Nuovi dati sugli sfollati: 3 milioni di iracheni sono rifugiati. L’aviazione governativa bombarda Fallujah, la città che si sollevò contro il premier Maliki, e uccide solo civili. Così la comunità sunnita si allontana ancora di più.
della redazione
Roma, 01 giugno 2015, Nena News – A quasi un anno dalla caduta della prima città irachena in mano allo Stato Islamico, Mosul, l’Iraq vive una crisi umanitaria dai contorni sempre più drammatici. A rimettere sul tavolo la questione dei civili iracheni, dimenticati dalle bombe “umanitarie” degli Stati Uniti, è l’Unicef: “La situazione umanitaria in Iraq è prossima al disastro – ha detto stamattina Philippe Heffinck, rappresentante dell’agenzia Onu per i bambini nel paese – Abbiamo urgente bisogno di risorse extra per proseguire nell’assistenza”.
Cinquecento milioni di dollari: questa la richiesta mossa oggi dall’Unicef, dopo aver fatto il conto dei civili iracheni con urgente necessità di aiuti. Sono otto milioni. Tra questi, ben tre milioni (secondo dati del Ministero iracheno delle Migrazioni) sono rifugiati, sfollati, costretti a scappare dalle proprie case a causa dell’offensiva islamista. A queste persone manca tutto e la carenza di fondi alle agenzie Onu peggiora drammaticamente la situazione. L’Unicef prova con una campagna di finanziamento: “Con 500 milioni di dollari copriamo le operazioni di soccorso per i prossimi sei mesi”.
Sul campo prosegue la battaglia, dopo il lancio dell’operazione di controffensiva governativa nella provincia di Anbar, tra le più colpite dalle barbarie dell’Isis e dallo sfollamento di civili. Dopo aver bypassato il diktat degli Usa che ad Anbar e nel capoluogo Ramadi non volevano le milizie sciite, Baghdad ha messo insieme le truppe – la stragrande maggioranza composte da miliziani delle Unità di Mobilitazione Popolare sciite – e preparato l’aviazione. Negli ultimi tre giorni almeno 19 persone sono morte nei raid dei jet da guerra iracheni a Fallujah, occupata dall’Isis. Tra i morti, dicono fonti medice, non ci sarebbero miliziani islamisti. Di nuovo, Fallujah è specchio delle mancanze della capitale: città da cui nel 2012 partirono le proteste della comunità sunnita contro l’allora premier al-Maliki, vive la controffensiva governativa come imposizione sciita.
Sul terreno, secondo l’agenzia iraniana Fars News, Baghdad sta avanzando verso la città di Ramadi, occupata dal califfo due settimane fa. I soldati iracheni sarebbero a pochi chilometri dal centro della città, dopo aver assunto il controllo di una base militare usata dall’Isis a ovest di Ramadi. Secondo fonti locali, negli ultimi giorni le truppe di Baghdad si sono avvicinate alla città da tre direzioni, dando vita ad una sorta di assedio esterno dei miliziani islamisti.
Ciò che continua a mancare, però, è una strategia politica che vada ad annientare le cause della crescita repentina dell’Isis nel paese: se il movimento guidato da al-Baghdadi ha goduto di finanziamenti da parte di paesi simpatizzanti, degli occhi chiusi e delle mani tese dei turchi al confine, dei gravi errrori di valutazione degli Stati Uniti (oggi, ma anche negli anni dell’invasione dell’iraq), sul terreno a Baghdad spetterebbe il compito di eliminare le ragioni che spingono alcune comunità sunnite ad affidarsi al califfo. Una discriminazione lunga oltre dieci anni, l’esclusione dal potere politico e economico, la repressione delle proteste da parte del governo centrale sciita hanno fatto montare la rabbia tra coloro che fino ai tempi di Saddam governavano l’Iraq. Nena News