Roma, 20 aprile 2016, Nena News – Ucciso per un bicchiere di tè, è subito rivolta: l’uccisione a sangue freddo di un venditore di strada e il ferimento di due passanti da parte di un poliziotto egiziano hanno portato in strada centinaia di persone. Immagini che riportano alle origini delle primavere arabe in Nord Africa e ai suicidi in piazza di giovani venditori oppressi da povertà e repressione.
Ieri Il Cairo è stato teatro di un omicidio che svela di nuovo la perdita di quel rigido controllo che il regime di al-Sisi ha stretto sulla popolazione. Dopo la manifestazione di massa di venerdì, i sit-in delle famiglie dei giornalisti in prigione, articoli che sulla stampa progovernativa e non svelano le contraddizioni interne del governo egiziano, gli scontri di ieri potrebbero fare da miccia di accensione di nuove rivolte.
Tutto è cominciato da un litigio sul prezzo di un bicchiere di tè: tre poliziotti hanno aggredito verbalmente il venditore, riporta il generale Amer, capo della polizia del distretto di New Cairo, e uno dei tre ha aperto il fuoco. Il venditore di strada è morto sul colpo, centrato al cuore da una pallottola.
L’agente Zeinham Abdel Razek è stato arrestato, ma ormai la rabbia era esplosa: una folla di circa 200 persone si è lanciata sull’auto della polizia, l’ha ribaltata e distrutta, ha picchiato un poliziotto per poi bloccare la strada al grido di «La polizia è criminale, il Ministero dell’Interno è criminale». Secondo un testimone presente sul luogo degli scontri, in un’intervista alla Reuters, le forze di sicurezza hanno circondato la zona e arrestato cinque persone, mentre familiari della vittima colpivano i poliziotti con delle pietre.
Quelle pietre simboleggiano il crescendo di rabbia che investe la popolazione egiziana a cinque anni dalla rivoluzione che aveva fatto immaginare un futuro di democrazia e partecipazione politica. L’escalation di tensioni va in parallelo con le brutalità della polizia, che forte dell’impunità di cui gode stringe la morsa sui cittadini: a febbraio un poliziotto aveva ucciso un tassista, a novembre Ismailiya e Luxor erano state infiammate dalle proteste per la morte in una sola settimana di tre detenuti. Fino allo sdegno locale e internazionale per la barbara uccisione di Giulio Regeni.
Alla violenza dei servizi di sicurezza si aggiungono fame e disoccupazione, una crisi economica che al-Sisi cerca di risolvere con prestiti internazionali e accordi commerciali con i paesi europei. Ma non sono passati inosservati, venerdì intorno ad una Piazza Tahrir blindata e inaccessibile, gli slogan cantati dai manifestanti: «Pane e libertà», le stesse parole che risuonavano nel gennaio del 2011 e che fecero collassare il regime trentennale di Mubarak. «Quanto successo oggi è l’inizio di un movimento popolare contro le decisioni di al-Sisi – ha detto ad al-Monitor l’attivista Ahmed Abdullah – Abbiamo cominciato a rompere le barriere della paura e della disperazione».
Una spinta, quella della rivoluzione del 2011, che forse al-Sisi sperava di aver soffocato prima mostrandosi come il liberatore dal pericolo islamista e poi usando il pugno di ferro. Ma le rivoluzioni sono processi lunghi, complessi, e quella egiziana non è mai giunta alla sua fine: i tentativi di annichilimento delle aspirazioni libertarie e democratiche non riescono nel loro intento. E il 25 aprile, anniversario della liberazione del Sinai, il popolo egiziano promette di tornare di nuovo in strada.
Per ora al-Sisi ha dalla sua il sostegno della comunità internazionale che a condanne di facciata abbina fruttuoso rapporti economici. Il fine settimana ne è stato un esempio chiaro: prima il presidente francese Hollande è tornato a casa con 30 accordi commerciali e 18 memorandum d’intesa in tasca; poi il vice cancelliere tedesco Gabriel ha aperto la strada a collaborazioni militari lungo il confine tra Egitto e Libia.
Oggi tocca a John Kerry, segretario di Stato Usa, impegnato in questi giorni in un tour nelle corti degli alleati mediorientali. Al Cairo incontrerà il presidente e il ministro degli Esteri Shoukry con cui discuterà di questioni di sicurezza regionale, la minaccia del terrorismo di matrice islamista che tiene a galla il golpe egiziano.