I ricordi in un racconto breve dei nostri lettori e delle nostre lettrici dedicati a Vittorio Arrigoni. Inviate le vostre opere dal primo marzo al 10 aprile. Ogni opera può essere votata con un like sul post di Facebook, raggiungibile da qui
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Franca Bastianello – Restiamo umani con Vik (09 aprile 2021). Vota qui: 7 like
Questa storia è triste e bella allo stesso tempo ed è strana, come sono strane tutte le storie che partono dal dolore, ma si esprimono con il calore della gioia e dell’impegno.
Partiamo dall’inizio. Amavo già la Palestina, era un mito della mia gioventù, nel 1968 avevo 17 anni, scoprivo il mondo, ero vicina ai diseredati, a chi lottava per la propria sopravvivenza e per la libertà. Già la libertà, un sogno, una chimera, anzi meglio un’utopia per una ragazza di estrazione modestissima. Ero una femmina in una nidiata di figli a cui si doveva pensare, non ho potuto studiare perché avrei dovuto seguire la storia di ogni donna della mia generazione: lavorare in casa, accudire la famiglia, sposarmi e servire la nuova famiglia e i figli. A cosa serviva studiare?
Ma io ero ribelle, poco mi adattavo alle storie di tutti, alle regole rigide di un genere indesiderato e difficile.
Studiai alle serali, me ne andai di casa alla maggiore età e non mi sposai se non dopo molto tempo ed un figlio cresciuto.
Questo lo dico non solo per raccontare di me, la cosa non è importante di per sé, ma per spiegare la strana vicinanza con un ragazzo che avevo “conosciuto e seguito” in un social dove conobbi altri frequentatori che ancora oggi sono cari amici.
Vittorio lo seguivo dal 2007, sia ripostando i suoi articoli di “Guerillaradio” sia seguendo passo passo le sue vicende e i suoi reportage dalla Palestina e soprattutto da Gaza.
Già allora mi chiedevo come mai del mio amore di sedicenne, in un periodo, il ’68, di grandi speranze e di rivolte contro le guerre e di importanti segni di autodeterminazione, nel tempo la Palestina si era allontanata da me, o io mi ero allontanata dalla Palestina.
Sapevo chiaramente che la lotta armata e i successivi atti di terrorismo suicida, nel mio cuore, apparivano davvero come il suicidio di una lotta, assolutamente legittima, ma mal espressa, con rancore e odio.
Fu Vittorio a riavvicinarmi a quel passato, che diventava di giorno in giorno, sempre più presente, attuale, determinante della mia crescita personale e pubblica.
Vittorio l’ho visto come un figlio, certamente lo vedevo più come madre che come amica, con la sua storia condividevo le speranze e le delusioni, e mi informavo, studiavo, leggevo, chiedevo, ma continuavo ad ammirarlo e a provare sentimenti contrastanti (approvavo il suo coraggio e avevo paura per la sua vita).
Mi riavvicinavo ad una causa che per la sua espressione più violenta, mi aveva fatto vivere da scettica e da osservatrice parziale.
Leggevo, volevo sapere e Vittorio era una fonte di informazioni importantissime, determinanti per la mia decisione successiva. Volevo impegnarmi per una causa giusta, legittima e per una ragione imprescindibile: difendere la libertà e i diritti umani di persone che tutto avevano perduto, i palestinesi.
Vittorio fu la scintilla, fu una persona che mi insegnò moltissimo, con la sua serietà e la sua capacità di dedicarsi totalmente ad un’idea, sia spiritualmente che praticamente. A me stava mancando la parte pratica, perché ormai di Palestina e di Gaza in particolare, mi stavo occupando seriamente.
Ricordo bene che quando la Free Gaza approdò per la prima e ultima volta in territorio palestinese uscii per le strade vestita da araba e a chi mi chiedeva il perché, rispondevo orgogliosa: un mio amico, assieme ad altri compagni sono riusciti a realizzare un sogno a Gaza.
Gaza, pochi capivano di cosa stessi parlando e perché mi mostravo così felice.
La storia di Vittorio si stava intrecciando con la mia, in molti modi diversi e mi sentivo davvero inadeguata se paragonavo il mio impegno al suo, soprattutto quando avevo sue notizie da sotto le bombe di Piombo Fuso.
Il mio pensiero andava a questo figlio coraggioso e impavido, ma sempre figlio, a cui indirizzavo la preghiera: “Vik torna a casa, hai fatto tanto, tantissimo, ma salva la tua vita, perché continuare a lottare è più importante che rischiare di morire lì…”
Ah come mi sbagliavo! Avevo ragione certamente, Vittorio avrebbe potuto continuare da lontano ad agire per la sua Utopia, ma quanto mi sbagliavo sul fatto che perderlo avrebbe voluto dire dimenticare, dimenticarlo.
“Vittorio vive e lotta insieme a noi” ed è vero, è così, è la sua eredità, il suo insegnamento, la sua spinta verso un ideale, a cui lui non ha mai rinunciato e al quale pure io non voglio rinunciare.
Lui non c’era più ed è stata una perdita che ha segnato profondamente molte persone. E’ stato un fulmine il cui tuono non è ancora finito, attraversa ancora e ancora un cielo limpido che sovrasta il mare in burrasca. Una burrasca che finirà solo quando “libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi”.
