Chi ricostruirà la capitale dopo l’esplosione del porto? Mentre diversi paesi si fanno avanti, dalla Francia alla Germania, dalla Russia alla Turchia, gli attivisti temono un nuovo caso “Solidère”: negli anni Novanta Rafiq Hariri stravolse il volto della città seguendo il modello Golfo e cancellando gli spazi comuni dove persone di ogni ceto sociale e di ogni setta potevano incontrarsi
di Cristiana Oliva
Roma, 25 maggio 2021, Nena News – Proprio come una fenice araba, la città di Beirut è rinata dalle sue ceneri molte volte – sette secondo la leggenda – lasciando emergere le cicatrici delle sue metamorfosi. Un misto di elementi dell’epoca del mandato mediterraneo, ottomano e francese ha reso uniche gli edifici tradizionali della città. Le caratteristiche includono tetti di tegole rosse, alti soffitti dipinti, colonne in marmo e vetrate colorate.
L’infinita capacità di reinvenzione e trasformazione di Beirut si osserva al meglio nel centro, che ha conosciuto tante forme urbane quante sono le vite storiche della capitale libanese. Tuttavia, le metamorfosi di Beirut non sono state esclusivamente atti spontanei, ma hanno spesso rappresentato atti politici.
Rappresenta l’esempio calzante di politicizzazione architettonica il caso di Solidère. Durante la turbolenta serie di guerre civili in Libano, il distretto centrale di Beirut è stato sia l’epicentro della sua violenza più feroce sia il fulcro dei piani di ricostruzione più concertati. Mentre le battaglie delle milizie hanno trasformato le strade, gli edifici e i mercati pubblici di Beirut in una scena da incubo apocalittico, pianificatori, architetti e politici hanno discusso le visioni della ripresa postbellica della città. Un accordo di pace nazionale è stato rapidamente seguito dalla creazione di Solidère, una società libanese privata, fondata dal politico milionario Rafiq Hariri, e incaricata esclusivamente della ricostruzione e dello sviluppo del centro di Beirut.
Per tutti i primi anni Novanta Solidère ha raso al suolo il tessuto urbano già danneggiato dalla guerra, trasformando il centro in un non-luogo a ispirazione dei Paesi del Golfo. Questa campagna di cancellazione strutturale, unita allo spostamento di circa 2.600 famiglie ha fatto guadagnare a Rafiq Hariri la dubbia eredità tra alcuni Beiruti come Ammar hajar wa dammar basher, ovvero colui che ha eretto pietra e distrutto le persone.
Le critiche nei confronti di Solidère affermano che il progetto ha cancellato la storia del centro e trasformato i suoi mercati e piazze pubbliche un tempo vivaci, dove si mescolavano persone di tutte le sette e classi sociali, in un complesso di edifici incontaminati pieni di negozi di lusso e circondati da strade trafficate che tagliavano la strada all’accesso pedonale. I siti storici che rimangono, come il Grand Theatre, costruito negli anni ’20, e l’ex quartier generale del quotidiano francofono L’Orient, dello stesso periodo, sono in gran parte inaccessibili o abbandonati e in rovina.
“Il cuore della città è sempre stato vibrante e misto”, afferma Howayda al-Harithy, professore di architettura e design urbano presso l’Università americana di Beirut e direttore della ricerca presso il Beirut Urban Lab. Ma ora, dice: “È una città fantasma perché è uno spazio per l’élite; è inaccessibile per chiunque altro, e questo è dimostrato dal fatto che rimane in gran parte vuoto”.
A quasi un anno dall’esplosione del porto di Beirut le cicatrici della distruzione rimangono ovunque. Il disastroso stato dell’economia libanese non agevola gli sforzi di ricostruzione e ci si chiede: chi sarà il protagonista della ricostruzione? Che forma prenderà la città? Quale narrativa sarà al centro dei progetti di riqualificazione?
Se per molti è improbabile la realizzazione di un progetto su larga scala simile a Solidère, sia per ragioni economiche sia a causa della crescente spinta negli ultimi anni a preservare i siti storici, i residenti temono una distruzione dell’area, guidata dalla speculazione immobiliare che aveva iniziato a rimodellare i quartieri storici di Beirut già prima dell’esplosione. Un sondaggio del 2018 condotto dai ricercatori di Beirut Urban Lab ha rilevato che negli ultimi 15 anni sono stati presentati almeno 350 permessi di demolizione in aree che ora sono state colpite dall’esplosione.
