Nella seconda parte del reportage sul mondo della pesca nel Paese dei Cedri l’antropologa Maria Luisa Colli osserva la complementarietà delle donne e degli uomini nel mare del nord del Libano settentrionale: le prime, nei campi o nelle case, cuciono le reti che i mariti, i fratelli e i figli useranno in mare
di Maria Luisa Colli
Per la prima parte si legga qui
Bebnine, 10 ottobre 2018, Nena News – “Qui è normale, molti pescatori hanno a casa qualcuno che fa le reti. La moglie, le figlie… fin da piccole. È così da sempre”; “gli uomini lavorano qui al porto, le donne nelle case ma tutti e due i lavori sono importanti e si integrano l’uno con l’altro”. A pronunciare queste parole sono alcuni uomini che è possibile incontrare ogni mattina e fino verso l’ora di pranzo al porto di Aabdeh. Si tratta di una località a nord di Tripoli (Trablous in arabo), nel distretto di Akkar, affacciata sul mare e confinante con la città di Bebnine, che parte da qui e si sviluppa verso l’interno.
Bebnine e Aabdeh
Uno di questi è il mukhtar di Bebnine ed è da tutti chiamato con questo titolo onorifico. Il mukhtar è anche rais del porto, rappresentante dei pescatori di Aabdeh, loro punto di riferimento, nonché colui che gestisce l’asta che ogni mattina si svolge al mercato del pesce. Se si trascorre un’intera mattinata ad Aabdeh, si può fin da subito apprezzare quanto il mukhtar sia rispettato, e forse persino un po’ temuto, da tutti gli altri frequentatori del porto, che siano pescatori, proprietari di ristoranti, commercianti, venditori ambulanti di caffè, tassisti e persino barbieri.
Suo figlio, che oggi ha preso il posto del padre nella conduzione dell’attività di compravendita del pesce proveniente dal porto di Aabdeh ma anche dalla Siria, dalla Turchia, dall’Egitto, dalla Sierra Leone e dall’India, racconta che i locali del porto, compreso quello nel quale si svolge l’asta, sono stati ricostruiti grazie ai finanziamenti di una ONG nel 2005, appena prima della guerra. Il tetto del mercato del pesce di Aabdeh volò via a causa di un missile lanciato contro le forze libanesi, e così
l’anno dopo un’altra ONG finanziò i lavori di ristrutturazione. Bebnine e le località circostanti sono state poi teatro degli scontri scoppiati nel novembre del 2007 fra i rappresentanti del movimento Fath al-Islam, insediatosi nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, e l’esercito libanese, che hanno causato ulteriori danni.
Il mukhtar e gli altri eleganti signori siedono su delle sedie di plastica poste all’ombra di una sorta di gazebo sul molo, chiacchierano e discutono tra loro sorseggiando caffè e fumando una sigaretta dietro l’altra. Parlano fieri il porto di Aabdeh come il più grande porto di pescatori del Libano, con circa 260 barche e 1000 persone che vi lavorano. Fra questi vi sono anche alcuni palestinesi, in Libano da generazioni, che vivono nei vicini campi profughi.
Molti sono anche i giovani e i giovanissimi pescatori che è possibile incontrare e vedere al lavoro sulle loro barche o sul molo a sistemare le reti. Sembrerebbe che nei porti del Libano settentrionale, a Tripoli come qui ad Aabdeh, quella catena di trasmissione del lavoro, del savoir-faire e dell’imbarcazione, che nel sud pare essersi interrotta o essere comunque messa fortemente in discussione, abbia ancora valore e forza. Ne è un esempio un giovane ragazzo venuto a Bebnine alcuni mesi fa da una località dell’interno per imparare il mestiere. Lavora con gli zii, che possiedono quattro delle tante barche ormeggiate al molo di Aabdeh. Un mestiere che non gli piace ma, pare, non ha altra scelta. La maggioranza dei ragazzi e dei bambini che si incontrano al porto sono in effetti figli di pescatori e con ogni probabilità futuri pescatori professionisti essi stessi.
Alcuni, tuttavia, sono bambini libanesi o siriani che lavorano al porto per guadagnare qualche soldo e aiutare così la loro numerosa famiglia.