Sì “continueremo a fare delle nostre vite poesia” sarà una piccola ode a te a chi come te ha creduto profondamente nei principi insiti nel diritto alla libertà.
E da questo figlio, non mio, ma diventato mio nel cuore, ho pensato di far nascere qualche cosa che a suo nome continuasse la sua opera: un’associazione “Restiamo Umani con Vik” che si occupasse di informazione e cultura, di diritti umani e di sostegno, incentrati sulla Palestina tanto amata.
Ho fatto alcuni viaggi di conoscenza in Palestina e ho incontrato persone di grande dignità che mi onoro ad avere come amici, tutti stupendamente grati a Vittorio e al suo sacrificio.
Così piano, piano, da un io ci siamo trasformati in un noi: Io, Mario e l’associazione.
L’associazione Restiamo Umani con Vik ha operato per molto tempo a fare informazione, con eventi anche di successo, per dare voce a chi voce non ha. Oggi ha ideato e sostiene il Nazra Palestine Short Film Festival, che attraverso la cultura e il Cinema incoraggia giovani autori palestinesi e non, a esprimere le loro idee, di farci avere i loro sguardi, di raccontarci le loro storie da e per una Palestina umiliata, ma mai domata.
Il festival Nazra è lo strumento di cultura ed informazione che sognavamo, che abbiamo perseguito, che non pensavamo di riuscire a far vivere e camminare con le proprie gambe.
Oggi è un incontro annuale, itinerante in Italia e all’estero, compresa Gaza, importante, diffuso e seguito, che ci parla dei temi a noi cari e che non può che essere originato dalla grande forza che Vittorio ha messo in quello che faceva, il suo impegno ci ha ispirati a mettere, pure noi, le nostre vite, a disposizione di un disegno più gande: aiutare a spezzare le catene di un popolo oppresso.
Grazie Vittorio per averci indicato la via, grazie alla tua grande mamma Egidia per esserci amica e per aiutarci a sostenere questo pesante lavoro, ma anche pieno di soddisfazioni e di nuovi incontri.
Tu sei sempre con noi e non sarai dimenticato mai. Credo che sarai orgoglioso di quello che hai ispirato con il tuo esempio.
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Martina Mancuso e Marco Miceli – Fratello Vittorio (31 marzo 2021). Vota qui: 214 like
Questo è un racconto, una storia semplice e quotidiana. Anzi: è il racconto di come piccoli semi nati da un esempio in carne ed ossa possano diventare germoglio perenne, ispirando una direzione unica alla vita di chiunque. È la primavera del 2012 in un liceo classico di Catanzaro quando due ragazzi di 15 anni, nel ribollire di idee e scoperte, di conoscenza del mondo e di valori, si imbattono in Vittorio. È Marco che lo scopre per primo, gli capita tra le mani quel libricino tanto sottile quanto potente: lo legge senza sapere quante forti saranno quelle brevi righe, ignorando la potenza disarmante di certe azioni.
Quel libro lo turba, lo ferisce, ma lo illumina. Qualche tempo dopo ne parla a Martina che, effettivamente, aveva sentito parlare di Vittorio, ma più per come si sentono le notizie al tg o per come si leggono con un flash gli articoli online. È curiosa, vuole sapere che cosa di tanto affascinante e rivelatore ci sia in quelle poche pagine. Non lo compra, Marco le presta la sua copia e, inconsapevole, inizia a leggerlo. Lo termina in una sola sera: è emotiva, leggere quelle parole le fa rivoltare lo stomaco di rabbia, la testa di pensieri, dubbi. Quella lettura a tratti è devastante; forse la loro giovane età non è così avvezza a certe crudeltà e ingiustizie descritte senza fronzoli, messe sul piatto di portata senza condimento.
Ma, al di là di tutto, c’è qualcosa che va oltre: nelle loro teste quel Restiamo Umani ha toccato corde mai toccate prima. È come se quel rituale con cui Vittorio usava concludere i suoi racconti, così intimo ma allo stesso tempo così universalmente fruibile, fosse stata la sintesi perfetta, la somma esatta di tutti i loro pensieri, di tutte le loro aspettative e speranze.
Si appassionano, sono giovani, studiano, leggono, conoscono meglio il mondo e Vik, nonostante gli anni passino, rimane colonna portante, pilastro del loro pensare e agire. Giorno dopo giorno la forza del suo esempio e delle sue testimonianze traccia una via diventata imprescindibile: Restare Umani è possibile anche quando tutto pare perduto e l’Umanità pare essersi persa.
Non manca occasione in cui insieme o meno facciano il nome di Vittorio a compagni e insegnanti, a tempo debito, diffondendo e facendo conoscere la sua storia, le sue ragioni. Vittorio diventa letteralmente loro fratello, oltre che compagno, così come di tutti coloro che sentono scorrere nelle proprie vene anche il suo sangue; nella propria testa anche i suoi pensieri; nel proprio cuore anche i suoi sentimenti. Vittorio era, ed è, uno di loro.
