La situazione nella enclave curda e in altre aree lungo il confine è allarmante, con migliaia di civili che vivono in condizioni disastrose. A Ghouta Est la tregua resta inapplicata. I gruppi jihadisti non lasciano ancora l’area
della redazione
Roma, 2 marzo 2018, Nena News – Un convoglio del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) con aiuti umanitari destinati a 50 mila sfollati è finalmente giunto ad Afrin, nel nord della Siria, teatro dell’offensiva militare nota con il nome di “Ramo d’Ulivo” lanciata lo scorso 20 gennaio dalla Turchia contro i combattenti curdi. La situazione ad Afrin e in altre aree lungo il confine è allarmante, con migliaia di civili che vivono in condizioni disastrose. “Al momento solo quattro ospedali operano nella zona – ha fatto sapere la Croce Rossa – Il personale medico è sopraffatto e sta lottando per far fronte all’incremento delle vittime”.
Ankara da parte sua ridimensiona l’impatto sui civili della sua campagna militare e preferisce parlare dei “terroristi” che le Forze Armate turche e i mercernari alleati del cosiddetto Esercito libero siriano avrebbero “neutralizzato”: 2.952 dal 20 gennaio ad oggi. L’aviazione turca ieri ha bombardato anche due postazioni delle Forze di Difesa Nazionale, la milizia filo-governativa siriana giunta nei giorni scorsi ad Afrin in appoggio alle formazioni curde e per contrastare l’invasione turca del Paese. Il bombardamento avrebbe ucciso, secondo fonti locali, almeno 17 persone.
Ma l’offensiva non è indolore per gli attaccanti. Nelle ultime ore altri otto militari turchi sono rimasti uccisi e 13 feriti. Finora, dicono i comandi militari, sono 40 i militari turchi morti in combattimento. Secondo le Ypg curde, che stanno resistendo agli attacchi, le perdite turche sarebbero ben più alte.
Intanto resta drammatica per i civili la situazione nella Ghouta orientale al centro dal 18 febbraio dei combattimenti tra l’esercito governativo siriano e le formazioni jihadiste e qaediste che occupano quell’area, a ridosso di Damasco. Si parla di un numero variabile tra 613 e 666 civili rimasti uccisi, tra i quali 147 bambini. Tuttavia questi dati sono forniti non da fonti indipendenti ma da sedicenti centri per i diritti umani e organizzazioni per la difesa civile che in realtà fanno capo all’opposizione siriana.
La tregua nella regione di trenta giorni, votata dall’Onu sabato scorso, è rispettata solo in minina parte. Se da un lato sono diminuiti gli attacchi aerei governativi, dall’altro gli scontri terrestri vanno avanti. Non è servita a molto la “pausa umanitaria” di 5 ore al giorno, dalle 9 alle 14, decisa dal presidente russo Vladimir Putin per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari nell’area e la partenza dei civili. Nessun civile, esclusa una coppia anziana di cittadini pakistani, o convoglio di aiuti ha ancora attraversato il corridoio umanitario istituito tre giorni fa presso la località di al-Wafidine. La Russia, alleata del presidente siriano Bashar Assad, sostiene che, come accaduto ad Aleppo nel 2016, i jihadisti – impropriamente definiti “ribelli” dai media occidentali più noti – non consentirebbero ai civili di lasciare la Ghouta. Nena News