Nella terza e ultima parte dello speciale sull’Armenia, esaminiamo il ruolo iraniano e israeliano nel conflitto nel Caucaso. Teheran, storica alleata di Erevan, è stata però cauta questa volta: a influire la decisione del governo Pashinyan di stabilire normali relazioni diplomatiche con Israele, sponsor però di Baku
di Marco Santopadre
Roma, 8 dicembre 2020, Nena News – Venerdì scorso migliaia di persone – 10 mila per l’Afp e decine di migliaia per l’agenzia russa Interfax – hanno sfilato in corteo a Erevan chiedendo le dimissioni del premier armeno Nikol Pashinyan, al grido di “Nikol traditore”. Si tratta dell’ennesima protesta contro il governo che lo scorso 9 novembre, dopo sei settimane di sanguinosi combattimenti, ha siglato un cessate-il-fuoco con l’Azerbaigian, mediato dalla Russia, che non solo ha comportato la perdita di circa il 40% del territorio dell’enclave armena dell’Artsakh, ma anche di tutte le province azere conquistate da Erevan nella guerra del ’91-’94. La cessione dei diversi territori a Baku comporta anche la perdita della maggior parte della miniera d’oro di Sotik, nel distretto di Kelbajar, gestita dalla russa GeoPro Mining Gold e che rappresentava un’importante fonte d’introiti per le casse armene.
Da parte sua, invece, il presidente russo Vladimir Putin ha espresso il proprio apprezzamento per il premier armeno Pashinyan, il cui operato è invece considerato catastrofico da molti suoi concittadini, parte dei quali lo aveva sostenuto nel 2018 quando, grazie alla filoccidentale “Rivoluzione di velluto”, aveva preso il potere dopo la rimozione di un esecutivo vicino proprio a Mosca. «Il governo armeno è stato costretto a prendere una decisione difficile ma necessaria» ha detto Putin nel corso di una videoconferenza dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CTSC), di cui fanno parte Erevan e Mosca. «Queste decisioni sono state dolorose ed hanno richiesto coraggio personale da parte del primo ministro armeno» ha continuato Putin, assicurando che ora il compito della Russia «è quello di sostenere lui e la sua squadra per organizzare una vita pacifica in Nagorno-Karabakh».
Ma il presidente russo non si è limitato a sostenere apertamente il suo ex rivale, che ora cerca a Mosca una sponda dalla quale per anni ha tentato di distanziarsi. Putin ha anche chiesto a tutti gli stati membri del patto di assistenza militare – che comprende anche Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan – di sostenere Pashinyan, contestato da una parte della popolazione armena e dalle opposizioni proprio per aver aderito al piano preparato dalla Russia, che oltre alla mutilazione territoriale prevede anche lo schieramento in Nagorno-Karabakh – già avvenuto – di 2000 militari russi.Pashinyan, a sua volta, ha ringraziato Mosca ed ha definito le forze di pace russe «una garanzia per la sicurezza nella regione», sottolineando il “ruolo decisivo” di Putin nel “fermare lo spargimento di sangue”.
Sul fronte opposto, il presidente turco Erdoğan si prepara al un trionfale bagno di folla a Baku, dove il 10 dicembre dovrebbe sfilare alla testa della imponente parata militare organizzata dal regime di Ilham Aliyev per celebrare la vittoria sull’Armenia. Una vittoria preparata a lungo e resa possibile dal vertiginoso incremento della spesa militare di Baku che, grazie alla ricchezza di idrocarburi del suo sottosuolo, si è potuta permettere di dedicare risorse sette volte superiori a quelle stanziate da Erevan. Mentre la popolazione azera cresceva costantemente fino a 10 milioni, diventando più di tre volte quella armena, il PIL di Baku, pompato dalle esportazioni di idrocarburi, è arrivato a 46 miliardi di dollari contro i 12 di Erevan. Sulla vittoria azera ha influito il forte sostegno turco, ma anche la mancanza di sostegno all’Armenia di alcuni suoi storici alleati.
La prudenza dell’Iran
Non è stata solo la Russia a evitare ogni intervento risolutivo prima che la vittoria azera fosse patente. Anche l’Iran, storico alleato di Erevan, ha avuto un atteggiamento più che prudente. Storicamente schierato con l’Armenia, durante il breve ma cruento conflitto l’Iran ha permesso ad alcuni convogli carichi di armi russe destinate a Erevan di attraversare il suo territorio. In generale Teheran contrasta l’approccio espansionista dell’Azerbaigian e della Turchia, che hanno fortemente investito sulla promozione delle spinte separatiste tra gli iraniani di lingua e cultura azera. Ma stavolta l’Iran è stato molto cauto, proprio per non indispettire decine di milioni di iraniani di etnia azera sensibili alla propaganda nazionalista panturca.