Un giorno, durante la ricreazione, fantasticano sul voler avere il ‘motto’ di Vik inciso sulla pelle per sempre. Sono piccoli, giovani, sognatori, ma fanno sul serio; qualche anno dopo quelle fantasie diventano realtà. Difatti “stay human” e “restiamo umani” diventano indelebili sui loro corpi, oltre che nel loro cuore. Ogni giorno, davanti a qualunque evento lo possa evocare, Vik ricorda loro che se è vero che la Palestina rappresenta l’emblema dell’ingiustizia più ingiusta, è vero che una qualsiasi “Palestina” è possibile ritrovarla in qualsivoglia prigione, fisica o mentale, nella quale ci si imbatte direttamente o indirettamente; in ogni quotidiano momento marcato da muri e non superato da ponti; in qualsiasi lembo di terra, a qualsiasi latitudine, vessato da sbarre, pregiudizi, difficoltà, violenze, meschinità, catene, gabbie, materiali o immateriali. Vik ha permesso loro di prendere coscienza del fatto che se l’ingiustizia esiste allora è doveroso opporle l’essenza unica dell’essere Umani, fatta di luce e speranza, di lotta e coraggio, di Giustizia e Solidarietà.
Un po’ più grandi, maturi, Martina e Marco orientano le loro scelte universitarie e non: inizia il mondo del servizio e del volontariato, dello stare dalla parte dei più deboli, dell’attenzione ai diritti umani. Diventano volontari di un’importante ONG: spesso Marco va nelle scuole per raccontare quanto sia fondamentale conoscere e battersi per quei diritti tanto negati e testimoniare che ognuno ha la possibilità, realmente e concretamente, anche col più piccolo gesto, di fare la differenza; Martina sogna di poter essere lei stessa ad aiutare in prima linea un giorno, magari da medico, portando nel cuore e nelle mani quell’esempio.
Ad oggi tanto tempo è trascorso, le loro vite camaleontiche non smettono di stupire, eppure dell’epilogo, ancora, non ci è dato sapere. Sappiamo, però, che Marco e Martina sono cresciuti di una decade e a Vittorio, loro due, saranno per sempre grati. Grati per aver dettato, con tutto il suo esempio, la rotta giusta alla loro vita. Grati per aver ereditato la consapevolezza del proprio ruolo di Essere Umani come resistenti e difensori dell’Umanità in ogni contesto e situazione: all’ingiustizia regnante sovrana, forte della violenza, della sopraffazione, del sopruso, l’unica arma esistente è far fiorire tutta la propria l’Umanità, tutta la propria e condivisa Resistenza.
“Continuiamo, non per noi ma per tutti, a fare poesie delle nostre vite. Grazie Vik”.
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Francesco Giordano – Costruiremo sogni dove incontreremo muri (27 marzo 2021). Vota qui: 98 like
Marzo 2011, da Gaza si sviluppa un movimento di giovani palestinesi che si mobilita reclamando Liberazione e giustizia per tutto il popolo. Nelle piazze si urlano slogan per dire basta con l’occupazione, ma anche basta con la repressione in Palestina da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese ed Hamas.
Scrive Vittorio Arrigoni da Gaza City:
“Il manifesto GYBO (Manifesto dei Giovani di Gaza per il cambiamento), messo online su Facebook da un gruppo anonimo di studenti della Striscia, sta suscitando clamore per l’intensa prosa polemica e insieme poetica, per la spontaneità con cui si esprimono vite accerchiate senza l’ingessatura della retorica politica e umanitaria. Scendere in piazza è troppo pericoloso a Gaza, se non piombano bombe dal cielo, piovono manganelli da terra”.
E prosegue: “Fustigati da un governo interno che soffoca i diritti civili basilari, frustrati dal collaborazionismo criminale di Ramallah, che viene a patti coi massacratori d’Israele, delusi e defraudati da una comunità internazionale lassista e compiacente coi carnefici, il grido cibernetico di questi ragazzi coraggiosi sta raccogliendo sempre più consensi a livello globale, a giudicare dai commenti sulla loro pagina web che si susseguono istante dopo istante da ogni dove”.
Vittorio non ci pensa un attimo per decidere da che parte schierarsi. E lo fa con articoli ben chiari, ben precisi.
Tanto chiari e precisi che in Italia riceve critiche per quella scelta di dare voce a quei giovani, a quel movimento.
Anche in questo caso non si tira indietro e risponde ai suoi critici con determinate, lucide e precise parole.
Aprile 2011, undicesimo giorno in Palestina.
– Ma chi vuoi che creda ad una cosa del genere…”
– Guarda che alla fine se ne dovranno fare una ragione, tu dimmi chi vuoi che metta in discussione questa verità?”
– No, non mi convinci…si capisce bene che è un progetto per eliminarlo…vuoi che nessuno metta in relazione quanto è successo due settimane fa a Jenin? Chi ha assassinato Juliano? E comunque non è cosa giusta. Capisco che queste due persone criticano Hamas e l’ANP e lo fanno dall’interno e sono anche persone che vengono ascoltate, ma bisognava proprio pensare di ucciderle?
– Si, non possiamo fare diversamente. Sono un pericolo per noi, lo han capito a Ramallah, lo abbiam capito a Gaza. E non hai letto cosa ha scritto poche settimane fa quando quei rompiscatole di giovani ragazzi e ragazze sono scesi nelle piazze a protestare contro l’occupazione ma anche contro i governi di Ramallah e Gaza. No, questa storia deve finire ora, non possiamo permetterci i Juliano, tantomeno i Vittorio.
