Libia e Italia firmano un nuovo accordo per contrastare l’immigrazione clandestina. I Paesi europei avallano la decisione mentre da istituzioni internazionali e associazioni si alzano voci di denuncia per le condizioni di vita dei migranti presenti nel Paese nord-africano
AGGIORNAMENTO ORE 20.30
Sarà con ogni probabilità l’ex primo ministro palestinese Salam Fayyad il nuovo rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Libia e capo della missione Unsmil. Secondo fonti ben informate nelle intenzioni del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, Salam Fayyad non solo prenderà il posto di Martin Kobler ma darà anche un indirizzo diverso al mandato di inviato speciale nel paese nordafricano. Dovrà fare il possibile per unire la Libia. L’ex primo ministro palestinese è considerato vicino ad Egitto ed Emirati, i due principali sponsor arabi del generale Khalifa Haftar, “l’uomo forte” che controlla Bengasi e l’est della Libia. Il nuovo inviato perciò dovrà tenere i contatti con Haftar che, tra le altre cose, gode del pieno sostegno della Russia. A indicare che in Libia il vento ora soffia verso est c’è anche il proposito espresso dall’Italia di riaprire il suo consolato a Bengasi. Il governo Gentiloni è stato nelle scorse settimane il primo governo europeo a riaprire l’ambasciata a Tripoli
di Francesca La Bella
Roma, 9 febbraio 2017, Nena News - Il modello è quello dell’accordo con la Turchia: aiuti in cambio del blocco delle partenze dalle coste libiche in direzione europea e il miglioramento del sistema di rimpatrio verso i paesi di origine.
Questa l’essenza alla base del nuovo accordo siglato il 2 febbraio tra il primo ministro italiano Paolo Gentiloni e il premier libico Fayez al Sarraj. Un’intesa che, da un lato, ricalca le previsioni del Trattato di Amicizia, Partenariato e Collaborazione firmato nel 2008 dall’ex premier Silvio Berlusconi e dal colonnello Muhammar Gheddafi e dall’altra ribadisce il legame preferenziale tra la dirigenza di Tripoli e l’Italia.
Forse anche grazie alla relazione costruita con Sarraj durante il periodo in cui ricopriva la carica di ministro degli Esteri, dopo la riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli, Gentiloni, con questo memorandum, ha sancito una netta cesura con una politica di mediazione tra le parti, riconoscendo al Governo di Accordo Nazionale (Gna) l’autorità esclusiva nella gestione della questione migrazione.
Tutto questo avviene in una fase di grande debolezza per Sarraj e il suo governo. La dirigenza di Tobruk e il generale Khalifa Haftar sembrano, infatti, progressivamente allargare il proprio bacino di consenso sia all’interno sia all’esterno del paese. Così, mentre Haftar apre al dialogo con Mosca e Washington e ribadisce la propria volontà di assumere la guida del paese, il destino del Gna sembra essere nelle mani della mediazione italiana.
Un’efficace risoluzione del problema migratorio potrebbe, infatti, accreditare maggiormente Sarraj agli occhi della diplomazia internazionale, bilanciando, almeno parzialmente, la perdita di sostegno a livello nazionale. La struttura stessa del memorandum è in questo senso significativa. Se nella parte iniziale si sottolinea la necessità di tutelare l’integrità territoriale del paese e favorire un processo di riconciliazione nazionale, l’accordo rende altresì evidente l’interdipendenza tra la stabilità della Libia e la tutela dei confini europei.
La questione immigrazione diventa così una problematica che necessita risoluzione in quanto onerosa sia per il paese nord-africano sia per i partner aldilà del Mediterraneo.
In questo modo, però, la cooperazione viene intesa alla mera ricostruzione di un tessuto economico libico attraverso la detenzione e la successiva espulsione dei migranti verso i paesi d’origine senza alcun cenno alla tutela dei diritti degli stessi.
Il semplice richiamo agli accordi europei in materia, in tal senso, non risulta sufficiente ad inquadrare l’accordo in un sistema di protezione internazionale e lascia spazio a numerose critiche. Secondo i report di numerose organizzazioni internazionali, le condizioni di detenzione in terra libica sono, infatti, in molti casi al limite dell’inumano.
Come dichiarato in questi giorni dallo stesso inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, i campi sono molto affollati e le persone sono obbligate a dormire in piedi o a turno, mentre circa il 10% dei rifugiati maschi risulta malnutrito. A questo si aggiunga il problema delle malattie e degli abusi da parte dello Stato: i migranti vengono picchiati e violentati e, in alcuni casi, uccisi all’interno dei campi.
Il rimpatrio nei paesi d’origine, considerato una possibile soluzione a questa situazione solleva, però, altre gravi problematiche ben espresse dal comunicato sulla questione pubblicato dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). Secondo l’associazione, infatti, “con questi accordi l’Unione Europea e l’Italia violano di fatto il principio di non refoulement in quanto esigono che i paesi terzi blocchino con l’uso della forza il passaggio di persone in chiaro bisogno di protezione internazionale. Ciò in cambio di competenze e attrezzature militari oltre che dei fondi per la cooperazione, ossia di quelle risorse economiche che dovrebbero, al contrario, essere destinate alla crescita e allo sviluppo dei Paesi terzi, ignobilmente degradate a merce di scambio”. Una denuncia chiara della strumentalità della cooperazione tra Europa e Libia in senso protezionistico.
Quello che, però, non viene posto all’attenzione del grande pubblico è che questa situazione ha tra le sue cause generatrici anche l’azione europea ed occidentale nell’area.
La dipendenza dall’Europa per la vendita delle materie prime dopo la fine formale del regime coloniale, la mancanza di sviluppo autonomo a causa dell’impoverimento dei territori e il controllo esclusivo di alcuni gruppi sociali sulle risorse materiali e sulle relazioni con l’esterno con conseguente acutizzazione della frammentazione delle società su basi etniche, religiose e di classe sono solo alcuni aspetti di questo fenomeno.
La condizione di disequilibrio dell’area nord africana in generale e della Libia in particolare deve, dunque, essere considerata principalmente figlia delle politiche neo-coloniali del capitale europeo che, agendo in un contesto di mutamento delle società locali, ha interferito nelle dinamiche interne per favorire il mantenimento di un proprio ruolo sulla sponda sud del Mediterraneo e che oggi mira a difendere il proprio territorio delocalizzando il controllo dei confini aldilà del mare. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter: @LBFra