno nero per le donne nigeriane. Almeno in duemila sono finite nella mani della setta di stampo jihadista Boko Harma che sta mettendo a ferro e fuoco le zone settentrionali del Paese. Abusate, schiavizzate, vendute, o addestrate al combattimento. Questa la sorte di tante donne, alcune giovanissime, catturare dalle milizie dell’imam-guerriero Abubakar Shekau, assieme a centinaia di minorenni che potrebbero essere stati arruolati nelle file del gruppo armato affiliatosi all’autoprocalmato Stato Islamico.
A denunciarlo è un rapporto di Amnesty International (AI) nel giorno (il 14 aprile) dell’anniversario del rapimento delle 276 studentesse di Chibok (in 219 sono ancora nelle mani del gruppo). Un anno fa, le ragazze furono sequestrate durante un attacco di Boko Haram alla loro scuola, nella città nord-orientale di Chibok. L’episodio scatenò un coro d’indignazione, campagne di denuncia sui social media, con testimonial di primo piano, come la first lady Usa, Michelle Obama. I riflettori si accesero sulla Nigeria, la cui tenuta è mesa a dura prova dalla presenza dei jihadisti, contro cui da marzo è in corso una campagna militare congiunta, terrestre e aerea, patrocinata dall’Unione Africana, che vede impegnati 10mila uomini inviati da Ciad, Camerun, Niger, Nigeria e Benin. Ma l’attenzione della cosiddetta comunità internazionale -calata dopo qualche settimana- non è bastata a riportare a casa le studentesse, né tutte le altre nigeriane nelle mani dei miliziani.
Un anno fa alla guida del Paese c’era il cristiano Goodluck Jonahtan, le cui politiche di contrasto all’avanzata di Boko Haram hanno ottenuto pochi risultati. Oggi, dopo le elezioni di poche settimane fa, la presidenza è del musulmano Muhammadu Buhari che si è impegnato a riportare a casa le ragazze, ma ha ammesso che non è sicuro di riuscirci. “Non sappiamo se è possibile salvare le ragazze di Chibok. Non sappiamo dove si trovano. Per quanto lo desideri, non posso promettere di poterle trovare”.
Dichiarazioni che non fanno ben sperare per la sorte delle studentesse, diventate famose loro malgrado, anche grazie alle manifestazioni che i famigliari hanno tenuto regolarmente nel corso di quest’ultimo anno. Sit in che spesso sono diventati proteste nei confronti delle politiche dell’allora presidente Jonathan, e in alcuni casi si sono verificati tafferugli con le forze dell’ordine.
Ma il rapporto di Amnesty racconta anche della brutalità di Boko Haram, che ha lasciato una scia di sangue e orrore al suo passaggio, applicando in maniera fanatica la propria interpretazione della sharia. “Uomini e donne, ragazzi e ragazze, cristiani e musulmani, sono stati uccisi, rapiti e abusati”, ha detto Salil Shetty, segretario generale AI. Sono migliaia le vittime (5.500, secondo AI) di questa insurrezione armata nel nord-est della Nigeria, iniziata nel 2009. L’impatto sulla popolazione civile è terribile, molte famiglie sono state divise e sono migliaia gli sfollati. Ma il bilancio di questo conflitto è ancora provvisorio e si continuano a scoprire fosse comuni e decine di cadaveri nei pozzi.
Boko Haram è anche uno dei gruppi armati che usa lo stupro come comune arma di guerra in maniera quasi sistematica. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli abusi e la schiavitù sessuali, i matrimoni forzati e lo stupro sono parte delle strategie di guerra di formazioni estremiste in Iraq, Siria e Nigeria. Sono aggressioni calcolate, strettamente connesse agli obiettivi strategici di questi gruppi. Servono a terrorizzare le popolazioni per ottenerne la sottomissione e la collaborazione. Inoltre, sono una redditizia fonte di finanziamento attraverso la prostituzione e il traffico di esseri umani.
Non è certo una tattica legata soltanto alle formazioni di stampo jihadista. Nella lista dei 45 gruppi che ricorrono sistematicamente allo stupro come arma di guerra ci sono fazioni della Repubblica Democratica del Congo, del Sud Sudan e persino forze di polizia. I nigeriani ne sanno qualcosa degli abusi commessi da militari e poliziotti. Le violenze, le esecuzioni sommarie, le detenzioni arbitrarie perpetrate dai soldati nigeriani in passato, ancor prima dell’apparizione di Boko Haram, sono state denunciate da diverse organizzazioni internazionali, che hanno puntato il dito contro la piaga della corruzione nelle Forze armate. Il tutto sullo sfondo di una diffusa povertà, soprattutto nelle zone settentrionali della Nigeria, e di profonde divisioni etniche e religiose, tra il Sud cristiano più ricco e il Nord musulmano arretrato e trascurato dal governo centrale, se non addirittura discriminato.
Non sono state messe in campo politiche economiche per il nord-est. Non sono stati creati sviluppo e lavoro per i giovani di quelle zone, costretti a scegliere tra la povertà e la promessa di un bottino di guerra offertagli da Boko Haram. In generale, la Nigeria, che è il maggiore produttore di petrolio del continente, non ha sviluppato politiche economiche che includano altri settori produttivi oltre a quello petrolifero, su cui vertono gli interessi delle multinazionali del greggio e di una classe politica corrotta.
È in questa iniquità che affonda le radici l’insurrezione armata di Boko Haram. L’ultima tornata elettorale ha aperto uno spiraglio sul futuro di questo Paese, soprattutto perché non è stata segnata dalle violenze, come sempre accaduto in passato. Una svolta che deve essere portata avanti dal neo presidente Muhammadu Buhari. Politico di lungo corso (ha guidato il Paese sotto la dittatura militare negli anni Ottanta) che ha promesso di imprimere cambiamenti radicali e anche per lui Boko Haram resta la principale sfida da affrontare. Nena News