Dalle brutalità dell’Isis alle rappresaglie sciite: fonti locali parlano di torture e uccisioni di civili in fuga dalla città. Il governo apre un’inchiesta
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 8 giugno 2016, Nena News – Il premier iracheno al-Abadi si nasconde dietro una cortina di ottimismo: la liberazione di Fallujah è imminente – ha detto lunedì – e lo Stato Islamico sarà sradicato dall’Iraq entro l’anno. Ma nel caos iracheno non esistono più “buoni” e “cattivi”, le categorie – agli occhi dei civili che le subiscono – si mescolano: da Fallujah la gente scappa dalla brutalità manichea islamista per finire in mano a gruppi di miliziani sciiti che giocano ai liberatori ma non sono altro che nuovi aguzzini.
Le violenze, perpetrate dalle milizie sciite contro i sunniti in fuga dall’assedio, le documentano in questi giorni organizzazioni locali e internazionali: torture, pestaggi, esecuzioni. Non certo il primo passo verso la pacificazione nazionale, una volta sconfitto l’Isis, ma l’ultimo verso il baratro dei settarismi interni. La frattura si amplia sia tra la comunità sunnita e quella sciita che tra esercito regolare e milizie sciite: il primo ministro sta provando ad allontanare le seconde dalla prima linea per evitare rappresaglie ma anche per non far crescere troppo l’influenza dell’Iran, loro finanziatore.
Ma alle al-Hashd al-Shaabi (così in arabo vengono definite le unità di mobilitazione popolare, ovvero le milizie sciite) l’idea di un arretramento non piace affatto e non lo nascondono: Hadi al-Amiri, leader delle potenti brigate Badr, ha ribadito più volte l’intenzione di essere presente al momento dell’ingresso trionfale a Fallujah.
Gli effetti sono devastanti: se l’Isis si vendica per la controffensiva in atto attaccando la città sacra sciita di Karbala (ieri un’autobomba ha ucciso 5 persone e ne ha ferite 10, nel primo giorno di Ramadan, il mese sacro musulmano), i media locali riportano delle vendette sciite contro i sunniti di Fallujah. Secondo fonti locali, sarebbero oltre 300 le persone giustiziate da miliziani sciiti mentre tentavano di mettersi in salvo: «I cadaveri di 300 civili sono stati trovati nel cortile della scuola di al-Nourain – riportava ieri Oubaida al-Dulaimi, attivista del sobborgo di Saqlawiya – Erano tutti membri della tribù di al-Saqlawiya». Gli fa eco il Ninevah Media Center: «Gran parte di loro sono stati arrestati da miliziani sciiti perché sunniti e uccisi con il pretesto di sostenere l’Isis».
Certezze sulle esecuzioni sommarie non ce ne sono ma alcuni video pubblicati ieri mostrano le violenze perpetrate sugli sfollati: uomini appena scappati da Fallujah vengono fermati da miliziani sciiti e picchiati alla testa e sulla schiena, ripetutamente, con barre di metallo e cavi. Alcuni, dopo il rilascio dalla base militare Camp Tareq, hanno raccontato di essere stati privati dell’acqua per giorni e costretti a urinare nelle bottiglie per poi berne. Dei 650 detenuti liberati (i fermi sono una pratica comune nelle zone liberate per verificare che tra i civili non si nascondano islamisti) quattro sarebbero morti per le ferite, molti altri portano addosso i segni dei pestaggi: ossa rotte, volti lacerati.
Le violenze preoccupano l’establishment iracheno che corre ai ripari: il governo ha già aperto un’inchiesta, mentre il premier al-Abadi precisa che si tratta di mele marce, atti individuali non imputabili all’intero fronte di liberazione. Per evitare accuse, alcuni leader delle al-Hashd al-Shaabi stanno reclutando tra le loro fila anche combattenti sunniti, oggi circa 6mila, quasi la metà del totale.
Da una parte i settarismi etnici e confessionali, dall’altra lo Stato Islamico: ben poco tra cui scegliere. Eppure molti residenti di Fallujah tentano comunque la fuga dalla città, terrorizzati dalle conseguenze della battaglia finale. In 18mila hanno raggiunto i campi allestiti fuori dalla città, altri non ce l’hanno fatta perché fermati dall’Isis con i proiettili. O con noi o contro di noi, è il messaggio del “califfato”. Un messaggio che a Mosul è vita quotidiana: l’ultima barbaria risale a pochi giorni fa, quando 19 donne yazidi sono state bruciate vive in una gabbia per aver rifiutato di diventare schiave sessuali dei miliziani.
Siria, anche Assad fiducioso
Il presidente siriano Assad segue al-Abadi sulla via dell’ottimismo: ieri, di fronte al neo eletto parlamento e al suo nuovo presidente (per la prima volta nella storia una donna, la 58enne Hadiye al-Abbas), ha promesso di liberare dallo Stato Islamico ogni centimetro del paese e si è felicitato per la situazione attuale, che ha definito migliore di qualche mese fa.
Riferendosi poi al negoziato-fantasma, ha ribadito l’intenzione di proseguire con il dialogo ma ha puntualizzato: la Siria deve essere guidata da un governo di unità e non da uno di transizione senza di lui, come chiedono le opposizioni. A regalargli la spavalderia necessaria è il sostegno russo che in pochi mesi ha permesso la liberazione di Palmira e, ora, la controffensiva su Raqqa.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati