Il Parlamento di Tripoli avrebbe respinto la proposta di risoluzione dell’Onu, che avrebbe dovuto portare alla creazione di un’amministrazione condivisa tra i due governi, ma anche a politiche comuni contro i movimenti jihadisti sempre più forti sul territorio
di Francesca La Bella
Roma, 10 luglio 2015, Nena News – Nella Libia divisa un accordo tra le parti sembra essere un obiettivo impossibile da raggiungere. Tralasciando per qualche minuto la miriade di componenti del panorama politico libico e prendendo in considerazione solo i due schieramenti maggiori facenti capo al governo di Tripoli e a quello di Tobruk, possiamo vedere come le prospettive di pacificazione siano incerte. Il Parlamento di Tripoli avrebbe, infatti, respinto la proposta di risoluzione proposta dalle Nazioni Unite. Nonostante il canale non sia definitivamente chiuso data la disponibilità espressa dal portavoce del Congresso Nazionale Generale di Tripoli, Omar Hamidan, a riaprire il dialogo, la bocciatura dell’accordo nato dai negoziati di Skhirat e Berlino di giugno sembra aver messo un freno all’entusiasmo per una possibile riconciliazione libica. Il compromesso non avrebbe dovuto portare solo alla creazione di un’amministrazione condivisa tra i due governi, ma avrebbe dovuto essere anche veicolo di politiche comuni contro i movimenti jihadisti in generale e contro le diramazioni locali dello Stato Islamico in particolare. I gruppi che guardano con favore al progetto di Califfato in tutta l’area sono, infatti, sempre più incisivi nelle dinamiche interne alla Libia.
Il pericolo islamista libico è tale che alcuni provvedimenti sono stati o saranno messi in atto dai Paesi limitrofi per cercare di arginare il problema degli sconfinamenti e della propagazione del fenomeno. Se negli scorsi mesi Egitto ed Algeria si erano posti in prima linea per trovare una soluzione alla crisi libica sovvenzionando e sostenendo una o l’altra parte e fornendo armamenti per combattere la minaccia jihadista, dopo l’attentato di Sousse, anche la Tunisia ha deciso di aumentare la protezione dei propri confini. E’ notizia di questi giorni il progetto di un muro di circa 160 km che dovrebbe dividere Tunisia e Libia la cui costruzione dovrebbe già essere iniziata e dovrebbe completarsi entro fine 2015. In un intervento televisivo, il primo ministro tunisino Habib Essid avrebbe, a tal proposito, ha dichiarato che la minaccia libica necessita prioritario intervento per tutelare la sicurezza interna del suo Paese.
In un contesto di fallimento statuale e di frammentazione politica e sociale, lo Stato Islamico ha, infatti, trovato in Libia un terreno fertile sia per la propria propaganda sia per l’addestramento di militanti diretti verso l’estero. Mentre l’attenzione di media occidentali è rivolta principalmente verso il pericolo di infiltrazione in Europa, i flussi di movimento e di espansione dei gruppi islamisti sono perlopiù diretti verso altri Paesi del mondo arabo con la carica di destabilizzazione che questo comporta. A livello interno, invece, l’espansione dello Stato Islamico e dei gruppi affiliati si scontra con un panorama variegato di attori. In questa situazione, il livello di conflitto non è necessariamente proporzionale alla distanza politica e ideologica tra gli oppositori: in città come Derna, da molti identificata come perno centrale dell’avanzata dello Stato Islamico insieme a Sirte, la contrapposizione tra militanti dell’IS e affiliati del Consiglio della Shura è sempre maggiore.
E’ di pochi giorni fa la notizia dell’esecuzione di 8 membri dello Stato Islamico ad opera del gruppo facente riferimento ad Al-Qaeda e del sostegno espresso da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) al Consiglio della Shura per la tutela della città dall’avanzata dell’IS dopo lo scoppio di alcune autobombe. Questo non deve far pensare ad una condizione di debolezza dei fedeli del Califfato che pochi giorni fa hanno annunciato di aver preso il completo controllo di Sirte e del suo porto. Deve, però, far riflettere sulla molteplicità di linee di frattura che attraversano il Paese.
Anche laddove si sono create le condizioni necessarie per dar vita a delle alleanze, queste sono ogni giorno messe alla prova dagli eventi e dai mutamenti del contesto e, così, lo stesso generale Khalifa Haftar che viene, da occidente, considerato un referente politico centrale per la ricostruzione libica, cerca, dentro e fuori dal Paese, nuovi assi di coordinamento per il futuro. In questo senso, probabilmente, devono essere letti il viaggio del Generale in Serbia all’inizio di questa settimana e quello al Cairo programmato per la settimana prossima. L’aiuto internazionale, diplomatico e militare, potrebbe, infatti, sia aiutare Haftar a vincere qualche battaglia sul campo sia consentire al Generale di rendersi indispensabile per ogni futuro progetto di transizione.
La situazione, in continuo divenire, non sembra presentare nel breve periodo prospettive di miglioramento e la crisi libica, per quanto sia difficile immaginarlo, potrebbe aggravarsi ulteriormente ponendo serie questioni di sicurezza e di contagio per i Paesi limitrofi. Nena News
Pingback: LIBIA, un declino senza fine - VoxPopuli.org