Decimo venerdì di protesta dei palestinesi in Israele. A Doha da oggi in vigore il salario minimo per migranti. Ankara esce dalla Convenzione di Istanbul contro le violenze di genere
della redazione
Roma, 20 marzo 2021, Nena News
Palestina, decimo venerdì di protesta dei palestinesi in Israele
Ieri, per la decima settimana consecutiva, migliaia di palestinesi hanno manifestato in Israele contro le politiche discriminatorie dello Stato e della sua polizia. La protesta si è svolta di fronte alla sede del comune di Umm al-Fahem, una delle giù grandi città palestinesi nello Stato di Israele, nel cosiddetto “triangolo”, al confine con la Cisgiordania, una zona a maggioranza araba più volte emersa nelle cronache come possibile territorio di scambio con l’Autorità nazionale palestinese nel caso di un accordo di pace.
Dall’inizio dell’anno, una serie di casi di omicidio, una ventina, nella comunità ha creato grande allarme (1.700 dal 2000, 97 solo nel 2020), anche a fronte di una passività della polizia israeliana che gli attivisti palestinesi imputano a una volontà di mantenere alto il livello di criminalità per “dividere l’unità e distruggere la fabbrica sociale” palestinese. Nello specifico, dicono i palestinesi, anche quando il responsabile di un omicidio è noto, non viene arrestato, mantenendo uno stato di impunità dei colpevoli che mira a disintegrare i rapporti sociali interni.
Recentemente stazioni di polizia israeliana sono state aperte nelle comunità palestinesi, dietro raccomandazione della Commissione Orr creata nel 2000, subito dopo l’inizio della seconda Intifada. Tra i consigli dati dalla Commissione c’era quella di mantenere una presenza fisica nel territorio per poter raccogliere informazioni, ma anche per poter “integrare” i palestinesi nello Stato invitandoli a svolgere il servizio civile.
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Qatar, da oggi in vigore il salario minimo per migranti
Da oggi in Qatar è in vigore la nuova legge suo salario minimo non discriminatorio per i lavoratori migranti, primo paese nella regione ad approvare una simili normativa. Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro, la legislazione si applicherà a oltre 400mila lavoratori, su un totale di circa due milioni di migranti. Dati arrivano anche dal governo che parla di oltre 5mila compagnie che hanno già aggiornato il sistema di pagamento.
Tutti i dipendenti dovranno ricevere un minimo di mille riyal qatarioti, circa 230 euro, al mese, a cui aggiungere 300 riyal per il cibo e 500 per l’affitto, a meno che non sia il datore di lavoro a provvedere a vitto e alloggio.
Se la legge è sicuramente catalogabile come una buona notizia, la situazione generale in Qatar per i lavoratori migranti resta terribile. Nonostante la cancellazione del sistema della kafala nell’agosto 2020, che dovrebbe permettere al migrante di cambiare liberamente lavoro in cerca di condizioni migliori, molti restano comunque intrappolati in impieghi sottopagati e senza diritti. Una realtà tornata sulle pagine dei giornali poche settimane fa: nei cantieri dei Mondiali di calcio del 2022, secondo un’inchiesta del Guardian, sono morti 6.751 lavoratori migranti in dieci anni, dal 2011 al 2020, quasi due al giorno.
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La Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul contro le violenze di genere
Ieri sera è arrivata la notizia, in qualche modo attesa: la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul del 2011, il principale trattato internazionale per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, siglato nella città sul Bosforo dal Consiglio d’Europa e firmato da 45 Stati. Nell’annunciarlo su Twitter la ministra della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali, Zehra Zumrut, ha scritto che a tutelare le donne “ci sono già le leggi nazionali, a partire dalla nostra Costituzione. Il nostro sistema giudiziario è dinamico e abbastanza forte da implementare nuove leggi”.
Non sembra essere così a guardare i dati, costantemente ribaditi dalle associazioni femministe e per i diritti delle donne: almeno il 38% delle donne turche ha subito almeno una volta nella vita un abuso, 300 i femminicidi nel 2020. Le donne denunciano la carenza di strutture di sostegno dello Stato per le vittime di violenza e accusano la magistratura di non indagare a fondo i casi di femminicidio, spesso fatti passare per suicidio nonostante le autopsie dicano il contrario: lo scorso anno, oltre ai 300 femminicidi accertati, si sono verificate 170 morti sospette di donne, non catalogate come omicidi.
Da tempo il partito di governo, l’Akp di Erdogan, aveva attaccato la Convenzione, accusandola di incoraggiare i diversi e di fare riferimenti all’uguaglianza di genere a favore delle persone Lgbtqi+. Nena News