Otto anni fa l’infermiera Gianna Pasini scoprì a Gaza una malattia genetica chiamata epidermolisi bollosa (Eb) che rende la pelle fragile come le ali di farfalla. Questo testo in arabo e italiano, curato da Pasini e arricchito dai disegni di Fogliazza, è dedicato ai bambini gazawi affetti da questa malattia. Post-fazione di Wasim Dahmash
di Patrizia Cecconi
Roma, 18 febbraio 2021, Nena News – Un nome delicato e leggero, che fa pensare a qualcosa di bello, colorato, felice: “Storia di una bambina farfalla di Gaza”, questo il titolo di un piccolo libro, strano, originale, veloce da leggere, immediato da comprendere, arricchito da disegni bellissimi e raccontato dai protagonisti. Un libro per tutti, ma con una sorpresa per i bambini.
La “Storia di una bambina farfalla” è curato da Gianna Pasini, un’infermiera di Brescia ora in pensione, ma non a riposo, che un giorno di circa otto anni fa, nella Striscia di Gaza, scopre una malattia genetica chiamata epidermolisi bollosa, o EB, che rende la pelle fragile come le ali delle farfalle.
Quelli che ne sono ammalati in forma leggera, come Isshaq che apparirà nel libro, hanno la possibilità di fare una vita quasi normale. Per quanto possa esserlo a Gaza. Ma quelli malati in forma grave di solito non arrivano alla pubertà. Quando Gianna scopre i bambini farfalla, si rende conto che non possono guarire, però c’è la possibilità di alleviare i dolori delle loro piaghe e riuscire anche a fargli avere dei momenti di felicità. E quindi Gianna va a Gaza a medicare questi bambini e quando non può andare ci pensa Issahq seguendo le sue indicazioni. È tutto raccontato nel libro, che è come un puzzle, aperto da una filastrocca dedicata a questi bambini e seguita da tante testimonianze, a partire da quelle di Martina, una bimba farfalla di Brescia e di Sandra, sua madre. Sì, perché l’EB è rara ma esiste anche in Italia.
Poi il volumetto si riempie della storia della bambina farfalla di Gaza introdotta da un disegno di Fogliazza che fa sorridere di tenerezza lasciando la malinconia dietro ai colori. E la piccola butterfly comincia a raccontare la sua vita tra l’embargo, l’acqua inquinata, le dolorose bolle che scoppiano, gli amici italiani che vengono a curarla, Isshaq che la fa ridere, i pescatori colpiti dai proiettili israeliani, il sostegno del PCRF per andare a scuola, e anche il tifo per il Real Madrid e per il campione nazionale Mahmud Sarsak, e alla fine chiude la sua storia con una lista di desideri.
Quindi “sentiamo” la voce di Gianna che racconta di quando a Gaza, nel 2013, incontra Daniela e Paolo che seguono i butterfly children e la portano a conoscere Fahed, un bimbo di 8 anni molto segnato dalla malattia, e poi Reema la quale è felice di mostrare che Daniela le ha insegnato a scrivere il suo nome nonostante le sue dita siano tutte attaccate. Gianna resta colpita dalle storie di queste povere vite e decide che questa sarà la sua futura mission: dedicarsi ai bambini farfalla di Gaza. Gianna è quel che si dice una donna testarda, che è un po’ più che dire tenace, e chi la conosce sa che non è facile liberarsi di lei se ha un progetto in testa che coinvolge chi la sta ascoltando. Così, grazie a questa “dote” ha cercato e infine ha trovato la onlus PCRF che svolge missioni sanitarie nella Striscia di Gaza. Quindi è entrata in contatto con la coordinatrice del PCRF riuscendo ad ottenere che anche i butterfly children possano rientrare nelle loro cure.
Gianna lo racconta senza dimenticare di citare nessuno di coloro che l’hanno aiutata e ancora l’aiutano a sostenere questo progetto e alla fine ammette di ricavare un “compenso” da questo lavoro. Lo confessa quando parla di Wesam, il piccolo butterfly che l’ha riempita di una tenerezza così struggente che, confessa, l’ha portata “ad accettare quell’amore così puro che sanava (sue) antiche ferite.” Anche Daniela Riva, l’iniziatrice del progetto, racconta di quando aveva scoperto il piccolo Hazem che sembrava bruciato dalla testa ai piedi e, facendo ricerche, aveva saputo che anche altri bambini avevano quella terribile malattia. Nelle sue pagine racconta di come, grazie alla fondazione Vittorio Arrigoni, aveva realizzato un progetto capace di cambiare completamente la vita di quelle creature le cui famiglie, credendo non ci fosse nulla da fare, erano rassegnate a vederle spegnere man mano che la malattia avanzava. L’arrivo di medici dall’Italia e le tecniche di medicazione, la fisioterapia, la possibilità di camminare e addirittura di andare a scuola sembravano un miracolo.
Mettere insieme le famiglie, organizzare delle feste per e con questi bimbi è stata per Daniela una gioia talmente grande che anche lei, come Gianna, confessa che curare le ferite di quei bambini era stata anche una cura per le sue proprie ferite. In una pubblica dichiarazione li ringrazia per averle aperto quel mondo di resistenza e di reciproco amore.
Pagina per pagina sembra di trovarsi in una specie di effetto domino dei sentimenti che arriva anche a Martina Luisi, la coordinatrice del PCFR Italia, la quale afferma che “partecipare agli sforzi di Daniela e Gianna è un sincero motivo di orgoglio per il PCRF”.
Questo piccolo libro a più mani, fatto di tante storie e tanti splendidi disegni, si chiude poi con la post-fazione del suo editore, l’intellettuale damasceno Wasim Dahmash, il quale, coinvolto dal vulcano Gianna, ha accettato di pubblicarlo mettendoci competenza e cura e concludendolo con un personale richiamo storico a ciò che Gaza ha patito dal 1948 in poi per mano di Israele.
Eppure Gaza seguita incredibilmente a sopravvivere a tutto, compreso l’assedio, la mancanza d’acqua e di elettricità, i frequenti bombardamenti, la disoccupazione. E i bambini farfalla, come ripetono Gianna e Daniela, nonostante il dolore delle loro ferite, insegnano a volare e, forse, niente meglio di quel nome delicato e leggero riesce a rappresentarli.
Un libro con doppio testo, italiano e arabo, da leggere, da regalare, da conservare, sapendo che dentro ogni pagina c’è un atto d’amore da e per i bambini farfalla e che alle loro cure sarà dedicato il ricavato di ogni copia.