L’epidemia, iniziata lo scorso novembre a Dadaab nel nord-est del Paese, potrebbe peggiorare e durare a lungo a causa dell’elevata mobilità della popolazione e della situazione di vita congestionata all’interno del campo profughi. Finora si contano più di 1.000 contagi e almeno 10 morti. Il 30% dei pazienti è rappresentato da bambini sotto i 12 anni
di Federica Iezzi
Dadaab (Kenya), 19 gennaio 2015, Nena News – Le autorità sanitarie del Kenya stanno combattendo l’ennesima epidemia di colera nel campo di Dadaab, nel nord-est del Paese. Sebbene il colera sia una malattia curabile, l’epidemia potrebbe peggiorare e durare più a lungo a causa dell’elevata mobilità della popolazione e della situazione di vita congestionata nel campo profughi. E’ facile il trasferimento dell’infezione da una località all’altra.
Nel campo, che attualmente è arrivato ad accogliere 350.000 civili, per lo più rifugiati e richiedenti asilo di cittadinanza somala, si visitano in media 200 pazienti a settimana. Una stessa epidemia è stata registrata lo scorso anno nello stesso periodo. Associazioni come Medici Senza Frontiere, hanno fornito costante assistenza e hanno trattato oltre 4.200 pazienti per garantire il controllo delle infezioni. Secondo i dati diffusi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel campo profughi più grande del Kenya ad oggi si contano già più di 1.000 contagi e almeno dieci morti. Già allestiti quattro centro di trattamento dell’infezione, in cui sono stati ammessi più di 300 pazienti nelle ultime tre settimane. Una volta stabilizzati, tutti i pazienti vengono trasferiti fuori dall’area critica, per un ricovero che dura in media tre giorni. Il 30% dei pazienti è rappresentato da bambini sotto i 12 anni.
Il colera si diffonde attraverso cibo contaminato e acqua potabile, provoca diarrea, nausea e vomito. Può essere fatale se non trattato, anche se la maggior parte dei pazienti guarisce con una tempestiva terapia reidratante orale. La malattia si diffonde facilmente in campi affollati con scarsa igiene come Dadaab. E mantenere un’igiene adeguata diventa difficile per carenza di latrine e acqua potabile. Il regolare lavaggio delle mani è uno dei modi più semplici ed efficaci per prevenire la diffusione del colera. E i rifugiati a Dadaab non ricevono sapone da due mesi. Nello scorso mese di giugno, l’UNHCR aveva ridotto del 30% razioni alimentari e beni di sussistenza per i campi kenyani di Dadaab e Kakuma.
L’epidemia ha avuto inizio lo scorso novembre nel campo di Dadaab. Il primo caso è stato segnalato presso l’area Ifo, uno dei tre spazi in cui è diviso il campo di Dadaab, insieme a Hagadera e Dagahaley. Vittima un bambino di dieci anni, dopo l’ingestione di acqua contaminata. Tra attenuazione di focolai in atto e riacutizzazioni, continua ancora la coda di infezioni. E il numero di casi sta crescendo esponenzialmente. Si susseguono campagne di sensibilizzazione e di promozione dell’igiene pubblica soprattutto in seguito alle piogge torrenziali, causate dal fenomeno atmosferico ‘El Niño’, che hanno colpito con maggior violenza alcune zone orientali dell’Africa, così facilitando lo scarso controllo della diffusione della malattia. Continuano anche i lavori di disinfezione nelle latrine delle diverse aree del campo di Dadaab.
Intanto l’aggiunta di un terzo produttore di vaccini contro il colera, coreano, oltre a quelli già esistenti svedese e indiano, permetterà di raddoppiare la fornitura globale di circa sei milioni di dosi per il 2016. Questa capacità aggiuntiva dovrebbe così contribuire ad un aumento della domanda, un aumento della produzione, un prezzo ridotto e una maggiore equità di accesso. Nena News
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Perchè un titolo così assassino che mette in crisi un Paese che conta sul turismo per rialzarsi dalla crisi in cui è precipitato per una situazione circoscritta al confine con la Somalia, in zone in cui un turista non si sognerebbe mai di avventurarsi?
Dadaab non è il Kenya. E’ come se ci fosse un’epidemia di colera al confine con la Slovenia, e uscisse un titolo: “Italia, lotta contro il colera”. Vi sembra giusto?
Perchè si parla non di un paesino di provincia, ma di una “città” di 350,000 abitanti, nonchè uno dei campi rifugiati più longevi al mondo, che il governo keniota vuole chiudere al più presto.
Per usare la stessa analogia, è come se fosse scoppiato il colera a Trieste, o a Imperia, e non a Sistiana o a Recco.
Dopodichè i problemi legati al turismo in Kenya non sono legati tanto al colera, quanto al rischio di attentati e rapimenti che si sono intensificati con l’intervento delle FDF in Somalia.