Pescatori – anziani, adulti, ragazzi e bambini – lavorano anche sulle spiagge circostanti, dove li si può vedere stendere le reti e selezionare il pesce buono da quello che “non si mangia e non si vende”. Le reti, in particolare, richiedono un lavoro molto lungo, faticoso e meticoloso. Un lavoro che va svolto ogni giorno, per evitare che la rete si guasti irrimediabilmente.
Sul molo e sulle spiagge, è delle reti più grandi e pesanti che si occupano gli uomini. Il porto è dunque ancora una volta spazio esclusivamente maschile. Talvolta può capitare che un padre o un nonno siano accompagnati dalla figlia o dalla nipote, ma anche nel caso di queste visite e di questi passaggi estemporanei la presenza femminile sembra essere ridotta al minimo. Le donne, invece, lavorano nelle loro case, “fuq”, “su”, “sopra”. E non solo in Bebnine. Le donne che vivono nella zona svolgono questa professione non ufficiale da sempre.
Aarida
Aarida si trova sul confine con la Siria, sulla sponda libanese del fiume Nahr al-Kabir al-Janoubi. Si tratta di un piccolo centro, i cui abitanti si dedicano principalmente all’agricoltura e alla pesca e anche le donne che lavorano sono impegnate in uno di questi settori.
Le donne, dunque, sono nei campi o nelle case a cucire le reti da pesca che i mariti, i fratelli e i figli useranno in mare. E se si chiedesse se le donne di Aarida si dedicano anche ad altre professioni, come risposta si avrebbe un “no” secco e divertito: tutt’al più può esserci qualche donna che si occupa del trucco delle spose in occasione dei matrimoni che si celebrano nel villaggio.
Al piano terra di un edificio vi è un locale adibito a spazio di lavoro. La casa del pescatore e della sua famiglia, proprietari dell’immobile, è al piano superiore, mentre dall’altra parte della strada abitano i fratelli e le loro famiglie. Il pescatore e i suoi fratelli lavorano insieme e le donne di questa famiglia allargata si dividono in due spazi per svolgere le loro attività. Sedute per terra su dei cuscini, le gambe incrociate, queste donne passano circa due ore ogni giorno a tessere le reti. Il materiale è acquistato dai pescatori a Tripoli o a Beirut ed è compito delle donne assemblarlo. Ogni rete richiede circa quattro ore di lavoro, dunque due giorni, per quelle mani ormai esperte e veloci.
Del resto svolgono questa attività ormai da tempo, fin da quando erano piccole. Tutte loro sono nate in famiglie di pescatori: i loro padri, zii, fratelli e, più tardi, mariti erano e sono pescatori e spesso le loro madri già svolgevano questa attività nelle loro case. E anche qui c’è la figlia di una delle donne impegnate nella costruzione della rete: osserva e impara i gesti che, probabilmente, presto dovrà ripetere giorno dopo giorno. Nel frattempo, si occupa della preparazione delle spolette che la madre e le altre donne utilizzeranno. I supporti utilizzati per sostenere le reti in costruzione sono oggetti di uso comune, sgabelli e sedie rovesciati, così come lo spazio non sembra necessitare di una predisposizione stabile o permanente e tutti gli elementi presenti sono facilmente rimovibili. Proprio per questo, si tratta di un’attività che può svolgersi anche negli spazi domestici.
E in effetti altrove si possono incontrare donne che svolgono questa stessa attività all’interno della propria abitazione. In un’altra casa, infatti, la moglie e la figlia di un collega del primo pescatore fabbricano le loro reti. Questa volta, però, è nello stesso salotto che le due donne siedono e lavorano. Anche in questo caso i supporti sono oggetti nati per funzioni diverse e riadattati.
Mentre fuori, nel cortile antistante la casa, alcuni ragazzi e bambini dividono gli elementi recuperabili di una vecchia rete, a questo scopo legata a un albero, dalle parti irrimediabilmente danneggiate, le donne della famiglia lavorano all’interno dell’abitazione. La schiena appoggiata al divano, seduta su un cuscino, la moglie di quest’altro pescatore lavora alla sua rete. Davanti a lei siede la figlia, impegnata nella stessa attività. Entrambe dimostrano un’incredibile facilità
nell’eseguire i gesti che sono stati chiaramente appresi da tempo e che vengono ripetuti quotidianamente. Scherzando, l’anziano pescatore paragona le sue donne e collaboratrici a delle automobili: “Lei è una Mitsubishi”, dice riferendosi alla figlia, alle sue mani veloci e alle sue agili dita. Nena News