La bozza di legge è passata domenica nella commissione ministeriale ed è promossa dai ministri israeliani della cultura e delle finanze. Per l’opposizione è “l’ennesimo tentativo di silenziare l’espressione”. La Giordania, intanto, ha notificato a Tel Aviv che vuole riprendersi i territori di Baqura e Ghuma, concessi allo stato israeliano con il Trattato di pace di Wadi Araba
della redazione
Roma, 23 ottobre 2018, Nena News – Una commissione ministeriale israeliana ha votato domenica una proposta di legge che taglia i finanziamenti alle organizzazioni culturali che non mostrano “fedeltà” a Tel Aviv. Promotori dell’iniziativa sono la ministra alla cultura israeliana Miri Regev e il ministro delle finanze Mohshe Kahlon.
Per diventare legge il provvedimento dovrà essere votato prima dal governo e poi dalla Knesset. La bozza dà ai ministri delle finanze e della cultura il potere di tagliare i sussidi a qualunque istituzione che presenta un lavoro che nega l’esistenza d’Israele come stato ebraico e democratico o che considera il “Giorno d’indipendenza” dello stato israeliano come giorno di lutto. L’obiettivo è chiaro: colpire i palestinesi e la loro narrativa che definisce il cosiddetto “Giorno dell’Indipendenza” israeliano Nakba (catastrofe” in arabo) in quanto più di 700.000 palestinesi sono fuggiti o sono stati espulsi dalle milizie sioniste nelle fasi che hanno preceduto la nascita dello stato d’Israele.
Ad essere puniti con il taglio dei finanziamenti, inoltre, ci saranno anche coloro che attaccano la bandiera israeliana e istigano al razzismo e al terrorismo. Commentando la bozza di legge di cui è promotrice, la ministra Regev (Likud) ha spiegato che “la libertà d’espressione è una luce che ci guida ed è un valore centrale nella vita dello Stato d’Israele come stato democratico. Tuttavia, preservare la libertà di espressione non permette l’istigazione contro lo Stato d’Israele”.
Critiche alla proposta di legge sono giunte dalla leader centrista d’opposizione Tzipi Livni: “Chiedere la fedeltà nelle arti è un altro passo per silenziare l’espressione e costringere la cultura ad essere il microfono del governo”. Regev non è nuova a controversie. Lo scorso anno ha criticato il film Foxtrot che ha vinto il secondo premio al Festival di Venezia per aver “diffuso falsità sull’esercito israeliano”.
Sempre domenica, intanto, il re giordano Abdullah II ha fatto sapere che la Giordania reclamerà i territori dati in affitto a Israele nel Trattato di pace del 1994. “Abbiamo informato Israele che stiamo ponendo fine all’applicazione del trattato di pace riguardo a Baqura e Ghuma”, ha detto il sovrano. Ghumar, estesa 400 ettari e situata nel distretto di Aqaba, è una terra ricca dal punto di vista agricolo e ha molte acque sotterranee. Baqura, invece, è leggermente più grande (600 ettari), ma si trova ad est del fiume Giordano e rientra nel distretto di Irbid.
Secondo l’accordo di Wadi Araba, Israele poteva usare queste terre per 25 anni e, al termine di questo periodo di affitto, le due parti avrebbero deciso se continuare o meno terminare questo accordo.
L’allegato 1B dell’intesa afferma che alla fine di questi 25 anni l’intesa viene rinnovata automaticamente per un uguale numero di anni almeno che una delle due parti, entro il 25 ottobre 2018, non informa l’altra che vuole porre fine all’intesa.
La decisione di Amman è frutto della campagna politica sostenuta da partiti e organizzazioni locali che hanno fatto pressioni sul governo per ritirarsi dal trattato. In concomitanza con l’arrivo del 25 ottobre (giorno della fine del Trattato), il “Forum nazionale per il ritorno delle terra di Baqura e Ghumar” ha promosso vari iniziative di proteste che hanno portato il governo a cambiare la sua posizione. Ottantasei parlamentari giordani su 130, inoltre, hanno firmato un memorandum che esorta il governo e rivedere la sua posizione riguardo alle terre, minacciando la possibilità di un voto di sfiducia qualora l’esecutivo non risponda positivamente alle richieste della maggioranza dei parlamentari.
Resta da capire quale sarà la reazione d’Israele. Teoricamente per l’articolo 29 dell’accordo di pace di Wadi Araba, giordani e israeliani dovrebbero ora trovare una intesa per porre fine alla questione e se i negoziati non dovessero portare risultatie, la controversia dovrà essere risolta da un arbitrato.
Ieri pomeriggio, intanto, almeno 10 palestinesi sono stati feriti dai colpi di proiettile sparati dalle forze armate israeliane mentre era in corso la “marcia navale” a Beit Lahiya, nella Striscia di Gaza assediata. Una decina di imbarcazioni palestinesi era salpata dalle coste del piccolo lembo di terra palestinese per attirare l’attenzione della comunità internazionale sull’assedio di Gaza giunto ormai al sue dodicesimo anno. Nena News