– Capisco e certo hai ragione, avete ragione, ma dove stiamo andando? Perché abbiamo imboccato la strada che non porta da nessuna parte? Mi torna alla mente quanto scritto dai prigionieri fin dal 2006 nel comunicato della concordia nazionale. Ricordi?
Dicevano: “Dalle nostre celle richiamiamo i nostri fratelli e sorelle affinché ricordino l’importanza dell’unità, alla luce della crescente divisione nel seno del popolo. Noi condanniamo unanimemente gli atti di assassinio, di sequestro e l’abuso di vandalismi verbali. Queste sono le scintille che portano alla catastrofe e che dobbiamo prevenire a tutti i costi. Chi punta la sua arma contro il petto del suo fratello palestinese dimentica il patto d’onore secondo il quale queste armi devono essere usate per resistere all’occupazione”.
Questo scrivevano, inascoltati. Mi chiedo dove stiamo andando.
– Fratello, credo che non fa bene porti tutte queste domande…non è più tempo di domande e potrebbe essere anche pericoloso per te se qualcuno sentisse i tuoi tentennamenti. Forza…diamoci da fare, dobbiamo incontrare la persona che si dovrà occupare di quanto si è deciso, avrà anche lui bisogno di qualche giorno per agire. E dimentichiamo la nostra discussione.
Parole non ne escono più dalla bocca di Khalid, non escono più dalla sua bocca, ma i pensieri non si fermano ed anzi rimbombano nella sua testa:
“Siamo sopravvissuti a malapena all’Operazione Piombo Fuso, in cui Israele ci ha bombardati di brutto con molta efficacia, distruggendo migliaia di case e ancora più persone e sogni.
Abbiamo paura.
Qui a Gaza abbiamo paura di essere incarcerati, picchiati, torturati, bombardati, uccisi.
Abbiamo paura di vivere,
non possiamo muoverci come vogliamo,
né dire ciò che vogliamo,
né fare ciò che vogliamo,
a volte non possiamo neanche pensare
ciò che vogliamo
perché l’occupazione ci ha occupato cervello
e cuore in modo così orribile
che fa male
e ci fa venire voglia
di piangere lacrime infinite
di frustrazione
e rabbia!
La notte di quel 15 aprile fu tremenda, le stelle e la luna non si mostrarono per il dolore, noi tutti ammutoliti, con lacrime che scendevano ovunque scoprimmo che non avremmo più letto le sue parole, non le avremmo più sentite, che Vittorio non era più fuori da noi, avremmo dovuto tenercelo stretto-stretto dentro ogni cuore.
Quanta solitudine ci aspettava?
Molti di noi non dormirono quella notte e nemmeno nelle seguenti…certamente non dormì il poeta palestinese Ibrahim Nasrallah, che scrisse questa poesia:
IN QUESTA NOTTE OSCURA, PER TE, CARISSIMO FIGLIO:
A Vittorio
Non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
Hanno ucciso tutti
Hanno ucciso tutti
hanno ucciso tutti i minareti
e le dolci campane
uccise le pianure e la spiaggia snella
ucciso l’amore e i destrieri tutti, hanno ucciso il nitrito.
Per te sia buono il mattino.
Non ti hanno conosciuto
non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
e bellezza di un tralcio sulla porta del giorno
e delicato stillare di corda
e canto di fiumi, di fiori e di amore bello.
Per te sia buono il mattino.
Non hanno conosciuto un paese che vola su ala di farfalla
e il richiamo di una coppia di uccelli all’alba lontana
e una bambina triste
per un sogno semplice e buono
che un caccia ha scaraventato nella terra dell’impossibile.
Per te sia buono il mattino.
No, loro non hanno amato la terra che tu hai amato
intontiti da alberi e ruscelli sopra gli alberi
non hanno visto i fiori sopravvissuti al bombardamento
che gioiosi traboccano e svettano come palme.
Non hanno conosciuto Gerusalemme … la Galilea
nei loro cuori non c’è appuntamento con un’onda e una poesia
con i soli di dio nell’uva di Hebron,
non sono innamorati degli alberi con cui tu hai parlato
non hanno conosciuto la luna che tu hai abbracciato
non hanno custodito la speranza che tu hai accarezzato
la loro notte non si espone al sole
alla nobile gioia.
Che cosa diremo a questo sole che attraversa i nostri nomi?
Che cosa diremo al nostro mare?
Che cosa diremo a noi stessi? Ai nostri piccoli?
Alla nostra lunga dura notte?
Dormi! Tutta questa morte basta
a farli morire tutti di vergogna e di sconcezza.
Dormi bel bambino.
Restiamo umani
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Omar Suboh – Il rumore del silenzio (25 marzo 2021). Vota qui: 45 like
La luna restava fissa nel cielo, alta, inondando dei suoi raggi le strade vuote di Gaza City. Un lieve ronzio era percepibile da lontano, come una eco lontana, di un’altra epoca o dimensione. Due sagome invasero il campo dell’acqua che rifletteva quello spicchio così delicato, nere e spigolose, potevano essere scambiate per due sculture se qualcuno fosse passato in quel momento e, senza soffermarsi troppo, affacciandosi nella pozzanghera si sarebbe stupito dei loro contorni fantasmagorici.