Sin dai primi giorni che hanno seguito l’esplosione grandi compagnie internazionali si sono fatte avanti per ricostruire l’area del porto ed i quartieri limitrofi. Si dice che diversi paesi siano interessati a ricostruire il porto e le aree circostanti, tra cui Turchia e Cina e Russia.
Durante la sua visita a Beirut, subito dopo l’esplosione, il presidente Emmanuel Macron avrebbe espresso interesse per l’impresa. Ad accompagnarlo in quel viaggio c’era Rodolphe Saade, presidente della grande azienda di spedizioni e logistica CMA-CGM Group. Saade ha successivamente twittato: “Francia e Libano potranno contare sul Gruppo per rispondere all’emergenza e lavorare per ricostruire Beirut. La nostra mobilitazione è totale”.
La prima proposta di ricostruzione è arrivata, infatti, dal gruppo franco-libanese CMA-CGM. Il piano, presentato per la prima volta alle autorità libanesi a settembre dello scorso anno, prevede la ricostruzione di banchine e magazzini danneggiati, insieme all’espansione e alla digitalizzazione del porto, per un costo che varia dai 400 ai 600 milioni di dollari.
Anche la Germania ha presentato un suo piano. Rappresentanti di diverse società private tedesche, che insieme formano l’Hamburg Port Consulting, hanno incontrato funzionari libanesi e li hanno informati su uno studio multimiliardario per ricostruire il porto di Beirut e i quartieri circostanti distrutti da una massiccia esplosione lo scorso anno. L’iniziativa tedesca sembra più focalizzata sullo sviluppo immobiliare a lungo termine.
Ma la proposta di ricostruire il porto non può procedere fino a quando non si sarà formato un nuovo governo in Libano e, come la maggior parte dei donatori internazionali e delle compagnie straniere, la delegazione tedesca ha chiarito che non sarà speso denaro in Libano prima che vengano intrapresi riforme significative per combattere la corruzione del Paese. Condizione che sembra condividere anche la Francia, che sembra essere disposta a collaborare nel progetto.
Tuttavia, gli attivisti libanesi temono che il piano franco-tedesco possa rappresentare una ripetizione della trasformazione postbellica del centro di Beirut, attuata da Solidère.
D’altro canto, se la scelta dovesse ricadere su Parigi o Berlino si eviterebbe un coinvolgimento della Cina– il partner preferito di Hezbollah – evitando che il Dragone aggiunga Beirut alla sua rete portuale globale, il cosiddetto “filo di perle”. Data la sua pratica frequente di prendere di mira gli stati vulnerabili, offrendo supporto con gli investimenti per poi intrappolarli con i debiti, il gigante asiatico vede senza dubbio nel Libano un obiettivo attraente. Soprattutto se si considera che Pechino già beneficia della situazione attuale: gran parte del traffico che solitamente transita per Beirut è stato reindirizzato al porto di Tripoli, che la Cina ha riabilitato per uso proprio.
Un altro attore è Ankara. Beirut rappresenta per Ankara un’opportunità per ampliare e consolidare la propria sfera di influenza nel Mediterraneo orientale. Proprio per questa ragione è estremamente probabile che la Francia faccia una mossa per impedire alla Turchia di avanzare le proprie pedine.
Ed infine la Russia, tra i maggiori protagonisti dello scacchiere mediorientale, non sembra esclusa dalle possibilità visto che il mese scorso il primo ministro designato Rafiq Hariri, in una visita a Mosca, ha discusso la possibilità che sia la Russia a finanziare la ricostruzione, forse in un tentativo di eludere le richieste internazionali di epurare la corruzione dal contesto politico del Paese dei Cedri.
La delicata questione della ricostruzione rimane aperta e quel che è certo è che influenzerà il futuro del Paese dei Cedri. In una città che rappresenta nella sua divisione spaziale i fragili equilibri nazionali è molto importante la ricostruzione svolgerà un ruolo chiave nei prossimi anni. Una pianificazione urbana inadeguata e la polarizzazione settaria potrebbero sfidare il modello di rigenerazione urbana ed innescare nuovi conflitti. Nena News