Il ricordo dell’attivista Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza nel 2011. «Una voce che parla ancora. Una voce che forse non tacerà mai finché ci sarà tanta ingiustizia e tanto dolore in quella terra che ha amato e che ha insegnato ad amare» scrive di lui Patrizia Cecconi
di Patrizia Cecconi
Roma, 20 gennaio 2017, Nena News – (inizia da qui)
Alcuni mesi dopo chiesi a Vittorio se voleva venire in Italia per partecipare a una conferenza all’Università La Sapienza su “isolamento e manipolazione mediatica” in cui avremmo parlato di Cuba e della Palestina, in particolare di Gaza. Vittorio mi rispose “non sono io il regista della mia vita, non so se potrò, semmai faremo un collegamento in diretta”. Infatti facemmo un collegamento telefonico in diretta.
Era il 15 marzo 2011. Quando lo chiamavo per organizzarci usavo le schede pubbliche dalle quali non appariva il numero del chiamante. Vittorio mi pregò di mandargli un messaggio prima della chiamata per dirgli che ero io altrimenti non avrebbe risposto, perché tutte le chiamate anonime erano minacce di morte, quindi le ignorava. Il 15 aprile veniva ucciso.
Il dolore per la sua morte fu qualcosa di straordinario. Forse solo la morte del Che, tanti anni prima, aveva prodotto altrettante emozioni dolorose in mezzo mondo.
Quando la sua salma arrivò in Italia neanche un sotto-sotto-vice segretario del governo italiano andò a riceverla. C’eravamo noi, decine di amici e compagni all’aeroporto e migliaia a San Lorenzo dove la salma arrivò e venne allestita la camera ardente. C’era anche la giornalista di Rainews24 che mi telefonava per chiedermi di arrivare in fretta a San Lorenzo, prima che finisse il suo turno perché solo così avrebbe potuto mandare la mia intervista senza filtri in diretta. Non feci in tempo. Arrivai che il turno era finito, ma non era importante, altri compagni vennero intervistati in diretta e l’Italia più distratta scoprì chi fosse questo suo figlio che tornava ucciso e da allora la sua voce non fu mai spenta. Chi non lo aveva conosciuto cominciò a conoscerlo allora. E cominciò ad amarlo. E cominciò a capire a distanza cosa significa vivere sotto il tallone dello stato definito democratico di Israele.
Io non amo i funerali, ma quello di Vittorio era un omaggio dovuto e così organizzai due pullman per Bulciago. Non sapevo muovermi molto bene su face book, ma la notizia si diffuse comunque e mi scrissero e mi telefonarono dalla Spagna, dall’Irlanda, dalla Grecia, e addirittura dall’Australia e dal Kenya. Vittorio, come l’esplosione di una galassia, aveva lanciato delle piccole luci in tutti i continenti. Il dolore per il suo assassinio era pari all’amore che questo ragazzo era riuscito a creare con la sua voce che gridava “restiamo umani!”
Piccole luci, sì, come “Piccola Luce” viene definito con tenerezza e poesia da Sabina Antonelli, immaginandolo quando ancora non si erano neanche incontrate le due cellule che gli avrebbero dato la vita. “Piccola Luce era lì…..immersa negli innumerevoli Infiniti…..avvolta dal passato, presente e futuro che, in lei, erano un tutt’uno”. Così comincia la storia del bambino che non voleva essere un lupo.
Se non avessi avuto per le mani questo gioiello, nato dalla fantasia di Sabina Antonelli, curato dall’amore e dai ricordi di Egidia Beretta, scaturito da una frase di Vittorio bambino scritta in una descrizione scolastica di se stesso, se non avessi avuto queste righe da leggere e queste immagini da apprezzare, non avrei mai scritto questi ricordi, perché in fondo mi sembrava superfluo farli conoscere.
Ma sono tornati alla mia mente con irruenza e come se dovessero uscire per forza da me. Ne ho tagliati tanti, tutti erano troppi, ma questi si sono proprio imposti. Non importa che qualcuno li legga o che restino silenziosi, ho sentito una strana e improvvisa urgenza di scriverli. Mi sono chiesta perché. Mi sono risposta, dopo averci pensato un po’. Mi sono risposta che forse era la necessità di aggiungere dei piccoli momenti di vita terrena che improvvisamente mi è piaciuto condividere affinché alla fiaba si sommasse la figura viva, quella che da “Piccola Luce” è diventata una voce che parla ancora. Una voce che forse non tacerà mai finché ci sarà tanta ingiustizia e tanto dolore in quella terra che Vittorio ha amato e che ha insegnato ad amare.
Le 12 immagini che l’autrice presenta come possibili scelte del sogno di una Piccola Luce che vorrebbe portare gioia nel mondo sono tutte, in qualche modo, possibili momenti dell’animo di Vittorio. “Sarò una nuvola….darò respiro al mare e fiato ai deserti”. Oppure “Sarò una barca. …Insieme possiamo sfidare i venti ed arrivare all’approdo”. O forse “Sarò un albero!…avrò radici profonde per sostenermi…anche nella furia delle tempeste” o forse un gatto, o un libro, o un orologio. E perché non una città? O un aquilone, o acqua pronta a dissetare? O forse un lupo, “No, non sarò un lupo. Non voglio essere un lupo. …NON HO LE ZANNE. … … Sarò un bambino che non vuole essere un lupo…. “ e l’autrice immagina che nel momento in cui Piccola Luce fece la sua scelta “l’immensità del mondo, la profonda essenza della vita… trovarono posto dentro di lui.”
Così le due cellule si unirono e Piccola Luce diventò il bambino che non voleva essere un lupo. Arrivò a vedere il mondo e il mondo vide lui. Crescendo cominciarono le domande. Le domande dei bambini sono tante, si arrotolano e si srotolano dalle più profonde alle più leggere e il bambino si chiedeva il senso della vita e quanta cioccolata potesse mangiare. Poi si chiedeva cosa sarebbe stato da grande, e la fiaba si conclude scoprendo che sarebbe stato una barca, un nuvola, un albero, un orologio, un libro, una città, un aquilone e forse anche uno scoiattolo e una farfalla. Ma non sarebbe mai stato un lupo.
Di certo è stato un sognatore e come lui stesso scrisse un giorno prendendo le parole da un altro grande sognatore, Nelson Mandela, “un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare” Questo è Vittorio, e la fiaba del bambino che non voleva essere un lupo fa omaggio alla sua figura di vincitore. Vincitore sul male e sulla morte, perché Vittorio è qui, come nuvola che passa e ripassa e lascia nell’aria una voce che non si spegnerà . Restiamo umani!
Il ricavato del libro, che è una tenerissima fiaba illustrata da regalare a grandi e bambini, andrà alla Fondazione Vik Utopia, la onlus che realizza progetti che riflettono e tengono vivo lo spirito che ha guidato le scelte del bambino che non voleva essere un lupo.
Il volume è edito da “Segni e parole”, Autrice e illustratrice Sabina Antonelli, 12 euro. Viene spedito in una o più copie per via postale. Per richiederlo scrivere a egidiaberetta@tiscali.it