– Ehi, come va?
– Eh!, chi si rivede, inshallah.
– Inshallah a te fratello mio.
– Che ci fai da queste parti?, tutto solo poi… non è da te.
– Passeggiavo nei dintorni senza una meta, ero mosso più dal desiderio di restare solo, con me stesso e schiarirmi le idee.
– Come, come? Il mio fratello caro ha delle idee sue, ma non mi dire…
– Fai poco lo spiritoso, la situazione è sempre la stessa la conosci, ma con questa luna, così, anche se non è piena come vorrei, mi rilassa… mi fa sentire per un momento lontano da qui. Mi fa immaginare di trovarmi di fronte al mare, che poi è qua vicino, e al posto delle navi vedetta israeliane, o dei droni, o dell’embargo… all’improvviso, come in un sogno, vedo elevarsi dalla schiuma prodotta dalle onde una colomba, enorme, con due ali così accoglienti che appena le noto, prendo la rincorsa e ci salto sopra e come per magia incomincio a librare sopra di lei verso il cielo, lontano, lontano…
– Cosa ti sei fumato oggi fratello mio?, è meglio del buon narghilè senza hashish la prossima volta, fidati di me.
– Non c’entra nulla il fumo, è qualcosa che ha a che fare più con la fantasia naturale, quella che non sviluppiamo mai abbastanza… sai, il fatto è che quella colomba ha un significato per me. Hai presente quel movimento per la solidarietà internazionale così attivo dalle nostre parti? – chiese, mentre si frugava nelle tasche per trovare un fiammifero e accendersi una sigaretta di trinciato mischiato all’erba.
– Mah, ce ne sono diversi. Faccio un po’ di confusione… ma l’Onu? L’agenzia per i rifugiati? L’operazione colomba?
– Eh no no, però non sei così lontano, era un movimento dove al suo interno lavorava un ragazzo italiano che poi ha fatto parlare molto di sé anche fuori da qui, dai nostri territori… l’altra parola non la dico che ogni volta che la sento mi viene la nausea, come quando parlano di Gaza e l’unica cosa che sanno dire “è il più grande carcere a cielo aperto”!, e perché vogliamo ricordare anche che qui abbiamo la più alta densità demografica al mondo in rapporto all’estensione… – e sospirò, dopo averla accesa, tirando una lunga boccata: intensa e distensiva – e comunque, quando penso alla colomba, o sono preso dalle mie visioni, penso sempre contemporaneamente anche a lui.
– Ma chi quello che stava sempre con i pescatori? Forse ho capito… indossava un cappello e fumava sempre, aveva anche dei tatuaggi, pareva Che Guevara!, è lui no?
– Penso che tu abbia capito, ma continua, voglio vedere dove ti spingi con le tue descrizioni – diede un leggero colpo di tosse, poi riportò la sigaretta alle labbra, dalle tinte amaranto, mentre i suoi occhi, di un verde tendente allo smeraldo, fissavano con attenzione il riverbero della luce sull’acqua.
– Cosa devo aggiungere, guarda, non lo so… ricordo che era sempre vestito di nero, aveva un portamento fiero, era alto, incuteva quasi timore ad averlo vicino, ma più per la sua autorevolezza, non faceva mica paura, anzi, mi sarebbe piaciuto averlo come amico fraterno.
– Esatto. Sai perché mi è venuto in mente?
– No. Sentiamo, Hassan.
– Perché ci eravamo scritti, qualche anno fa, anzi, ormai saranno passati almeno una decina di anni da quella volta… e ricordo con nitidezza la sua umanità. Merce rara di questi tempi, mio caro Samir.
– Di umanità ne vedo sempre meno, adorato Hassan!, sarebbe bello poter tornare indietro e chiedergli che cosa possa averlo portato fin qui, in questo posto dimenticato da dio, quando poteva starsene benissimo dove era, senza la preoccupazione di finire arrestato senza reato, o capi di imputazione alcuno, dai soldati israeliani o, peggio ancora, da qualche fanatico di qualche fazione fondamentalista, non contento della guerra che ci hanno portato da fuori, a casa nostra… – raccolse da un pacchetto che gli era avanzato dalla notte prima dello zenzero: il suo rimedio contro il fumo. Aveva letto da qualche parte che mangiarlo lo avrebbe aiutato, in particolare prima di ogni tiro di sigaretta. All’angolo della strada, si sentiva il tintinnare di alcune gocce d’acqua che con il suono prodotto a ogni caduta, sembravano scandire il tempo trascorso; dei gatti, nel frattempo, avevano preso a rincorrersi nel tetto di una casa vicina, e un lamento flebile, come di una piccola creatura abbandonata, faceva da contrappunto alla loro fuga.
– Vedi, Samir, tu dici bene, e sono d’accordo con te, come darti torto… ma ti immagini se tutti facessimo così?, voglio dire, se mettessimo sempre la nostra comodità di fronte a tutto e tutti. Se decidessimo, da sempre, di ignorare gli altri nessuno avrebbe mai prodotto, per quanto piccolo, un cambiamento nella storia dell’umanità? Saremo ancora fermi ai tempi dei faraoni, mi capisci? Avevo letto da qualche parte, una volta, che bisogna agire come se quelle cose in cui credi possano realizzarsi comunque, anche se in cuor tuo sai già che verranno ostacolate con ogni mezzo necessario… ti faccio un altro esempio: tu credi in Dio, Samir?
