Il 24 marzo 2016 il soldato israeliano uccise a Hebron a sangue freddo il palestinese Abdel Fattah al-Sharif. La procuratrice ha ieri detto che è favorevole alla riduzione della condanna di un terzo, ma non alla libertà condizionale. Uno studio della ong Lrc, intanto, sostiene che Israele ha demolito dal 1967 5.000 case a Gerusalemme est
della redazione
Roma, 15 marzo 2018, Nena News – No alla libertà condizionale, sì al suo rilascio abbreviato. E’ quanto ieri ha detto la procuratrice militare israeliana Sharon Zagagi Pinhas del soldato Elor Azaria che il 24 marzo 2016 uccise a Hebron a sangue freddo il palestinese Abdel Fattah al-Sharif. Pinhas ha spiegato alla commissione per la libertà condizionale che non si oppone allo sconto di pena per Azaria (cioè solo un anno di prigione invece che 18 mesi) perché questa è una “misura standard” per i prigionieri che hanno una “buona condotta” e perché il condannato non costituisce un pericolo. Spetterà ora alla commissione decidere nei prossimi giorni se concedere o meno la libertà condizionale al militare. La procuratrice ha però spiegato che finora il soldato non ha mostrato alcun rimorso per quanto ha fatto ad al-Sharif, né si è assunto la responsabilità per la sua azione “premeditata, non basata su errore e negligenza e che ha minato la forza morale dell’esercito”.
Azaria, un ex medico militare, ha incominciato lo scorso agosto a scontare in carcere la sua pena per omicidio colposo. Il suo caso ha destato molto clamore in Israele con gran parte dell’opinione pubblica israeliana, nonché del mondo politico locale, schierata con il “soldato-eroe” (“soldato-killer” invece per i palestinesi) che si è fatto giustizia da solo contro il “terrorista”. In fase processuale, Azaria affermò che “il terrorista-omicida” al-Sharif portava una cintura esplosiva e che perciò rappresentava un pericolo da eliminare. Una tesi che la corte rigettò subito. Il video della ong israeliana B’tselem – che registrò l’uccisione di al-Sharif e da cui è nato il caso – del resto mostrava chiaramente la vittima stesa a terra inerte gravemente ferita perché raggiunta dagli spari dei soldati israeliani dopo che, poco prima, aveva accoltellato un militare.
Il caso Azaria è emblematico di come la giustizia israeliana operi in modo completamente diverso se l’imputato è palestinese o israeliano. Nel caso specifico, infatti, nonostante i giudici (anche in appello) abbiano giudicato l’atto del soldato “grave, immorale, contrario all’etica militare che è parte fondamentale dell’esercito”, la pena è stata solo di 18 mesi di detenzione. Una sentenza che, con buona condotta, come ha ribadito ieri Pinhas, potrebbe scendere a un anno. Una condanna irrisoria se si pensa invece che nel luglio del 2015 il parlamento israeliano (la Knesset) ha passato un emendamento che punisce con 20 anni di prigione chi (si legga palestinese) lancia le pietre.
Commentando l’azione di Azaria, nel giugno del 2017 la ong statunitense Human Rights Watch ha detto che il problema non è la condotta del singolo soldato, ma “dell’atmosfera d’impunità per le uccisioni dei palestinesi”. Le responsabilità, per l’organizzazione non governativa, “non devono essere date solo ad un soldato, ma anche agli alti ufficiali che hanno mandato a lui e a tanti altri come lui un messaggio sbagliato sull’uso della violenza”. Un duro ed esplicito attacco ai vertici militari dello stato ebraico che, nel tentativo di allontanare qualunque sospetto di mancanza di etica all’interno dell’esercito israeliano, hanno spinto sin dall’inizio per una punizione più severa di Azaria.
Le parole della procuratrice Pinhas giungevano nelle ore in cui un nuovo rapporto della ong Land Research Center (LRC) ha rivelato come Israele abbia demolito dal 1967 (dopo quindi la Guerra dei 6 Giorni) 5.000 case a Gerusalemme est. Secondo LRC, 380.000 palestinesi gerosolomitani necessitano di 2.000 unità abitative ogni anno e metà di loro vive in case “abusive” a causa della legislazione israeliana che rende impossibile per loro costruire in città. I dati Onu, del resto, parlano chiaro a riguardo: Israele ha approvato solo l’1,5% delle richieste presentate dai palestinesi tra il 2010 e il 2014. Lo studio di LRC sostiene che solo il 12% del territorio di Gerusalemme est può essere usato per lo sviluppo urbano e che di questo soltanto il 7% è riservato alle abitazioni residenziali. Dal 2017, conclude il rapporto, più di 20.000 case sono state costruite senza i permessi voluti da Israele, i cui costi sono di circa 30.000 dollari per casa. Nena News