Svelata l’identità di Jihadi John, il boia frontman del califfato: un nuovo caso di musulmano europeo marginalizzato e target dei servizi segreti. A Mosul, distrutti 100mila libri antichi e statue del periodo assiro.
della redazione
Roma, 27 febbraio 2015, Nena News – L’ennesimo foreign fighter, il miliziano straniero, un soldato islamista di quell’esercito di combattenti arrivati da fuori per unirsi alle file dello Stato Islamico: la Cia e le Nazioni Unite poco tempo fa parlavano di 20mila miliziani partiti da Europa e Stati Uniti.
Jihadi John è uno di loro. Ventisei anni, nato in Kuwait, cresciuto a Londra dove i genitori si trasferirono quando aveva solo sei anni. Per questo fu ribattezzato così dai media, dopo le prime apparizioni nei video delle esecuzioni degli ostaggi occidentali: per l’accento tipicamente inglese, un madrelingua. Jihadi John è stato identificato dai servizi segreti inglesi che hanno dato un nome e un volto al frontman dello Stato Islamico, al boia che ha ucciso il primo ostaggio Usa, James Foley e poi a seguire Sotloff, Haines, Henning, Kassig e i giapponesi Yukawa e Goto.
Si chiama Mohammed Emwazi, è cittadino britannico. Da ieri, quando la notizia è comparsa sui media internazionali, la stampa fa a gara nel pubblicare interviste con vicini di casa, ex compagni di scuola e ex colleghi di università. Molti dicono che era un tipo solitario, silenzioso, pronto all’azione. Come se tali caratteristiche bastassero a creare un jihadista. Scavando più a fondo si trova altro: Emwazi è cresciuto a Londra, a Lancefield Street, un quartiere a maggioranza musulmana, case popolari, gang e traffico di droga. Nonostante la famiglia non fosse povera, ma provenisse dalla classe media, è stato tirato su in una casa popolare, in una zona isolata dal centro di Londra.
Si è laureato in informatica all’Università di Westmister e per festeggiare ha organizzato un viaggio in Tanzania con alcuni colleghi. Era il 2009. In Tanzania non è entrato, accusato all’arrivo di voler arrivare illegalmente in Somalia per unirsi ai miliziani qaedisti di al-Shabab. Deportato in Gran Bretagna è diventato uno dei tanti giovani musulmani britannici nel mirino dei servizi segreti di sua Maestà.
«L’intelligence britannica è sistematicamente impegnata nel vessare giovani musulmani, rende loro la vita impossibile e li lascia senza supporto legale a cui appoggiarsi», spiega Asim Qureshi, direttore di Cage, organizzazione britannica per i diritti umani. Qureshi incontrò il giovane nel 2009, ancora sotto choc per il trattamento subito nei mesi precedenti. «Avevo un lavoro lì e stavo per sposarmi – scriveva in una mail Emwazi a Qureshi nel 2010, dopo che gli era stato impedito di trasferirsi in Kuwait – Ma ora mi sento come prigioniero a Londra. Una persona controllata dai servizi segreti, che mi impediscono di vivere la mia vita nel mio paese natale».
E così ecco l’ennesimo foreign fighter, a dimostrazione di dove il califfato preferisce reclutare nuovi adepti: tra musulmani europei, immigrati di seconda generazione, spesso marginalizzati, non integrati nel mondo economico e sociale del luogo di residenza. Senza identità: non sono del tutto musulmani, non sono del tutto europei. Il terreno migliore per la propaganda del califfo.
Come potente – e brutale – è la propaganda che in questi giorni viene mandata il giro per il mondo tramite video e foto: la barbara distruzione dell’ancestrale cultura irachena, la culla delle civiltà mediterranee e mediorientali. Pochi giorni fa i miliziani dell’Isis hanno dato alle fiamme centinaia di migliaia di antichissimi manoscritti e libri (molti protetti dall’Unesco) conservati nella libreria di Mosul. Hanno fatto saltare in aria la biblioteca con l’esplosivo, nonostante la gente del luogo cercasse inutilmente di fermarli. Tra i tesori contenuti nella libreria, anche quotidiani iracheni del secolo scorso, mappe e collezioni del periodo ottomano.
In passato per l’Isis la vendita illegale e il traffico di pezzi d’antichità, libri, arte locale è stata fonte di entrate consistenti: smerciati dal poroso confine con la Turchia, fuori da Siria e Iraq sono stati portati tesori dal valore inestimabile. Oggi il califfo ha deciso che il suo messaggio può amplificarsi meglio con la distruzione dell’arte antica del paese. Ieri un altro video ha mostrato miliziani con trapani e martelli distruggere antichi artefatti iracheni, di nuovo a Mosul. Statue centenarie, alcune risalenti al periodo assito, al settimo secolo a.C, sono state sbriciolate, dissacrate. Per l’Isis non si tratta di arte, storia, tradizione, non si tratta dei simboli della civilizzazione di Mosul e dell’Iraq, ma del simbolo dell’apostasia e del paganesimo.
Immediato il grido di sdegno dell’Unesco, che teme altri casi simili, visto che il califfato oggi controlla circa 1.800 dei 12mila siti archeologici iracheni. Nena News
Si chiamano tutti mohammed. ecco perchè è il nome più diffuso sulla terra.