– Sì Hassan, per quanto mi sembri sempre più difficile, sì. Ci credo.
– Bene, ma tu l’hai mai visto? Lo so, può sembrarti una domanda banale, ma non è così. Gli uomini di tutte le epoche continuano a farsi gli stessi interrogativi senza trovare risposte certe sui grandi temi della vita. Ci sarà un motivo se siamo ancora così, non ti pare?
– Spiegati meglio. Ti seguo fino a un certo punto.
– Quello che sto cercando di dirti è che pur non vedendo dio, in carne e ossa, tu decidi, cioè compi una scelta, di fede certo!, in cui riponi fiducia nella sua esistenza, pur non avendone una certezza definitiva…
– Sì, il ragionamento è giusto.
– Ecco, benissimo. Quindi, così come l’orizzonte delle nostre scelte, determina i nostri comportamenti, qui sulla terra, anche decidere di partire in un altro paese, magari più povero, in guerra, con le sue mille difficoltà e tutti i rischi che può implicare, tutto questo significa agire come se Dio esistesse! Perché decidi di compiere un atto di fede: in questo caso, la fede nell’umanità.
– Ora mi ricordo… era noto anche per i suoi resoconti qua da Gaza, aveva un modo tutto suo per firmarli… e se non sbaglio suonava molto simile a come hai detto tu adesso. Era restiamo umani, è vero, no?
– Puoi dirlo, fratello Samir. Restiamo umani. Non trovi che sia bellissimo?, nella sua semplicità, così asciutto ma conciso, e allo stesso tempo così universale… sembra inglobare nel suo insieme millenni di storia – si stava facendo freddo, un vento umido si era insinuato dentro le ossa, e la luna si nascondeva nei palazzi vicini, a ridosso di una insegna.
– Se tutti facessimo nostro questo principio non ci troveremo nella condizione in cui siamo, non trovi Samir?
– È vero, in effetti non ci avevo mai pensato… ma ti fa sempre questo effetto la luna, Hassan?
– Sì, e ogni tanto scrivo anche dei versi, lo sapevi?
– Ah, ma allora non è un caso questa tua passeggiata notturna… stai cercando l’ispirazione.
– Ogni volta che la cerco so dove trovarla. Vado al mare, mi siedo sulla spiaggia, e in un momento tutto mi sembra apparire nella sua naturalezza. Vedo un mondo senza guerra, i bambini dei villaggi palestinesi liberi dai checkpoint, vedo la Palestina tutta sormontata da una grande chiave dorata, limpida come gli occhi di una anziana donna custode del nostro tempo, la stessa che guida il nostro percorso verso la liberazione; la spianata delle moschee, con la sua cupola splendente, farsi più brillante che mai, e ad ogni passante nei suoi dintorni vedo una luce immensa accompagnarli nel cammino; vedo le religioni, tutte, farsi come un unico faro che riempie con i suoi raggi il nostro mare; vedo crollare il muro di separazione, i valichi aprirsi, tutto il mondo diventa come la nostra casa, e poi a un certo punto… vedo lui, la sua espressione inconfondibile, con quella parlata così calibrata, ma sicura, e mi prende la mano, come fossi il bambino disegnato da Naji al-Ali, Handala, e insieme andiamo a scuola: ricominciamo tutto, dall’inizio, piantiamo insieme un albero di ulivo, ne raccoglieremo insieme, con tutti gli altri, i frutti… – il silenzio della notte gli avvolse senza lasciare traccia, l’armonia degli uccelli in volo, come delle colombe che stringono al becco un ramoscello di ulivo, gli condusse verso la spiaggia. Si sederono vicino alla riva, incantati dalla pace che emanava il movimento prodotto dalle onde. Non c’era nessun altro, a parte loro. Per un attimo il tempo si infranse nel rumore del mare, dilatando ogni forma e rievocando, come un profumo antico, la vita dei bambini che continuavano a essere, anche adesso, dopo tutto questo dolore, e una leggera brina gli accolse nel suo ventre, come il suono dell’oceano dentro una conchiglia.
– Ehi, Hassan, ti piacerebbe continuare a vivere qui?, o anche tu, come i nostri coetanei, preferiresti andare via?
– Qualche tempo fa non avrei avuto dubbi su come rispondere, ora invece ho cambiato idea… credo che rimanere abbia acquistato un senso nuovo, per me.
– Davvero? E che cosa ti ha fatto cambiare idea?
– La storia di Vik, come quella di Gesù, che non redime i nostri peccati, ma semplicemente ci indica una via, una alternativa al nostro essere umani in questa terra… e da un po’ di tempo, penso che mi piacerebbe vivere come ha vissuto lui.
– Che coraggio amico mio. Sai cosa ti dico?, che questo pezzo di zenzero mi ha proprio stancato. Hai per caso una sigaretta da prestarmi? Ti prometto che domani te la restituisco.
– Certo, amico Samir, fumiamo fumiamo, che domani magari la colomba ci verrà incontro…
La luna, timidamente, si ritirò. Nascondendosi, ma per poche ore, dietro la facciata dei palazzi vicini.
