Cade nel vuoto la proposta di sabato del Cairo, intesa a salvare l’alleato Haftar. I combattimenti si spostano nella città costiera, strategica per i terminal petroliferi. L’Onu, intanto, denuncia saccheggi e distruzioni ad Asabiya e Tarhuna (riconquistate pochi giorni fa dal Gna). Le violenze hanno provocato 16.000 nuovi sfollati
di Roberto Prinzi
Roma, 9 giugno 2020, Nena News – Ingolosite dai trionfi militari, le forze del Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli non si fermano più. Dopo aver «liberato» negli ultimi giorni tutta la capitale e la città di Tarhuna grazie al fondamentale sostegno turco, ora puntano a Sirte. Il Gna sa che l’occasione è ghiotta: il suo nemico Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), è ormai alle corde. Il premier al-Sarraj ha confermato che le sue forze «andranno avanti per espellere le bande criminali dalla Libia». Secondo l’ufficio informazioni del Gna, il primo ministro avrebbe informato anche il capo della sala operativa delle forze governative di al-Jufra, Ibrahim Bait Al Mal, di continuare a combattere l’Enl.
Bashaga, il ministro degli Interni di Tripoli, è stato esplicito: «Siamo intenzionati a recuperare il resto del territorio in mano ad Haftar e lavoriamo per impedire alla Russia (alleata dell’Enl, ndr) di aprire una base militare nel paese prima delle trattative di pace».
Già, negoziati. Parola da cui si rifugge in Libia quando l’inerzia del conflitto militare è favorevole. Chiede la tregua chi è in difficoltà. Per mesi è stato infatti il Gna assediato a richiederla.
Ora però lo scenario bellico si è capovolto e sono gli alleati del generale a proporre il cessate il fuoco. L’ultimo, quello annunciato sabato dal presidente egiziano al-Sisi e che sarebbe dovuto cominciare ieri alle 6 di mattina, era stato preso in considerazione da molti fuori della Libia.
Gradimento per l’iniziativa egiziana era stato espresso da Onu, Usa, Russia, Francia e Grecia.
In una nota anche l’Italia aveva fatto sapere di aver «accolto con attenzione l’annuncio» egiziano.
La proposta del Cairo è stata premiata ieri da Roma da una telefonata tra il premier Conte e al-Sisi. Due i punti: la «collaborazione bilaterale» tra i due paesi «da quella industriale a quella giudiziaria, con particolare riferimento al caso Giulio Regeni» e il dossier libico.
Su questo punto, l’Italia ha ribadito una «iniziativa di pace nel quadro del processo di Berlino». Il Cairo concorda: al-Sisi sa bene che lo stop alle violenze in Libia è l’unica soluzione per attutire la sconfitta militare del suo deludente alleato Haftar. Farsi promotore di pace serve inoltre a ripulire internazionalmente la sua faccia da repressore feroce in casa.
A questo è servita veramente la «Dichiarazione del Cairo» di sabato che mai avrebbe potuto trovare consensi a Tripoli. Tra i punti previsti, oltre al cessate il fuoco previsto per ieri mattina alle 6, la proposta riconosceva «tutti gli sforzi internazionali per risolvere la crisi libica nel quadro politico», stabilendo anche lo smantellamento delle milizie e la consegna delle loro armi all’esercito guidato dallo stesso Haftar, l’espulsione dei mercenari stranieri sulla base di quanto stabilito dal vertice di Berlino di gennaio e dal Comitato militare congiunto 5+5 sotto l’egida dell’Onu. Ma particolarmente inaccettabile per Tripoli era proprio il punto sulla consegna delle armi alle forze di Haftar: perché mai il Gna, vincente militarmente sul terreno, avrebbe dovuto cedere su questo punto alla parte in difficoltà?
Di Libia hanno discusso ieri il presidente turco Erdogan e quello degli Stati Uniti Trump. I due leader, secondo quanto riporta la stampa internazionale, hanno concordato su «alcune questioni» legate agli sviluppi della situazione. «Potrebbe essere iniziata una nuova era nelle relazioni tra gli Stati Uniti e Turchia dopo la nostra telefonata» ha dichiarato il “Sultano” in un’intervista rilasciata all’emittente turca Trt. Parole che sembrano lasciare presagire un futuro migliore nella relazione tra i due paesi dopo gli ultimi anni costellati di tensioni. Ma ieri Ankara ha parlato anche con la Russia. Nel corso di una conversazione telefonica, il ministro degli esteri russo Lavrov e il suo pari turco Cavusoglu hanno concordato sulla necessità di collaborare per creare le condizioni per un processo di pace in Libia e sulla nomina di un nuovo inviato Onu nel Paese. Parole che stonano con la realtà: i turchi, schierati sul fronte libico opposto rispetto a quello dei russi, continuano a fornire aiuti e armi a Tripoli.
Le forze del Gna sono state poi chiare: si fermeranno solo dopo aver preso Sirte e Jufra. La prima è città costiera strategica perché a metà strada tra Tripoli e Bangasi e prenderla vorrebbe dire puntare ai terminal petroliferi della costa e a sud ai pozzi del Fezzan (obiettivo turco). La seconda è tra le basi militari più grandi del paese. In un conflitto che si vince nei cieli, assicurarsi Jufra vorrebbe dire minacciare ancora di più la Cirenaica a est.
Tuttavia, a Jufra sorge un problema non di poco conto: qui la Russia ha schierato i suoi caccia giunti dalla Siria. Attaccarli potrebbe provocare un’escalation con i russi che nessuno vuole. Non a caso si parla di una possibile intesa tra Tripoli e Mosca che prevedrebbe uno spostamento in Cirenaica di tutti gli armamenti dell’Enl sulla linea che da Ras Lanuf arriva al sud.
Ma per ora sono congetture. Di certo risuonano le armi: a Sirte si contano già otto civili uccisi (tre donne e due minori) per i razzi del Gna. Le milizie di Misurata, schierate con Tripoli, avanzano non solo in città, ma hanno costretto l’Enl a ritirarsi da Bouirat al-Hassoun e al-Washaka (est di Sirte).
I combattimenti proseguono senza sosta e a preoccupare continua ad essere la situazione dei civili. L’Onu, infatti, ha denunciato i saccheggi e distruzioni avvenute nelle città di Asabiya e Tarhuna (riconquistate pochi giorni fa dal Gna) e si è detta «allarmata per il danno inflitto alla popolazione civile»: gli ultimi combattimenti hanno provocato più di 16mila sfollati in quest’area. «Ci sono report sulla scoperta di numerosi cadaveri nell’ospedale di Tarhuna che sono inquietanti», ha scritto in un comunicato la missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). L’Unsmil ha pertanto invitato le autorità del Governo di accordo nazionale a condurre un’indagine tempestiva e imparziale su quanto è accaduto. «Abbiamo anche ricevuto numerosi rapporti sul saccheggio e la distruzione di proprietà pubbliche e private a Tarhuna e al Asabia – si legge ancora – In alcuni casi sembrano essere atti di punizione e vendetta che rischiano di indebolire ulteriormente il tessuto sociale della Libia». Nena News