REPORTAGE. La crisi di governo si potrà risolvere solo attraverso un accordo esterno regionale ed è da escludere il rischio di una nuova guerra civile, perchè nessuna forza presente in Parlamento ha un interesse ad evocarla
Reportage di Mirca Garuti
Beirut, 25 settembre 2015, Nena News – Il centro di Beirut si riempie di manifestanti. Centinaia di persone chiedono cambiamenti al governo libanese. La sera del 19 settembre Beirut era in stato di guerra. Le vie del centro, una volta luogo di divertimento, di relax e di shopping, chiuse da filo spinato, gersj e alti muri di cemento difesi da un grande numero di polizia armata. Il palazzo del Parlamento è circondato da filo spinato letteralmente coperto dalla spazzatura gettata dai manifestanti in segno di protesta.
Alla sera, quando ormai quasi tutti i manifestanti se ne sono andati, alcuni ragazzi sono intenti a pulire la strada dai residui della manifestazione di questo pomeriggio. Alcune tende sono ancora montate da chi ha deciso di restare per la notte o di proseguire nello sciopero della fame. Mi avvicino con cautela, chiedo il permesso di scattare alcune fotografie e di poter intervistare qualcuno per capire meglio la situazione che sta attraversando il Libano in questo ultimo periodo. Vicino alla tenda di uno scioperante della fame, capeggia uno striscione con scritte arabe che elencano le richieste dei manifestanti:
1) stipendi adeguati al costo della vita
2) nuova legge elettorale
3) nuove elezioni presidenziali
4) restituzione dei fondi ai comuni indipendenti per risolvere il problema dei rifiuti.
All’interno della tenda mi concede un intervista un ingegnere agronomo che è da 15 giorni in sciopero della fame. Ha lavorato per vent’anni presso il ministero dell’agricoltura e tra due anni andrà in pensione con 400 dollari al mese. Alla mia prima domanda sulla situazione politica attuale e sulla natura della loro protesta, lascia rispondere il Direttore seduto li a fianco: “Noi facciamo parte di un sindacato autonomo di lavoratori del pubblico impiego. In Libano nonostante ci siano ben 500 sigle sindacali che rappresentano tutte le categorie di lavoratori, praticamente quasi tutte sotto il controllo del governo. A seguito della guerra civile iniziata nel 1975 e conclusa nel 1991 con gli accordi di TA’IF tra l’Arabia Saudita e la Siria”.
I deputati libanesi firmarono un accordo chiamato “d’intesa nazionale” che disegnò un equilibrio dei poteri istituzionali libanesi e riconobbe anche la presenza dell’esercito siriano in Libano. Una guerra durata 15 anni con combattimenti, tensioni, massacri che ha procurato più di 150.000 morti tra militari e civili ed un aumento di una diaspora libanese nel mondo.
La crisi di governo attuale anche secondo i vari partiti politici incontrati, giornalisti ed analisti, si potrà risolvere solo attraverso un accordo esterno regionale ed è da escludere la possibilità di una nuova guerra civile perchè nessuna forza presente in Parlamento ha un interesse ad evocarla. “Finita la guerra civile – continua il Direttore – si sperava in un cambiamento, ma non è stato così. E’ stato colpito il settore pubblico a beneficio di quello privato, aumentando la corruzione e perdendo i diritti della persona. Nel 2005 con la morte di Rafiq al-Hariri, causata da un attentato davanti all’Hotel St.George di Beirut, cadeva la coalizione filo siriana con i sauditi, dando vita a due correnti: una chiamata “8 marzo”, sostenitrice di una politica vicino alla Siria e “14 marzo” per l’Arabia Saudita. Fino alla morte di Hariri la coalizione ha condiviso il potere, poi successivamente è avvenuta una spaccatura che però ha comunque consentito ad entrambi di mantenere i propri legami economici nel paese”.
Nell’arco di questi ultimi 25 anni, fino al 2011, ci sono state continue lotte, ma da quando in Tunisia il popolo voleva far cadere il governo, questo movimento ha cercato di ottenere in medesimo risultato. Sono riusciti a portare in piazza oltre 30.000 persone ed i rappresentanti di categoria dei servizi pubblici hanno cercato di organizzare un coordinamento per chiedere miglioramenti di vita, come l’aumento degli stipendi.
“Il governo però non ha risposto ed è per questo che ci troviamo in questa situazione da un mese. Questo significa solo il fallimento di un governo che non ha saputo dare risposte di fronte ad un semplice problema: la spazzatura. Siamo sommersi dai rifiuti, non si trova una soluzione. Pochi giorni fa hanno chiuso il centro storico ed un commerciante ha detto che questa area deve essere riservata solo ai ricchi. In risposta a ciò, è stato organizzato, ogni sabato, un mercato di Beirut per tutti gli esclusi”.