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Nello Panico – P E R U’ (accento sulla U’) – (6 marzo 2021). Vota qui: 1 like
C’era una volta un pastore che se ne stava comodamente sdraiato al sole, gustando la fresca brezza dell’alta quota sulle Ande del Perù, lasciando al pascolo libero la sua unica mucca.
Se ne stava lì a godersi in santa pace quel che possedeva: aria pulita, libertà, pace, silenzio, l’azzurro del cielo, le capriole delle nuvole, il profumo dei prati, il volo degli uccelli.
Improvvisamente, giunse inaspettato un piccolo fuoristrada che chissà come si era inerpicato fin lassù per portare un giovane signore ben vestito e dai modi molto cordiali.
Il nuovo arrivato salutò con educata cortesia.
Il pastore rispose a sua volta con altrettanta cortesia ed educazione al saluto, aggiungendo un tono di domanda all’intera frase. In altre parole si poteva leggere tra le righe del saluto di risposta: chi sei e cosa vuoi qui. Il giovane signore eluse la domanda e a sua volta chiese cosa stesse facendo… e il povero pastore, ben sapendo come sarebbe proseguita la solita storia, con la tiritera del “se ti sbatti diventi ricco eccetera” decise di andare subito alla fine e disse che lui per il momento si stava riposando e che intendeva continuare a farlo ancora per parecchio.
Col sorriso aperto sulle labbra e con un’armoniosa voce, il nuovo arrivato aggiunse:
– Ma perché non vai a riposarti a casa tua?
– Io non ho una casa, vivo con la mucca e la famiglia in una baracca-stalla
– Oh mi dispiace, ma puoi riposarti anche nella baracca, esattamente come stai facendo
– Certo, potrei, ma vuol mettere, qui è molto più bello, guardi che meraviglioso
Il pastore indicò con lo sguardo le cime andine e i verdi pascoli.
– Meraviglioso, davvero Sono davvero contento di averlo comperato, è stato un vero affarone. L’ho comperato per farne un bellissimo compound, con alberghi, piscine, campi da golf, palestre, ma no scherzo, non faccia quella faccia, non sono così ricco, semplicemente ho comperato questi pascoli per spostare il mio bestiame in questa zona, ricca di buon foraggio.
– Ha comperato tutto questo? E io potrò venire ancora a far pascolare la mia unica mucca, qui dove è sempre venuta?
– E no, certo che no, come posso permetterlo? Pensi se tutti mi chiedessero di portare le loro bestie a pascolare sui miei terreni!
E così il povero pastore, dovette lasciare la roccia che per anni aveva accolto il suo riposo e con la mucca al seguito dovette ritornarsene a casa con la certezza di aver perso per sempre un bene prezioso. Scendendo a valle gli venne in mente la solita storiella che non aveva voluto ascoltare, però ne aveva ascoltata una molto peggiore.
Più scendeva a valle più gli saliva la rabbia, quando fu giunto a casa o quella specie di rifugio, aveva ormai deciso che si sarebbe re-impossessato del suo diritto al pascolo, per ragioni legittime: su quei pascoli lui ci era nato!
Aveva chiesto con le buone di poter pascolare la sua bestia e aveva ricevuto un no, ora avrebbe avuto il sì con le cattive, cercò un fucile da un conoscente mezzo parente e decise di tornare su per avere giustizia. Presto si sparse la voce nel villaggio e ben presto altri poveri pastori si unirono al nostro perchè anche per loro, era finita la possibilità di pascolo. Il piccolo gruppetto si avviò di buona lena e giunti sul posto, ovviamente non trovarono nessuno. Decisero di bruciare tutta l’erba.
Poi vennero gli operai e piazzarono i recinti spinati, quindi i tecnici e portarono gli impianti elettrici, poi altri tecnici e piazzarono fotocellule anti bracconaggio e infine spuntarono guardie giurate, armate fino ai denti a protezione della mandria che sarebbe giunta tra qualche giorno. I poveri pastori dovettero indebitarsi ulteriormente per comprare armi per poter lottare contro il potente nuovo vicino. Il nuovo vicino dovette indebitarsi anche lui con notevoli cifre per assicurarsi tranquillità. Un giorno i “ribelli” riuscirono ad intercettare una delle auto del padrone e la fecero saltare in aria. Per vendicarsi, il ricco, mandò giù al villaggio la squadra di sicurezza e rasero al suolo tutto, scacciarono vecchi, donne e bambini, lasciandosi dietro solo miseria macerie e fuoco. Diventò un conflitto terribile.
Giovani volontari, tra gli altri un ragazzo italiano e una ragazza canadese, che avevano offerto il proprio corpo per far da scudo tra le fazioni combattenti, versarono il loro sangue come dono supremo. Diventando loro malgrado, testimoni dell’impegno civile in difesa del rispetto umano: Vittorio Arrigoni e Rachel Corrie.
La contrapposizione, non si fermò, anzi si protrasse per anni, decenni, e un giorno, per puro caso, i due contendenti ormai vecchi si ritrovarono proprio vicino alla stessa roccia di tanti anni prima.