Ad ottobre decine di migliaia di persone sono scese in piazza per sostenere l’Azerbaigian contro l’Armenia nelle regioni a maggioranza azera ma anche a Tabriz e a Teheran, al grido di “il Karabakh ci appartiene”, impensierendo non poco il governo. Poi quattro imam di altrettante regioni abitate da popolazioni azere (l’Azerbaigian orientale e occidentale, Ardebil e Zanjan) hanno reso pubblico un documento in cui si affermava: «Non c’è dubbio che il Nagorno-Karabakh appartenga all’Azerbaigian e che la mossa del suo governo per riconquistare la regione sia completamente legale, secondo la Sharia, ed in linea con quanto previsto da quattro risoluzioni dell’Onu». Come se non bastasse, la guida suprema iraniana, Ali Khamenei ha dichiarato che l’Azerbaigian ha tutto il diritto di “liberare i territori occupati” dall’Armenia.Inoltre, gli abitanti dell’Azerbaigian sono per lo più sciiti, come i persiani, e l’Iran spera prima o poi di poter aumentare la propria influenza oltreconfine, contrastando il legame sempre più stretto tra Baku da una parte e Ankara e Tel Aviv dall’altro.
Sullo schieramento della Repubblica Islamica nel recente conflitto nel Caucaso ha sicuramente influito la decisione del governo Pashinyan di stabilire normali relazioni diplomatiche con Israele, nonostante Tel Aviv si sia sempre rifiutata di riconoscere il genocidio turco degli armeni per non turbare gli ottimi rapporti con Ankara. Del resto, anche se Erdoğan si atteggia a difensore dei palestinesi, la Turchia e Israele hanno molti interessi comuni, a partire dall’ostilità nei confronti dell’Iran.
Israele sostiene Baku
Quella di Pashinyan è stata una mossa azzardata – probabilmente dettata dalle pressioni di Washington e di altri sponsor internazionali – e controproducente. Se da una parte ha insospettito e allontanato l’Iran, dall’altra è arrivata proprio mentre si palesava il massiccio sostegno israeliano ai preparativi bellici azeri. La contraddizione è esplosa pubblicamente all’inizio di ottobre, pochi giorni dopo l’inizio della guerra, quando Pashinyan ha stigmatizzato l’offerta israeliana di inviare aiuti umanitari a Erevan e ha provocatoriamente invitato il presidente israeliano a mandarli ai mercenari jihadisti schierati dalla Turchia per dare man forte alle truppe azere. Dopo pochi giorni Pashinyan ha ritirato il suo ambasciatore in Israele, accusando quest’ultimo di armare coloro che stavano bombardando i civili armeni. Effettivamente, Israele è il primo fornitore di armi dell’Azerbaigian, anche più della Turchia.
Secondo lo “Stockholm International Peace Research Institute” (Sipri), tra il 2006 e il 2019 il cosiddetto Stato Ebraico avrebbe venduto a Baku circa 825 milioni di dollari di attrezzature militari, circa il 60% del totale delle importazioni belliche del paese. Recentemente, le imprese israeliane hanno riempito gli arsenali azeri dei micidiali droni suicidi “Harop” e dei missili “Lora” che hanno sbaragliato le forze armene in pochi giorni. I primi sono di fatto dei droni-missili teleguidati in grado di inseguire l’obiettivo e di rimanere in volo per ben 9 ore; i secondi hanno invece una gittata di quasi 300 km, capaci di colpire quindi a grande distanza. Come se non bastasse, Israele ha fornito a Baku anche le micidiali bombe a grappolo M095 DPICM, vietate dalle convenzioni internazionali ma impiegate più volte dall’esercito azero nei bombardamenti sull’Artsakh (Amnesty International ne ha denunciato l’uso su Stepanakert il 3 e 4 ottobre).
Sono due i motivi che hanno spinto Israele a sostenere in maniera così massiccia l’Azerbaigian. Il primo è di carattere strategico: l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan fornisce a Tel Aviv ben il 40% delle sue importazioni petrolifere. Il secondo motivo è di carattere logistico, militare e geopolitico: il principale obiettivo di Israele nella regione è quello di isolare l’Iran e di contenerne l’influenza. Obiettivi condivisi con la Turchia, che pure con l’Iran è dovuta scendere a patti sulla gestione del Nord della Siria dopo aver fallito l’obiettivo del regime change a Damasco.
Secondo varie indiscrezioni, Tel Aviv avrebbe ottenuto da Baku il permesso di utilizzare il territorio azero per spiare il confinante Iran e per lanciare eventuali attacchi contro le installazioni nucleari di Teheran. Nena News
Pingback: Karabakh.it | Rassegna stampa (1 – dic)