Questo movimento è iniziato il 22 agosto. “All’inizio c’era un po’ di confusione, ognuno aveva le sue richieste da presentare al governo, ma dopo una settimana, siamo riusciti a formare un coordinamento su alcuni punti che trovavano il consenso di tutti”.
Il problema dei rifiuti, in realtà, è un problema che riguarda i comuni che si sono appropriati dei fondi destinati a questo servizio, per usarli per varie speculazioni.
“Noi chiediamo che questi soldi ritornino ai comuni. Domani, sabato 21 settembre, ci sarà un altra manifestazione e così sarà anche per le altre successive settimane. Si sta sfruttando l’attuale spaccatura del governo che ha dato coraggio e la gente ha rotto il silenzio e la paura. La polizia all’inizio è stata molto violenta, ci sono stati molti feriti, ora però, si è un po’ calmata”.
Diversi sono i loro obbiettivi: da quelli più semplici, come l’aumento degli stipendi, il problema dei rifiuti o l’eccessivo costo della vita, a quelli di più alta connotazione politica come la richiesta di nuove elezioni, cambiamento politico e nuova legge elettorale che superi lo Stato Confessionale e le quote di rappresentanza di matrice religiosa. “Noi come movimento comunista guardiamo con sospetto entrambe le coalizioni del 8 e 14 marzo, anche se queste forze parlamentari cominciano a capire che le nostre richieste non sono del tutto negative ed è iniziato un dialogo”.
Il problema riguarda 150.000 tonnellate di rifiuti che non si sa dove possano essere accantonati soprattutto perché in Libano non esiste un progetto o programma volto al riciclaggio. Tra poco riprenderanno anche le università e i manifestanti sperano anche nell’aiuto degli studenti. “Noi non vogliamo solo benefici per Beirut ma per tutto il Libano dal nord al sud. Chi governa questo paese sono le banche. Il debito pubblico del Libano è salito a 70.000 miliardi di dollari. Tutto il debito è solo delle banche e quello prodotto da Hariri. Tutti oggi devono ubbidire all’economia”. Quasi a confermare questo, una musica assordante di festa proviene proprio dall’ultimo piano di un palazzo adiacente al presidio.
“Le banche vogliono farsi sentire in questa situazione. E’ così ogni sera. Dall’alto dei suoi palazzi, accendono la musica e festeggiano, mentre noi, qui in piazza lottiamo e facciamo lo sciopero della fame. Il nostro obiettivo è quello che chi deve pagare sono solo le banche e non noi”.
Davanti al Parlamento era stato eretto un muro di mattoni dove i ragazzi scrivevano slogan e disegni, ma nell’arco di 24 ore, è stato subito rimosso e sostituito con del filo spinato.
“Questo modo di governare, quello che ha prodotto in tutti questi anni disoccupazione, miseria, stipendi bloccati, ha solo un significato: un gran fallimento. Noi vogliamo cambiare questo tipo di politica. Il governo non sa cosa fare. Unica soluzione è tornare ad un sistema civile senza il sistema confessionale in essere“.
L’ingegnere nel frattempo sembra avere un sussulto e vuole intervenire. Nonostante i suoi 15 giorni di sciopero della fame ci sembra stia bene.
“Io sono un dipendente pubblico. Tutto il settore pubblico dal 1996 ha gli stipendi bloccati, mentre i prezzi dei beni sono aumentati del 121%. Fino al 1996 il debito pubblico era pari a 30 – 35mila miliardi di dollari, poi è pressoché raddoppiato. Quando nel 2012 abbiamo chiesto un aumento degli stipendi, la risposta è stata negativa alludendo al fatto che le entrate del governo erano poche, giusto il contrario per le uscite. Non c’era abbastanza liquidità. Il bilancio di uno Stato deve prevedere due cose: un’entrata di tasse ed una giusta uscita di spese oculate. Perché i ministri non pagano le tasse? Perché si devono fare favori ed elargire soldi alle varie confessioni? Chi sta al governo sono i principi della guerra civile, oggi governatori, che si sono accordati con le banche per spartirsi i soldi e quello che resta, lo si dà al popolo. Chi ha partecipato alle prime manifestazioni – prosegue infervorandosi – appartiene alla classe media, classe che il governo vuole annientare. Se la classe media non si muove, non si muove niente, per questo bisogna continuare nella lotta. Dal 2012 al 19 luglio 2014 ci sono state alcune trattative con il governo che doveva presentare delle proposte. Il parlamento però, ha chiesto una proroga di sei mesi e, alla fine, dopo mille tagli alle proposte da parte delle varie commissioni, non è rimasto nulla. Solo l’idea delle proposte. Per questo si ritorna alla lotta.”
Lascio la tenda con estrema apprensione per il loro futuro, per il futuro di questo paese che ha tanto sofferto e che non riesce a trovare giusta pace. I governi occidentali dovrebbero riflettere seriamente sulla loro grande responsabilità. Nena News