Si osservarono a lungo, ognuno vedeva nell’altro le nefandezze che aveva causato. Il carico di disgrazie se lo portavano sulle spalle ormai curve. Insieme realizzarono che in fondo avevano vissuto l’unica vita a loro concessa, tra lotte, sconfitte e rabbia, lutti e dolori. L’avevano sprecata, senza che nessuno dei due riuscisse a spuntarla sull’altro. Una vita sprecata, due vite sprecate. Molte vite sprecate, lo realizzarono nell’attimo in cui si guardarono negli occhi e videro la propria sconfitta negli occhi dell’altro. Non c’era più il tempo per recuperare, i morti ormai erano morti e le loro vite ormai alla fine. Riuscirono a mettere insieme un breve dialogo tra sordi:
– Se ti accontentavi di comprare solo una parte di montagna e lasciavi a noi il resto, libero, tutto questo non sarebbe
– Potevi comprarlo tu il terreno, e io non ci sarei mai venuto
– Con quali soldi? Non ne avevo!
– Per le armi li hai trovati !
Dopo una brevissima pausa silenziosa, si allontanarono senza salutarsi, non si sarebbero mai più rivisti.
(Più Esattamente Restiamo Umani)
Ps. La storiella citata nel racconto.
“Un giovane sta dormendo, mentre pascola la sua unica mucca, si avvicina un industriale e chiede che sta facendo. Il giovane risponde, ma l’industriale infastidito inizia a dare vari suggerimenti del tipo: invece che dormire coltiva anche un orto,….. avresti anche ortaggi, e se fai un orto più grande ne avrai anche da vendere; quindi più soldi in tasca.
Con questi soldi e magari un prestito, potresti comprare anche un toro così da avere vitelli e magari anche comprare pecore, conigli oche,…….
Poi magari assumere delle persone che potrebbero lavorare per te e aumentando il tuo fatturato, comprare più terra, altre macchine, che non potendo manovrarle tutte, potresti assumere altre persone, e così via, saresti rispettato, arrivando a un certo benestare, potresti assumere uno di fiducia così da fargli gestire il piccolo impero, e finalmente riposarti tutto il giorno !
Il giovane, che lo aveva lasciato parlare e spiegare bene tutte queste cose, quando ha la possibilità di dire la sua, dice tranquillamente e candidamente all’ industriale: - Ma io, mi sto già riposando tutto il giorno.”
***
Maria Teresa Melis – Senza Titolo (1 marzo 2021). Vota qui: 5 like
Era veramente l’aprile 2011 quando tutto mi stava crollando addosso, ma poi ho trovato sulla mia strada Mauro, quello che poi è diventato mio marito…
“Sono disperata! Senza soldi amici e figlia, tutti vivono lontano da me e mi crolla il mondo addosso!”
In quel periodo sono arrivata al punto di dover chiedere venti euro per la spesa.
Il mio cuore non poteva crederci.
Sono sempre stata io a prendermi cura di mia figlia, non di certo il contrario.
Decido di andare all’ultimo porto aperto. Assistente sociale.
Prendo l’appuntamento quel mattino e arrivo in comune col cuore in gola.
In pratica volevo chiedere un lavoro ma non potevo immaginare che li avrei ritrovato la mia felicità. Ho raccontato all’assistente sociale il brutto momento che stavo passando. La mia triste esistenza, la perdita del lavoro e il dramma economico. L’assistente sociale mi propose un piccolo lavoretto momentaneo, in pratica avrei dovuto prendermi cura di una signora che era caduta in casa e che viveva da sola. Restava ancora in ospedale per la riabilitazione un altro mese. Sarebbe rientrata al proprio domicilio non prima di fine maggio, inizi giugno… Accetto di aspettare e prendermi cura della signora, in attesa di trovare un altro lavoro più “serio”.
Prendo appuntamento con il figlio della signora per il colloquio. Ci incontriamo dopo circa un mese dopo il suo primo viaggio extraeuropa. PALESTINA. Appena vedo il figlio della signora anche io viaggio. Viaggio in un mondo parallelo. Lui parla e io non ascolto neanche una parola. Era lui, Mauro, mio marito, o meglio lo diventerà dopo 6 anni,
Ci siamo innamorati subito. Anche lui viveva un momento difficile. Il viaggio in Palestina però ha aperto il suo cuore verso i palestinesi e verso me. In Palestina ha conosciuto la vera disumanità che solo l’uomo è capace di avere. Aprendo in lui e in noi la consapevolezza che si può Restare Umani, che con Vik è poi esplosa.
Dal suo viaggio, ha riportato qui in Italia testimonianze personali e fotografiche che non potevano restare nel cassetto. Così ho pensato che solo Vittotio poteva renderle pubbliche. Ho timidamente contattato la madre di Vittorio Arrigoni. Egidia Beretta. Le abbiamo proposto la nostra idea, mostra fotografica e presentazione del suo libro “Il viaggio di Vittorio”.
23 agosto 2013. Da li è iniziata una grande storia d’amore tra noi e Egidia. É stata proprio Egidia Beretta la Mamma di Vittorio a ufficializzare il nostro amore.
Per noi è proprio Vittorio che ha voluto il nostro amore.
Il nostro amore ha le radici in Palestina.
Vittorio ci ha insegnato a restari umani e noi lo resteremo, se possibile, sempre!